‘CERTIFICARE PER COMPETERE’ IL RAPPORTO DI FONDAZIONE SYMBOLA E CLOROS SU STANDARD E MARCHI AMBIENTALI
I CITTADINI SONO BEN DISPOSTI VERSO LE CERTIFICAZIONI (80%) SECONDO UN SONDAGGIO IPSOS, MA LE CONOSCONO ANCORA POCO (15%)
LE AZIENDE CERTIFICATE CRESCONO, ASSUMONO ED ESPORTANO DI PIU’ DELLE ALTRE, RISPETTIVAMENTE 3,5% CONTRO 2%, 4% CONTRO 0,2%, 86% DEI CASI CONTRO IL 57%
REALACCI: “MARCHI E CERTIFICAZIONI AMBIENTALI AIUTANO CITTADINI E IMPRESE, SPINGONO VERSO LA QUALITA’, SOSTENGONO L’ITALIA NELL’IMPEGNO CONTRO I MUTAMENTI CLIMATICI”
Milano, 26 febbraio 2016. Oltre 450 nel mondo a cui si affiancano 12 new entry l’anno. È l’universo delle certificazioni e dei marchi ambientali, fatto di sigle semplici ed efficaci ma anche di poco comprensibili. Un mare magno composto da strumenti rigorosissimi che convivono con operazioni di puro greenwashing. In cui nuotano tante delle nostre imprese. Con oltre 24mila certificazioni siamo il secondo paese al mondo per numero di certificati ISO 14001. Il primo per numero di certificazioni di prodotto EPD, il terzo per Ecolabel ed EMAS. E siamo il quinto paese del G20 per certificazioni forestali di catena di custodia FSC.
Per dare a consumatori e imprese strumenti utili per orientarsi nel vasto mondo delle certificazioni ambientali è nato il rapporto Certificare per competere di Fondazione Symbola e Cloros, presentato oggi a Milano in una conferenza stampa in collaborazione con Accredia. Un rapporto unico nel suo genere, che esamina a fondo marchi e certificazioni amiche dell’ambiente portando alla luce la solida correlazione che esiste tra queste certificazione e competitività delle aziende che le adottano. Le certificazioni ambientali aiutano la qualità delle imprese e l’innovazione, spingono le esportazioni, il fatturato e l’occupazione, indirizzano alla green economy.
Prendendo in considerazione i quattro settori tradizionali del made in Italy, Automazione, Abbigliamento, Arredocasa, Alimentari – le cosiddette 4A – Symbola e Cloros hanno messo a confronto le perfomance delle aziende certificate con quelle delle non certificate. Con risultati eloquenti. In piena crisi, tra il 2009 e il 2013, le imprese delle 4A amiche dell’ambiente hanno visto i loro fatturati aumentare, mediamente, del 3,5%, quelle non certificate del 2%: le certificazioni portano in dote, cioè, uno ‘spread’ positivo di 1,5 punti percentuali.
Ancora meglio nell’occupazione, dove lo spread arriva a 3,8 punti percentuali: le aziende certificate hanno visto crescere gli addetti del 4%, le altre dello 0,2%. Con vantaggi particolarmente spiccati nell’abbigliamento (spread nel fatturato +3,6) e nell’automazione (spread per gli addetti +3,9).
Determinante essere attenti alla sostenibilità anche sul fronte export: le imprese delle 4A con certificazione ambientale esportano nell’86% dei casi, mentre le non certificate nel 57%. E se le certificazioni giovano a tutte le imprese, alle aziende medio piccole mettono il turbo: le PMI (fino a 50 addetti) con certificazione ambientale registrano uno spread di +4 punti nel fatturato (contro un +1,1 delle medie, fino a 250 addetti, e un +0,6 punti delle grandi) e di 1,2 punti negli occupati (contro lo 0,6 o 0,7 delle altri classi).
Performance che si spiegano anche con la sempre maggiore sensibilità degli italiani verso la sostenibilità. Come testimonia un sondaggio Ipsos curato per questo studio, infatti, i nostri concittadini dimostrano un discreto interesse verso il green, buona familiarità e fiducia verso le certificazioni ambientali: l’80% degli intervistati le ritiene affidabili. C’è dunque una generale aspettativa positiva, ma c’è notevole differenza tra questa familiarità e la conoscenza reale delle certificazioni. Se chiediamo di indicare spontaneamente i marchi di certificazione conosciuti sa dare una risposta il 39% degli intervistati. E tra questi meno della metà, ossia il 15% degli italiani, indica nomi di certificazioni ambientali esistenti. Segno che la strada verso una corretta e ampia conoscenza di queste certificazioni e di tutti i vantaggi che portano è ancora lunga.
“Le certificazioni ambientali – spiega il presidente di Symbola Ermete Realacci – sono uno strumento che aiuta crescita, innovazione ed export. Non vanno considerate come una pratica burocratica da adempiere, ma come un elemento determinante nel cammino delle aziende di tutti i settori, e del Paese, verso la qualità. Una certificazione ambientale porta con sé vantaggi nei bilanci, più qualità, migliori rapporti con i consumatori, il territorio, la società e la Pubblica amministrazione; rafforza quella tensione innovativa che è il cuore della sostenibilità e della green economy. Marchi e certificazioni amici dell’ambiente aiutano anche a contrastare i mutamenti climatici e spingono l’Italia nella direzione indicata dalla Cop21 di Parigi ”.
“Abbiamo promosso questo Dossier per fare chiarezza nel mondo delle certificazioni, un grande valore ad oggi poco conosciuto e sfruttato – dichiara Riccardo Caliari, Amministratore Delegato di Cloros –. Come imprenditore ho la necessità di capire concretamente il legame tra le certificazioni e le performance aziendali; mi sembra indubbio che dalla ricerca sia emerso un legame diretto ed inequivocabile. Dobbiamo ora lavorare su due fronti per far sì che gli obiettivi di contenimento dei cambiamenti climatici diventino un’opportunità e non un problema: da un lato fare informazione verso il consumatore finale sui marchi ambientali e dall’altro fare capire alle aziende che hanno la grande possibilità di creare un vantaggio competitivo”.
La diffusione delle certificazioni ambientali purtroppo è tutt’altro che capillare e le potenzialità di questo sistema non sono sfruttate al meglio. Questo nonostante l’attenzione crescente degli italiani alla sostenibilità e la tensione del nostro settore produttivo verso la green economy – il 24,5% delle nostre imprese dall’inizio della crisi ha fatto investimenti green con vantaggi competitivi in termini di export, il 43,4% delle imprese manifatturiere eco-investitrici esporta stabilmente contro il 25,5% delle altre, e ricadute positive anche sull’occupazione, hanno infatti a che a fare con l’ambiente il 59% dei nuovi posti di lavoro prodotti nel 2015.
Se il potenziale delle certificazioni amiche dell’ambiente non è pienamente sfruttato lo si deve a diverse concause tra cui: una inadeguata conoscenza delle certificazioni e dei loro benefici da parte delle imprese che potrebbero adottarle, un deficit dell’azione pubblica in sostegno a questi strumenti e la scarsa alfabetizzazione dei consumatori finali. C’è ancora da lavorare e sia la politica, che enti certificatori e aziende devono fare di più per raggiungere una maggiore diffusione delle certificazioni ambientali così da renderle un fattore strutturale nella crescita qualitativa del sistema produttivo italiano.
Lo studio “Certificare per competere” non sarebbe stato realizzato senza l’apporto di: Certiquality, CSI, CSQA, Centrocot, FSC Italia, Icea, PEFC. A questi soggetti va il nostro ringraziamento.