La culturalizzazione dell’economia richiede una maggiore capacità creativa alle imprese per competere e avere successo nei mercati locali e internazionali, a diversi livelli: sia nei processi finalizzati a realizzare soluzioni di prodotto-servizio innovative, sia nel potenziamento del quoziente creativo dell’organizzazione in sé per attivare e rendere confidente, sul tema creatività, ogni membro dell’organizzazione. Le imprese che competono, specialmente nei settori che hanno un alto investimento simbolico da parte del pubblico, devono trasformarsi in imprese creative-driven e imparare a nutrirsi delle diverse forme in cui si esprime la creatività. La scelta della specie di creatività più efficace è funzionale agli obiettivi che si vogliono raggiungere: dipende dal settore, dal tempo disponibile, dall’obiettivo di innovazione, dallo stile di leadership, dalla recettività dell’organizzazione e, non da ultimo, dalla dimensione culturale che si vuole amplificare, enfatizzare, promuovere.
Le merci che ci circondano sono (quasi) tutte, irrimediabilmente, indistinte, afone, incapaci di comunicare il “senso” della propria esistenza al mercato. Il significato di un prodotto/servizio, oggi, si gioca ben oltre l’aspetto puramente funzionale, più sul piano della relazione simbolica e culturale con un dato utente di riferimento. Ciò vale, ancor di più, per quei prodotti ad alto investimento emozionale, come quelli tipici del made in Italy. La culturalizzazione del business, funzionale a distinguersi (e avere successo), richiede alle organizzazioni sempre più creatività perché senso, simboli, narrazioni – quali ingredienti della cultura – si nutrono di pensiero creativo. Il quoziente creativo di un’impresa, in altre parole, stimola una distintiva offerta culturale e una buona offerta culturale migliora le performance del business. Ma di quale creatività parliamo? Un focus sul processo aiuta più che guardare ai risultati. Può aiutarci, in questo, una metafora biologica – l’evoluzione delle specie – poiché creare è processo evolutivo, dall’intuizione alla concretizzazione di individui “tecnici”. In biologia si fa riferimento, prevalentemente, a Darwin e alla sua idea di selezione per prova ed errore (la scoperta della combinazione di geni più resistente nell’ambiente). Ma esiste anche una lettura dell’evoluzione che potremmo chiamare neo-lamarckiana, ispirata appunto a Jean-Baptiste de Lamarck, che ritiene che l’evoluzione si districhi avendo già individuato il percorso evolutivo più produttivo (la giustificazione delle scelte evolutive). Tale analogia può spiegare il tipo di creatività che supporta i processi organizzativi: quella neo-darwiniana per certi versi più affine alla spontaneità artistica, intesa come ricerca soggettiva e scoperta, laddove una persona si attiva con grande libertà nell’esplorare soluzioni innovative all’istante, appena accolto un input, senza esitare, mettendosi in gioco, sperimentando e verificando, attraverso percorsi ampi e mutevoli; quella lamarckiana si confronta più agevolmente con l’approccio del design, e del design thinking nello specifico, per la capacità di giustificare le scelte, i percorsi di ricerca, accettando vincoli di diversa natura. Ciò succede perché, normalmente, un designer, prima ancora di mettere una matita su un foglio, raccoglie ed elabora dati, li interpreta, li riesamina secondo la propria esperienza, intuisce che certe soluzioni siano più funzionali e produttive di altre e, infine, crea. Si sceglie l’una o l’altra delle creatività (e degli attori che la impersonano), in funzione di diversi fattori: gli obiettivi di innovazione, i settori, lo stile della leadership, la recettività dell’organizzazione. Il modello di relazione/integrazione con la creatività è anch’esso articolato e gestito in modo differente. Le imprese si contaminano one-shot o si attrezzano per stabilire una relazione con creativi o consolidare una cultura creativa in modo continuativo.
La creatività neodarwiniana è sempre più diffusa in imprese di successo e si distingue per interessanti buone pratiche. L’incontro creativo con artisti su temi specifici ad esempio, la presenza di un ambiente “attivato” perché animato da artisti e/o opere d’arte, la possibilità di organizzare situazioni dove sia possibile lo scambio, creativo, tra persone con competenze diverse sono solo alcune delle iniziative possibili che questo approccio consente. Elica, ad esempio, è tra le prime aziende in Italia ad utilizzare l’arte come un potente motore di innovazione e cambiamento: dal 2008 l’azienda sperimenta progetti di formazione in cui gli artisti entrano in contatto diretto con i dipendenti per realizzare opere d’arte. I Corporate Art Awards, premi promossi dal MiBACT per valorizzare le collaborazioni tra business e arte, sono anch’essi un esempio significativo di relazione tra creatività artistica e organizzazione aziendale. Tra le iniziative più interessanti, c’è quella della Globar Solar Fund, azienda del fotovoltaico che, per stimolare la creatività dei propri dipendenti ha messo a punto un’attività di team basata sul paint building, che usa l’arte per sprigionare l’energia creativa del gruppo. Tutti i 50 dipendenti, divisi in squadre, hanno progettato e dipinto 4 opere di Van Gogh in modo collettivo, utilizzando tavolozza e colori. La consapevolezza di obbiettivi comuni e lo sviluppo di collaborazioni con creativi esterni all’azienda, hanno generato risultati sorprendenti. Un altro caso è quello di Waste Recycling, società di smaltimento dei rifiuti industriali, parte del Gruppo Hera. Nelle sue sedi l’azienda ha esposto numerosi pezzi della collezione Scart, realizzati in collaborazione con docenti e studenti dell’Accademia delle Belle arti di Firenze: scrivanie, sedie, sculture, divani, poltrone, lampade, realizzati a partire da rifiuti e trasformati in oggetti che rendono confortevole l’ambiente di lavoro. I sociologi chiamano questa presenza discreta di cose e spazi attorno a noi “curriculum nascosto”. Sono cose che ci influenzano in modo indiretto e, facendo ciò, favoriscono l’attitudine creativa. Sempre in Toscana un caso significativo è il progetto Lottozero di Prato, hub dedicato all’arte e al design tessile in un contesto locale in cui è fondamentale connettere giovani creativi, artigiani, artisti e designer con il patrimonio manifatturiero e culturale della città. Lottozero accoglie tutte queste professionalità perché possano collaborare, offrendo loro un ufficio di design (per la ricerca e il mentorship ai giovani creativi), un “textile-fablab”, per condividere idee e macchinari, per la progettazione, la produzione e la circolazione della cultura, della manualità e dell’arte tessile, oltre a uno spazio espositivo aperto al pubblico per favorire l’accesso alla cultura tessile
Il modello neolamarckiano della creatività è, per certi versi, più affine all’approccio del design e, per proprietà associativa, al design thinking. I risultati dell’osservatorio di Design Thinking for Business del Politecnico di Milano[2], hanno individuato alcune variabili di questo modello creativo, nella consapevolezza che sia un fenomeno – come tutti i fenomeni creative-driven – in continua evoluzione. L’analisi empirica su 60 organizzazioni creative-driven (studi di design, imprese di consulenza strategica, imprese di tecnologia, agenzie digitali, imprese manifatturiere e dei servizi) ha evidenziato, allo stato attuale, 4 forme di design thinking, elencate di seguito in ordine decrescente per presenza e diffusione: un modello “tradizionale” di Design Thinking, di matrice americana (collaborative problem solving + User Centered Design + Prototipazione), lo “Sprint Execution” (cultura lean, diffuso nelle agenzie digitali e in sintonia con le tecnologie di creatività “agile” del settore), la “creative confidence” (per diffondere maggiore apertura e accettazione della creatività tra gli impiegati e superare ogni resistenza al cambiamento) e, infine, un’attenzione all’“innovazione dei significati” (per rinnovare il senso dell’offerta di un’impresa e nuove strategie, per prodotti/servizi tradizionali). Tutti questi approcci hanno alcuni denominatori in comune: da una parte un’attitudine sistemica nell’affrontare i problemi, scalandoli in modo continuo e incessante, tra veduta di insieme e attenzione al dettaglio. Dall’altra l’approccio user-centered, cioè l’esigenza di mettere al centro dell’agire creativo la persona e il suo quadro socio-culturale di riferimento. Il ruolo della creatività, veicolata da metodi e strumenti del Design Thinking, può in primo luogo favorire i processi di innovazione di prodotto. Stanhome, un’azienda del gruppo Yves Rocher, esperta nella produzione di detergenti e strumenti per la pulizia domestica, ha sviluppato con il Politecnico di Milano, un nuovo innovativo oggetto per la pulizia domestica (una scopa con panni antistatici riutilizzabili), grazie ad un processo di attivazione e coinvolgimento di diversi attori dell’organizzazione. I designer hanno proposto ad un gruppo di persone, provenienti da diversi “silos” aziendali (R&D, marketing, finanza, comunicazione) alcuni possibili scenari, favorendo una convergenza verso alcune soluzioni, validate, più tardi, dalla verifica di potenziali utenti. Il nuovo prodotto, chiamato magic tool, ha attivato un processo di revisione delle strategie aziendali, in termini di identità, posizionamento e comunicazione, stimolando una cultura, più creativa ed aperta al cambiamento per i vari attori coinvolti. SIRAP è un gruppo multinazionale che si occupa di packaging per l’industria ed il retail alimentare. Nel 2016 inizia a collaborare con il master in Strategic Design di POLI.design attraverso l’agenzia di consulenza Huovo/CXINE di Milano, con l’obiettivo di definire nuove proposte di packaging alimentare in plastica per un consumo emergente “on the go”. L’approccio è estremamente differenziante perché i manager delle funzioni aziendali strategiche sono stati coinvolti dall’inizio nei team di lavoro, con i consulenti, i docenti e gli studenti, in tutte le attività creative e di sviluppo. Un insieme di capacità che ha generato una strepitosa fertilizzazione incrociata di contenuti e di metodi, la maggior parte dei quali codificati nei percorsi di Design Thinking. I due risultati più evidenti sono stati: Meal8, un pack a matrioska brevettato, che verrà lanciato sul mercato entro il 2018 ma anche la maggiore confidenza di attori chiave dell’azienda nei confronti del pensiero creativo e del design. Universiis è una cooperativa sociale, con base ad Udine, che si occupa di servizi alla persona e offre i propri servizi alle istituzioni di diverse regioni prevalentemente nel centro-nord Italia. La sua richiesta a CI.LAB (un laboratorio di ricerca sulle imprese culturali e creative del dipartimento di design del Politecnico di Milano) è quella di migliorare la propria capacità di proposta di servizi innovativi e in sintonia con le richieste degli utenti di riferimento (bambini, disabili e anziani). Qualcosa cambia nel rapporto con la P.A.: le realtà pubbliche più evolute abbandonano l’idea del bando tradizionale che dettagli tutte le prestazioni richieste e chiede, pur partendo da un minimo di requisiti, una maggiore proattività nell’individuare nuovi servizi sociali, in sintonia con le reali emergenze degli utenti. Società cooperative di grandi dimensioni, come appunto Universiis, si scoprono impreparate: non riescono a capire cosa di nuovo – e di senso – sia proponibile per i propri utenti. Chi scrive i progetti per rispondere ai bandi delle P.A. è spesso lontano, fisicamente e culturalmente, dagli operatori sul campo. E quindi dagli utenti. La creatività degli operatori a diretto contatto con le persone servite viene stimolata attraverso un processo di gamification che ha anche un obiettivo di gestione di conoscenza: CATS (Caro Amico Ti Scrivo) è il gioco che coinvolge ogni operatore occupato sul campo della grande cooperativa, nell’individuare e codificare input utili a mettere a punto nuovi servizi. Anche in questo caso la creative confidence, porta ad una maggiore capacità di proposta innovativa in sintonia con le richieste reali delle persone.
Sul fronte creatività e individuazione di nuovi significati, troviamo il caso di MSC crociere. Un settore in crescita che mette al centro della propria proposta di valore la qualità dell’esperienza dell’utente. L’obiettivo, raggiunto con il design thinking, è quello di realizzare nuove esperienze digitali per clienti molto diversi (in genere una nave può ospitare fino a 170 nazionalità differenti), anche in vista del varo di 11 nuove grandi navi, per un piano investimenti di 9 miliardi di Euro. Il progetto, invece di realizzare, semplicemente, un adattamento digitale dei servizi al cliente, è partito – grazie al coinvolgimento della leadership – con workshop orientati a identificare una direzione progettuale che avesse senso per il cliente finale, per lo staff di nave e per il valore del brand. Successivamente, altre attività progettuali e analisi dell’utente a bordo, hanno permesso di raffinare la visione grazie ad un processo di co-creazione con le persone direttamente a contatto con i clienti e con i clienti stessi, portando a soluzioni innovative lanciate con il varo della prima nave, Meraviglia (giugno 2017), la prima Smart Ship. Tra le esperienze innovative: la possibilità per i genitori di localizzare con tranquillità i bambini sulla nave, un programma di attività giornaliero personalizzato, sulla base di algoritmi di artificial intelligence, in modo che i passeggeri possano godersi solo le esperienze più significative per loro, senza perdersi nel dover accedere a tutte le informazioni necessarie per poter decidere o, ancora, la possibilità di interazione personale e diretta con il concierge.
[2] A cura di School of Management e Dipartimento di Design, marzo 2018.