L’emergenza Covid-19 e il lockdown con i vincoli di distanziamento sociale hanno colpito con particolare violenza le attività culturali. Abbiamo provato a comprenderne profilo e specificità con Andrea Cancellato, Presidente di Federculture e project manager per il Design Museum ADI collezione Compasso d’oro. Abbiamo provato con lui a capire quali sono le esigenze immediate di imprese e professionisti che operano in quel settore e quali scenari di medio termine si prospettano perché un settore così cruciale per la stessa identità del Paese e dei suoi territori possano transitare con successo verso il “New normal” che ci aspetta. Di che cosa si parla quando si dice “settore della cultura” in Italia, tanto in termini economici e occupazionali, quanto in termini più qualitativi, di ruolo e di servizio alla collettività? È molto difficile quantificare la dimensione del mondo della cultura in Italia. Da un lato perché il Codice ATECO senz’altro non aiuta (come del resto accade per larga parte dei settori economici), dall’altro perché gli studi compiuti negli anni portano a risultati difformi. Ad ogni modo, un recente studio a cura di Intesa SanPaolo e Mediocredito Italiano (*) stima in oltre 840.000 gli occupati diretti del settore. Si tratta quindi di uno dei più importanti comparti economici del Paese. Symbola ha invece valutato in oltre 95 miliardi il peso economico della cultura nel nostro Paese. Naturalmente si tratta di dati al netto dei riflessi che il sistema della cultura genera su altri settori economici, a partire dal turismo. In ambito culturale l’Italia vanta una capacità attrattiva fra le maggiori al mondo. Infine, va certamente sottolineata la funzione sociale e di utilità pubblica che le istituzioni e le imprese del settore svolgono nelle nostre città. In molti casi – soprattutto nelle zone più periferiche delle grandi città – la cultura rappresenta l’unico presidio di vita sociale, com’è nel caso delle biblioteche rionali o dei piccoli teatri. Qual è la condizione che vivono enti, istituzioni, imprese e professionisti del settore dopo quasi due mesi di lockdown? Il mondo delle strutture e delle imprese culturali è stato il primo costretto alla chiusura e sarà l’ultimo che potrà riaprire, peraltro con più di un’incognita relativa alla sua capacità di tornare a pieno regime in presenza dei vincoli di distanziamento sociale. E non è solo l’incertezza sul futuro a turbare, ma l’evidenza di un disastro che si sta già consumando. Tutti gli operatori hanno la piena consapevolezza della necessità di cambiare le modalità di produzione e di offerta culturale. Un’operazione che non si può improvvisare e che richiede tempo. Proprio per questo abbiamo affermato con forza, e con il sostegno mai così ampio di tutto il mondo delle istituzioni culturali italiane, la costituzione di un Fondo per la Cultura per consentire di “comprare tempo” e progettare il nuovo, innovando i modelli di business culturale e le modalità di fruizione del prodotto culturale, anche grazie alle nuove tecnologie della comunicazione. Diversamente, molte imprese rischiano di non sopravvivere. Il quel caso potremmo davvero registrare un’enorme dispersione di competenze e un significativo indebolimento di un’industria cruciale e distintiva per il nostro Paese.