Tv e rivoluzioni digitali: il rischio è “contenuto”[1]

In un panorama televisivo accelerato da una forte digitalizzazione che sta improvvisamente mutando le forme di fruizione dei prodotti televisivi, tutti gli operatori provano a organizzarsi per competere: streaming tv, satellite, tv via cavo, digitale terrestre. E l’obiettivo è puntare sul contenuto, sia nella scrittura che nella scelta produttiva, da utilizzare come volano per la fidelizzazione del pubblico (e degli abbonati) e come strumento identitario nella sfida tra competitor.

 

Content is the king”, affermava nel lontano 1996 un profetico Bill Gates. “Il contenuto – continuava – è dove mi aspetto che verranno fatti più soldi su Internet, proprio come accadeva nelle trasmissioni televisive”. Proprio come “accadrà”, verrebbe da rimarcare.

Analizzando gli ultimi sviluppi internazionali, infatti, la televisione sembrerebbe l’unico settore nel quale il processo di digitalizzazione non premi la piattaforma distributiva rispetto al contenuto, come avvenuto invece nel mondo della musica – in cui le case discografiche hanno dovuto inchinarsi prima ad iTunes e poi a Spotify – o come successivamente verificatosi nella vendita al dettaglio con l’avanzata di Amazon[2].

In un 2017 che ha visto gli abbonati alla tv digitale (satellite, streaming e tv via cavo) per la prima volta superare la quota di un miliardo, le offerte in streaming hanno sì tirato la volata per questo risultato, ma senza decretare un sostanziale arretramento delle pay tv via cavo e via etere. Anzi, in Europa e in Asia quest’ultime sono in crescita: solo negli Stati Uniti si è avuto un leggero calo.

D’altro canto, la rincorsa alla produzione originale da parte di realtà nate inizialmente solo per distribuire contenuti altrui, come nel caso di Netflix, risale ormai al 2013. E nell’ultimo periodo i vecchi broadcaster hanno provato a rispondere. Disney ha annunciato che dal 2019 rimuoverà parte dei suoi prodotti a disposizione su Netflix per lanciare un proprio servizio di streaming. Sky ha stretto accordi con Mediaset e soprattutto con Open Fiber: un’offerta che si materializzerà in contemporanea con l’avvio operativo dell’accordo Sky-Netflix, ossia quando la fibra potrebbe decretare il successo dell’intera strategia.

L’Italia rappresenta un caso interessante in questo campo grazie anche alle mosse del servizio pubblico. Dopo aver investito e sviluppato una propria piattaforma, infatti, la Rai ha anche sperimentato nuove fruizioni: in questa stagione serie tv come Non uccidere e L’ispettore Coliandro sono state rese disponibili prima su Rai Play e solo successivamente in televisione, con una risposta positiva da parte del pubblico. Ancora più significativo, poi, l’accordo siglato con Amazon per far transitare contenuti per bambini, serie e prodotti cinematografici (anche in prima visione) su Prime Video, dove sarà possibile vedere le ultime fiction Rai dal forte respiro internazionale come I Medici, Rocco Schiavone, Il Cacciatore, ma anche prodotti seriali di successo quali Il giovane Montalbano, Sotto copertura, I bastardi di Pizzofalcone, La mafia uccide solo d’estate – La Serie, L’allieva, Non mi arrendo. L’intesa con Amazon Prime Video, tra l’altro, è solo l’ultimo passo di un dialogo che la Rai ha intrapreso con gli operatori Over The Top e che aveva portato alla collaborazione con Netflix per la produzione della serie Suburra o con Tim Vision per la realizzazione de L’amica geniale, serie tratta dai romanzi di Elena Ferrante.

Le forti rivoluzioni che paiono investire il panorama televisivo sono in parte spinte dal continuo interesse che i consumatori conservano nei confronti del mezzo, anche in Italia. La tv, in tutte le sue forme di trasmissione e fruizione, occupa ancora il primo posto nella classifica dei media più utilizzati dagli italiani, con il 95,5% di spettatori rispetto al totale della popolazione[3]. È vero, la televisione tradizionale (digitale terrestre) ha ceduto qualche telespettatore (-3,3%), ma conferma un seguito molto elevato (92,2% di utenza complessiva). La tv satellitare, dal canto suo, sembra essersi stabilizzata in una quota di utenza che si avvicina alla metà della popolazione (43,5%), mentre cresce la tv via internet (web tv e smart tv hanno il 26,8% di utenza: +2,4% in un anno) ed è decollata la mobile tv, che ha raddoppiato in un anno i suoi utilizzatori, passati dall’11,2% al 22,1%. La forte novità in ottica di tendenze, poi, è proprio rappresentata dalle piattaforme che diffondono servizi digitali video, oggi utilizzate dall’11,1% degli italiani.

Il largo consumo televisivo che emerge da questi dati non può che far riflettere anche sul ruolo informativo che il mezzo tuttora conserva, soprattutto in un anno condizionato dalle elezioni politiche. I telegiornali, per non fare che un esempio, restano ancora il mezzo di informazione più utilizzato dagli italiani (60,6%). E anche i talk show politici, da qualche anno in crisi di ascolti, in questa stagione televisiva hanno ritrovato l’interesse del pubblico, nonostante un grande assente dal racconto televisivo in campagna elettorale: il duello tra leader politici. Nessun programma, infatti, ha avuto la possibilità di ospitare esponenti politici di primo piano per metterli a confronto diretto. Ci sono stati annunci, ma sempre disattesi. La novità, tuttavia, è nel modo in cui il mondo politico e la televisione si sono rapportati. Per la prima volta gli esponenti politici hanno lanciato il guanto di sfida televisiva attraverso i social network: è capitato, ad esempio, con Luigi Di Maio nei confronti di Matteo Renzi, ma anche con Maria Elena Boschi contro lo stesso leader del M5S. A colpi di tweet, i duellanti hanno deciso giorno, rete e programma in cui affrontarsi, costringendo conduttori come Bruno Vespa o Enrico Mentana a perlustrare i social per inserirsi nello scontro e provare ad accaparrarsi l’evento nel proprio studio televisivo.

Inoltre, il racconto della politica in tv è stato ancor di più complicato dal momento istituzionale vissuto immediatamente dopo l’esito elettorale. Uno stallo politico che, in mancanza di fonti di prima mano, ha costretto la televisione e il suo giornalismo a basarsi sui retroscena, allestendo talk show avvitati sul «pronostico». Un po’ come nelle trasmissioni di calciomercato, in cui le trattative sono inaccessibili ma l’esplorazione dei possibili scenari ha una resa irresistibile. E gli ascolti hanno confermato questo rinnovato interesse, a prescindere da rete, trasmissione o fascia oraria.

In quest’ottica è interessante notare come la tv abbia utilizzato i video realizzati proprio da coloro che – nei giorni di possibile formazione del nuovo governo – erano insolitamente parchi nel concedere dichiarazioni. Sia le reti all-news che le singole trasmissioni non hanno esitato a interrompersi per mandare in onda le dirette Facebook di Matteo Salvini e Luigi Di Maio: questa nuova formula di comunicazione è risultata così potente e trasversale da ottenere quasi una diffusione a reti unificate, come fosse un evento.

Sempre da un riflesso tra social network e televisione è nata anche una nuova tendenza che ha attraversato l’ultima stagione televisiva: il racconto del lusso, della ricchezza come fonte di intrattenimento. Sull’onda del successo di #Riccanza – docureality in cui si seguiva la vita quotidiana di alcuni fra i giovani più ricchi d’Italia – è infatti nato lo spin-off Mamma che riccanza e si è deciso di importare la versione francese Richissitudes – #Riccanza Francia. Oltre ai prodotti di Mtv, anche programmi di infotainment come Nemo – Nessuno escluso e Le Iene hanno affrontato più volte l’argomento nei loro servizi, Sky ha presentato il Ciclo Ricchissimi e la nuova emittente tematica italiana Spike Tv ha puntato su La Capitane, un affondo sulle vite delle mogli dei calciatori. La televisione, in questo caso, sfrutta abilmente un fenomeno che ha contagiato Instagram, dal caso dei rich-kids, alla sistematica ostentazione del lusso di molti personaggi popolari del social network: i programmi e il loro linguaggio appaiono come vere e proprie estensioni dei profili Instagram dei protagonisti.

Senza forzare troppo, si può sostenere che attraversi lo stesso filone anche Emigratis, il programma di Italia1 vera e propria rivelazione dell’anno. Premiata con lo spostamento in prima serata, infatti, la trasmissione condotta da Pio e Amedeo ha superato la media di 2 milioni di telespettatori sfiorando il 10% di share. La ricchezza in questo caso passava in secondo piano lasciando spazio alla chiave narrativa scelta per raccontarla: il grottesco. Uno stile diverso e poco utilizzato in tv.

Tra le novità, inoltre, questa stagione può paradossalmente annoverare anche il Festival di Sanremo, affidato alla direzione artistica di Claudio Baglioni, con Michelle Hunziker e Pierfrancesco Favino ad affiancarlo per comporre un ardito trio alla conduzione. Il vero cambio di passo, tuttavia, si è avuto nel regolamento: nessun partecipante sarebbe stato eliminato nel corso delle serate. Una scelta coraggiosa che ha allontanato definitivamente il Festival dalla logica dei talent, puntando più sulle canzoni – anche qui: il contenuto – che sulla competizione e offrendo al pubblico italiano l’unico vero momento di aggregazione popolare in un anno orfano dei mondiali di calcio e caratterizzato dalle forti contrapposizioni della campagna elettorale. Complessivamente questa edizione è stata seguita da una media di 10,9 milioni di telespettatori e il 52,3% di share, numeri da record che non si registravano dal 2006, quando però il panorama televisivo era completamento diverso e le nuove tv digitali neanche in fase embrionale. Un successo che, per una volta, si specchia simmetricamente con i risultati che arrivano dai social network: con 6 milioni di interazioni complessive su Facebook, Twitter e Instagram, la prima serata della kermesse è stata l’evento televisivo più commentato di sempre in Italia.

Un altro elemento che ciclicamente riaffiora nell’offerta televisiva è quello del reboot, la riedizione o la nuova versione di una trasmissione storica. In Rai è stata la volta de La Corrida, assente dagli schermi da più di sette anni, mentre in casa Mediaset si è puntato su Vuoi scommettere?, format tedesco della ZDF (Wetten, dass…?) già prodotto in Italia per ben dieci edizioni. A confermare questa voglia di anni 90, poi, anche il nuovo programma di Italia1 90 Special, condotto da Nicola Savino ed esplicitamente dedicato alla rievocazione celebrativa del decennio. Di conseguenza la nostalgia, ormai impiegata in numerose declinazioni, appare definitivamente un soggetto divenuto pilastro della televisione contemporanea.

[2] Cfr. J. D’Alessandro, Amazon, Netflix, Disney, Fox. Per le tv e l’ora del “Big Bang”, in «la Repubblica – Affari & Finanza», 9 aprile 2018, pp. 1-3.

[3] Censis, Comunicazione e media, in 51° Rapporto sulla situazione sociale del Paese, 2017.