La vita aspetta sempre le situazioni critiche
per rivelare il suo lato più brillante.
Paulo Coelho

Affrontare con coraggio la crisi climatica non è solo necessario ma rappresenta una grande occasione per rendere la nostra economia e la nostra
società più a misura d’uomo e per questo più capaci di futuro. È una sfida di enorme portata che richiede il contributo delle migliori energie tecnologiche, istituzionali, politiche, sociali, culturali. Il contributo di tutti i mondi economici e produttivi e soprattutto la partecipazione dei cittadini. Cogliere questa sfida è anche una risposta alla generazione Greta, la cui spinta è un ingrediente fondamentale per cambiare rotta, ed è ingeneroso criticare quelle ragazze e quei ragazzi per il difetto di proposte concrete e per un eccesso di semplificazione: fare proposte non è il loro compito, e, come scriveva Ernest Hemingway, “avere un cuore da bambino non è una vergogna, è un onore”.

Non hanno bisogno di carezze ma di risposte che indichino ricette solide e politiche durature per sostenere, come un vento propizio, una nuova economia. Quando 10 anni fa pubblicavamo il primo GreenItaly nel mondo c’erano 25 GW di fotovoltaico installato: oggi i GW sono diventati 660. La tecnologia green ha compiuto enormi progressi e in questi 10 anni il costo dell’elettricità da fotovoltaico, dice l’Unep, è crollato dell’81%, e quello dell’eolico del 46%.In un decennio nel mondo sono stati investiti oltre 2,6 miliardi di dollari in rinnovabili col nostro Paese che, nonostante il forte rallentamento negli ultimi anni, è il settimo al mondo dopo Cina, Usa, Giappone, Germania, Gran Bretagna e India. Le emissioni di green bond nel 2018 hanno raggiunto i 250 miliardi di dollari: nel 2009 erano meno di un miliardo. Di economia circolare nel 2008 parlavano solo le riviste specializzate, oggi l’Italia è il Paese europeo con la più alta percentuale di riciclo sulla totalità dei rifiuti (urbani, industriali, ecc.): il 79%. La sostituzione di materia seconda nell’economia italiana che deriva da questo riciclo comporta un risparmio potenziale di 21 milioni di tonnellate
equivalenti di petrolio e a 58 milioni di tonnellate di CO₂: pari rispettivamente al 12,5 % della domanda interna di energia e al 14,6% delle emissioni.

L’Italia in questi anni è diventata quarto produttore mondiale di biogas dopo Germania, Usa e Cina. Oltre ad essere uno dei campioni della chimica verde. Ma i report dell’Ipcc (il Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico dell’ONU) — e gli slogan dei milioni di giovani che in tutto il mondo manifestano con Greta — ci ricordano che, se non vogliamo lasciare alle generazioni future un Pianeta reso ostile dai disastri ambientali, dobbiamo considerare tutti questi progressi come l’inizio di un cammino verso un’economia decisamente più sostenibile e per ciò più a misura d’uomo. Lo ha scritto l’Unep, che definisce la green economy come un modello “capace di migliorare il benessere umano e l’equità sociale, riducendo contestualmente i rischi ambientali”. Lo ha detto papa Francesco in quel manifesto per il futuro che è la Laudato sì.

L’Italia — grazie alla sua capacità di produrre cose belle e insieme innovative; grazie ai legami delle imprese col territorio e le comunità — in questo cammino è tra i Paesi più avanzati. Ma grandi capacità comportano maggiori responsabilità, e le crisi si rivelano spesso opportunità: il nostro Paese ha le carte in regola per diventare uno dei leader della rivoluzione sostenibile dell’economia. Contribuendo a rinvigorire e rinnovare in chiave ambientale la missione dell’Europa e godendo dei vantaggi economici, tecnologici e competitivi legati a questa leadership.
Una leadership dovuta non tanto alle politiche ma all’iniziativa di tanti imprenditori e a quanto si muove nella società che spesso è più avanti della politica. Sono oltre 432 mila le imprese italiane dell’industria e dei servizi  con dipendenti che hanno investito nel periodo 2015-2018, o prevedono di farlo entro la fine del 2019 (nell’arco, dunque, complessivamente di un quinquennio), in prodotti e tecnologie green. In pratica quasi una su tre: il 31,2% dell’intera imprenditoria extra-agricola (nel quinquennio precedente erano state 345 mila, il 24%). E nel manifatturiero sono più di una su tre (35,8%): la green economy è, per una parte considerevole delle nostre imprese, un’occasione già còlta.

Solo quest’anno, anche sulla spinta dei primi segni tangibili di ripresa, quasi 300 mila aziende hanno investito, o intendono farlo entro dicembre, sulla sostenibilità e l’efficienza (il dato più alto registrato da quando Symbola e Unioncamere hanno iniziato a misurare gli investimenti per la sostenibilità). In questi investimenti fanno la parte del leone l’efficienza energetica e le fonti rinnovabili insieme al taglio dei consumi di acqua e rifiuti, seguono la riduzione delle sostanze inquinanti e l’aumento dell’utilizzo delle materie seconde.

Non è difficile capire le ragioni di queste scelte. Le aziende di questa GreenItaly hanno un dinamismo sui mercati esteri nettamente superiore al resto del sistema produttivo italiano: con specifico riferimento alle imprese manifatturiere (5–499 addetti), il 51% delle eco-investitrici ha segnalato un aumento dell’export nel 2018, contro il più ridotto 38% di quelle che non hanno investito. Queste imprese innovano più delle altre: il 79% ha sviluppato attività di innovazione, contro il 61% delle non investitrici. Innovazione che guarda anche a Impresa 4.0: mentre tra le imprese eco-investitrici il 36% ha già adottato o sta portando avanti progetti per attivare misure legate al programma Impresa 4.0, quelle non investitrici sono
al 18%. Sospinto da export e innovazione, il fatturato trae in complesso benefici: il 26% delle imprese investitrici si attende un aumento di fatturato per il 2019, contro un 18% delle altre. Stesso discorso per l’occupazione, dove il 19% delle green prevede una crescita, contro l’8% delle altre. Nel 2018 il numero dei green jobs in Italia ha superato la soglia dei 3 milioni: 3.100.000 unità, il 13,4% del totale dell’occupazione complessiva (nel 2017 era il 13,0%).

L’occupazione green nel 2018 è cresciuta rispetto al 2017 di oltre 100 mila unità, con un incremento del +3,4% rispetto al +0,5% delle altre figure professionali. La green economy è anche una questione anagrafica. Una importante spinta al nostro sistema manifatturiero verso la sostenibilità ambientale, infatti, è impressa dai giovani imprenditori: tra le imprese guidate da under 35, il 47% ha fatto eco-investimenti, contro il 23 delle over 35. Green economy significa anche cura sociale: il 56% delle imprese green sono imprese coesive, che investono cioè nel benessere economico e sociale dei propri lavoratori e della comunità di appartenenza relazionandosi con gli attori del territorio (altre imprese, stakeholder, organizzazioni non profit, ecc.); tra le imprese che non fanno investimenti green, invece, le coesive sono il 48%.

Queste oltre 430 mila imprese ci raccontano che le sfide dell’emergenza climatica e della sostenibilità sono state per tante imprese (ma lo stesso potremmo dire di associazioni e istituzioni) l’occasione per mettersi in movimento, per rispondere alla crisi economica e sociale, per evocare le energie migliori del Paese e attivarle per un progetto comune. Queste oltre 430 imprese hanno dato all’Italia una leadership nella sostenibilità
che possiamo misurare constatando che il nostro sistema industriale, con 14,8 tonnellate equivalenti di petrolio per milione di euro prodotto, è il secondo tra quelli dei grandi UE per input energetici per unità di prodotto: dietro alla Gran Bretagna (13,7, che ha però un’economia guidata dalla finanza) ma davanti a Francia (15,6), Spagna (17,3) e Germania (17,8). Stesso discorso per gli input di materia: con 285,9 tonnellate per milione di euro prodotto siamo dietro alla Gran Bretagna (240,1) ma davanti a Francia (340,5), Spagna (355,3) e Germania (399,1). Siamo i più efficienti nella riduzione di rifiuti: le nostre imprese ne producono 43,2 tonnellate per milione di euro, quelle spagnole 54,7, quelle britanniche 63,7, le tedesche 67,4 e le francesi 77,4. Oltre ai rifiuti le emissioni climalteranti: con 97,3 tonnellate di CO₂ equivalenti ogni milione di euro, fanno meglio di noi Francia (80,9, forte del nucleare) e Regno unito (95,1) mentre distanziamo Spagna (125,5) e soprattutto Germania (127,8).

L’attenzione delle imprese all’ambiente si legge anche nella crescita dei brevetti green in Italia: complessivamente 3.500 (10% dei brevetti europei).
Con un aumento del 22% nel periodo 2006-2015, e una dinamica in controtendenza rispetto ai brevetti in generale. Si legge nel fatto che il nostro è il terzo Paese al mondo, dopo Cina e Giappone e davanti a Spagna, Germania, Francia ma anche Usa, per numero di certificazioni ISO 14001. Ancora, la campagna Detox di Greenpace, che sta cambiando il mondo della moda portando le imprese ad eliminare prodotti tossici e inquinanti: ebbene su un totale di 80 imprese che in tutto il mondo hanno aderito, 58 sono italiane. Dalla moda alla mobilità: nel 2018 in Italia c’erano 363 servizi di mobilità condivisa, oltre 100 in più di quelli del 2015, con un totale oltre 5 milioni di utenti. Oltre che in termini quantitativi, la sharing mobility cresce anche in termini qualitativi: aumenta, infatti, la percentuale di veicoli elettrici sul totale dei veicoli a disposizione degli utenti (dal 27% del 2017 al 43% del 2018). Una delle matrici del made in Italy è l’intreccio tra sostenibilità e bellezza: nel mobile made in Italy da anni l’economia circolare incontra il design, con più del 95% dei rifiuti legnosi post-consumo avviati a impianti per la produzione di pannelli per l’industria del mobile.

Il nostro Paese è dunque ben posizionato è può avere un ruolo da protagonista in questo percorso verso la sostenibilità: ma il cammino va accelerato.
Molti in Italia — da nomi noti del mondo economico, sociale e culturale fino a comuni cittadini — hanno sottoscritto il manifesto “Un’economia a misura d’uomo contro la crisi climatica”: un’alleanza per il futuro che ha le sue radici in quel peculiare intreccio tra reti sociali, coesione e distretti produttivi, tra innovazione e bellezza, tra sostenibilità e competitività che è il dna del nostro Paese. Un’Italia che fa l’Italia, che non dimentica i suoi problemi (non solo il debito pubblico ma le diseguaglianze, l’illegalità e l’economia in nero, una burocrazia spesso inefficiente e soffocante) ma si rimbocca le maniche per azzerare il contributo netto di emissione dei gas serra entro il 2050 e fare di questa sfida il volano del nostro futuro, senza lasciare indietro nessuno, senza lasciare solo nessuno. Convinta che non c’è nulla di sbagliato in Italia che non possa essere corretto con quanto di giusto c’è in Italia. Da qui si deve ripartire.

Carlo Sangalli Presidente Unioncamere
Ermete Realacci Presidente Fondazione Symbola