Realizzato in collaborazione con Barbara Minghetti – Direttrice artistica Macerata Opera Festival.
Questo contributo fa parte della rubrica #iosonocultura,  parte del Decimo rapporto IO SONO CULTURA realizzato da Fondazione Symbola, Unioncamere e Regione Marche in collaborazione con l’Istituto per il Credito Sportivo.

 

Parlare di teatro e di teatro musicale ai tempi del Coronavirus è davvero difficile, quasi un ossimoro. I teatri sono rimasti chiusi per quasi quattro mesi, dal 22 febbraio: tutto fermo, produzioni, prove, spettacoli, attività. Prima in Cina e in Italia e poi in tutto il mondo. Incredibile pensarlo. Tutte le nostre grandi case, enormi architetture nate con lo scopo di riunire le persone per avvicinarle e appassionarsi, ascoltare storie, piangere e ridire insieme, sono rimaste vuote fino all’altro ieri. Insieme e vicini: due parole proibite in questi ultimi mesi.

Come sta reagendo il mondo dell’opera a questa emergenza sanitaria che purtroppo sta lasciando in difficoltà tantissime, troppe, persone?

Ci sono state varie fasi e se ne aggiungeranno diverse ancora. Tutte molto veloci.

Una prima fase in cui si è cercato di mettere al riparo e in sicurezza le persone che lavorano, con strumenti come smartworking, riduzione dell’orario lavorativo, cassa integrazione (per la prima volta nella storia dello spettacolo). In questo periodo ci siamo appassionati all’immediata reazione degli italiani: il canto tra e dai balconi ha confermato, anche se non ce n’era bisogno, l’importanza e la necessità di stare insieme attraverso la musica, la condivisione di un momento artistico. Manifestazioni spontanee che hanno portato il mondo dell’opera ad iniziare a pensare a concerti live streaming e a piccole iniziative.

È seguita la fase del silenzio per tutti, causato dal dolore delle perdite. Molte istituzioni culturali intente a riprogrammare le date delle opere saltate (prima a maggio, poi a giugno e ancora più avanti) si sono fermate per rispettare il silenzio, in onore delle persone che hanno combattuto tutti i giorni con la vita, chi per salvarla, chi per tenerla.

Poi è partita la fase successiva, in cui molti governi hanno annunciato che i teatri sarebbero stati tra gli ultimi a riaprire, a poter tornare alla “normalità”. Per questo molte istituzioni culturali sono passate all’azione attraverso campagne sul web per la diffusione gratuita di produzioni di opera: dal Metropolitan di NY all’Opera di Parigi, da La Scala di Milano all’Opera di Roma, dal Festival Verdi del Teatro Regio di Parma al Macerata Opera Festival. Di particolare interesse è la collaborazione tra alcune istituzioni italiane sinfoniche di grande prestigio e i canali mass media, come La Scala che, fin dalla fine di marzo, è andata in onda su canali quali Raiplay e Rai5. Teatro che in parallelo sta puntando ad un modello che si rifà all’Opera di Vienna, il cui attuale direttore Dominique Mayer ha diretto in passato: edifico cablato, spettacoli registrati e mandati in onda previo abbonamento. Tra le best practices particolarmente attive sui canali digitali c’è anche La Fenice di Venezia, che con 61mila iscritti al suo canale Youtube, registra ad oggi la miglior perfomance italiana, ad un passo dall’Opera di Parigi (74mila), anche se ancora molto lontana dal Covent Garden di Londra (777mila) e dal Metropolitan di NY (145mila). A prediligere Facebook, invece, è stata l’Accademia di Santa Cecilia (Roma), che ha proseguito virtualmente la stagione di concerti su questa piattaforma, con appuntamenti settimanali gratuiti negli stessi giorni e orari dei suoi concerti sinfonici. In quattro mesi è stata trasmemessa online una programmazione incredibile: migliaia di produzioni imperdibili, ad alta definizione e grandissima qualità artistica. Una proposta davvero internazionale, cosmopolita.

Lo streaming sta riscuotendo un successo mai registrato fin dai tempi delle prime iniziative risalenti a una decina di anni fa.

Tuttavia, i ricavi provenienti dallo streaming e dalla distribuzione nei cinema non sono mai stati rilevanti nel budget dei teatri, né potranno esserlo nel futuro a breve termine dopo questa bulimia di proposte gratuite. Molti sono i dubbi sulla possibilità che la diffusione dei contenuti attraverso i canali audiovisivi e digitali possa aiutare economicamente il mondo dell’opera. Il  recente lancio da parte del Ministro Franceschini di un progetto che si presenta come una sorta di “Netflix della cultura” per offrire online e a pagamento ciò che oggi non si può usufruire dal vivo ha aperto alcune importanti riflessioni nel mondo degli addetti ai lavori. La proposta di produrre contenuti per il web, il cinema e la televisione con produzioni live da realizzare nei teatri vuoti seguendo le programmazioni delle stagioni sollecita alcune perplessità: davvero il pubblico comprerà dei biglietti per vedere una nuova Bohème da Palermo quando se ne possono trovare moltissime in rete gratuitamente e di qualità strepitosa? Ha senso produrre seguendo le modalità proprie di un linguaggio che vive di relazione ed empatia, come quello delle esecuzioni dal vivo, destinandole ad una diffusione audiovisiva e digitale caratterizzata da altri linguaggi e format? Non si potrebbe allora pensare a nuovi progetti con una componente innovativa ancor più radicale (nuova musica, nuovi libretti, nuovi format) da realizzare ad hoc per una piattaforma sul modello Netflix? Una sorta di “opera in serie”, “opera a puntate”. Tra i progetti che vanno in questa direzione, oggi in fase di studio c’è, ad esempio, quello di Enrico Melozzi: Opera Balcony, realizzata in casa dei singoli artisti, una specie di opera a puntate, nata per un pubblico virtuale. Mentre il Teatro Coccia di Novara ha appena debuttato con Alienati – Opera Smart Working: una produzione che non solo è stata realizzata in remoto da casa, ma che dà la possibilità al pubblico che assiste dalla propria abitazione l’opportunità  di scegliere il “destino” dei personaggi, trovandosi di fronte a veri e propri bivi, rendendo gli spettatori protagonisti del racconto. Ogni musicista ha registrato la propria parte individualmente e le musiche, anziché essere suonate dal vivo, sono proposte da un’orchestra campionata. L’opera è visibile gratuitamente sul sito del Coccia, con la possibilità di donare al fondo AiutiAmo Novara presso la Fondazione Comunità Novarese. C’è chi invece pensa di utilizzare la diffusione su schermo come un mezzo per arrivare in luoghi in cui l’opera ancora non è mai riuscita ad entrare: questo l’intento del progetto ancora in gestazione del San Carlo sociale e digitale di Lissner, sopraintendente appena insediato alla guida del teatro di Napoli, lirico più antico d’Europa. Il San Carlo sta lavorando insieme all’Università Federico II e alla Tim per potenziare il 5G in città, per offrire spettacoli gratuiti nelle piazze con grandi schermi, per arrivare con la musica e la bellezza anche nei quartieri più disagiati della periferia come Scampia, o del centro di Napoli come Forcella, e in tutta la Campania.

La speranza è che questo periodo storico molto difficile ci insegni a reagire più uniti e consapevoli.

Perché non pensare a una programmazione, un palinsesto coordinato delle messe online? Probabilmente avverrà, ma per adesso è successo tutto talmente in fretta che ognuno ha cercato di trovare proposte e idee per esserci ed essere vicini al proprio pubblico. E il risultato è una massa enorme di proposte non coordinate.

Sarebbe necessaria anche una maggiore condivisione delle decisioni sullo spostare, annullare, riprogrammare gli eventi. Si pensi, ad esempio, agli annunci dell’annullamento dei festival estivi. Lo scorso aprile la prima cittadina bavarese di Bayreuth ha annullato il festival di quest’anno con un comunicato: fatto lecito ovvio, ma che ha messo in difficoltà gli altri festival che stanno cercando di portare avanti la possibilità di vedere realizzata la propria programmazione, almeno fino a quando non ci sarà una decisione chiara presa a livello statale o, ancora meglio, a livello europeo.

 

Ad oggi la situazione è variegata. Da un lato, alcuni festival hanno cancellato la propria programmazione per i limiti oggettivi posti delle restrizione sanitarie ; dall’altro lato, altri festival stanno ancora cercando una modalità per salvare la programmazione, seppure ridotta (primo fra tutti il prestigioso Festival di Salzsburg), con una grande attenzione alle direttive che verranno, pronti a regolare e a inventare aggiustamenti, artistici, economici e logistici (per esempio, la sistemazione del pubblico e degli artisti) per poter offrire la propria arte a chiunque vorrà. L’Arena di Verona, ad esempio, ha rimandato al 2021 il festival che sarebbe partito in questi giorni, la cui partecipazione straniera è solitamente molto elevata (80% degli ingressi). Al suo posto organizzerà Nel Cuore della Musica: serate-evento che si svolgeranno a partire da agosto in una cornice del tutto nuova, con il palco posizionato al centro dell’immensa platea ed il pubblico, in prevalenza italiano, ben distanziato e distribuito esclusivamente sugli ampi spalti.

In mezzo a queste scelte ci sono problematiche economiche di fattibilità, che riguardano la riduzione degli incassi legati alla biglietteria, o a quelli provenienti dagli sponsor, e via dicendo. Impellente è la preoccupazione dei lavoratori temporanei e degli artisti che, nel caso di completa cancellazione, rimarranno senza lavoro. La difficoltà più grande risiede nel mettere insieme la missione di queste istituzioni culturali, fare spettacolo, in un momento in cui il bene e la salute di tutti sono la priorità. Avremo quindi delle direttive univoche che potremo seguire tutti insieme, con tempistiche coordinate a livello nazionale o livello Europeo?

Nel frattempo alcuni teatri stanno avanzando delle proposte per ripartire.

C’è chi sta riprogrammando le Stagioni d’Opera appena saltate, gli spettacoli già in prova, cercando di onorare gli accordi già firmati per gli artisti, i tecnici e tutti i lavoratori dello spettacolo non dipendenti, che in questo momento sono una categoria davvero poco protetta. E, soprattutto, c’è chi sta pensando a delle novità per affrontare le sfide poste dall’emergenza sanitaria. Il Teatro La Fenice di Venezia, ad esempio, sta pensando a come strutturare gli spettacoli per la ripartenza: per esempio, il pubblico in sala sarà contingentato ma per allargare la platea si affiancheranno delle repliche web a pagamento. Proprio per questo, il teatro sta pensando di realizzare dei titoli nati per il digitale. Oppure c’è chi punta sulla riorganizzazione degli spazi, come l’AnsfolAssociazione Fondazioni Liriche, con l’orchestra in platea (per distanziare i musicisti) e gli spettatori nei palchi, o all’utilizzo di spazi inediti come padiglioni industriali o altre infrastrutture inutilizzate. Per sfruttare la stagione estiva e la possibilità di sfruttare spazi all’aperto, il Teatro dell’Opera di Roma, ad esempio, a luglio inaugurerà una stagione estiva ridotta con Il Rigoletto, la sua prima produzione lirica che sperimenterà anche sul palco le misure anti-Covid19, con distanziamento anche tra gli attori. Il tutto si terrà a Piazza di Siena, ideale per montare una platea con gradinata conforme alle disposizioni per un massimo di 1000 spettatori, nella speranza che future prescrizioni allarghino la capienza massima. Anche all’estero si sta pensando di realizzare piccole produzioni sul palco, come Il Teatro Real di Madrid che realizzerà piccole produzioni per 200 spettatori. Nel Nord Europa, in questi ultimi mesi per attirare attenzione mediatica sul tema, sono stati simbolicamente programmati concerti per un unico spettatore, mentre a Praga hanno inventato il Festival del Nulla, chiedendo agli spettatori di comprare dei biglietti per assistere ad uno spettacolo che non c’è, per sostenere la categoria degli artisti.

Più in generale,  oggi si torna a chiedere agli artisti, come succede da millenni, di inventare nuovi mondi e trovare nuove relazioni tra spazio, spettatore e artista.

Sperimentando e rinsaldando contaminazioni di confine per allargare la propria missione culturale, rivolgendosi con maggior convinzione, ad esempio, al mondo della didattica. Dentro questa cornice si inserisce tra gli altri Opera domani: opere partecipative per bambini grazie a percorsi formativi per insegnanti. Il nuovissimo progetto, realizzato in tempi record (ultimo giorno prima della chiusura), è Opera domani Home: un film di Rigoletto, girato live in teatro per essere visto da casa o in classe, con il supporto di un vademecum e un pacchetto di attività da fare in preparazione alla visione (video tutorial per imparare arie, coreografie e per costruire oggetti). Il percorso si conclude con l’assistere all’opera del Rigoletto interagendo dal vivo. Fruire questi contenuti culturali via streaming e con il supporto delle chat, che assicurano lo scambio e la partecipazione attiva del pubblico, apre nuovi mondi per la formazione degli insegnanti legati al mondo musicale e del teatro musicale, ma anche l’opportunità per l’opera di entrare nelle classi virtuali con i ragazzi. Sicuramente questo sarà un settore che vedrà un ulteriore sviluppo, arricchendo la didattica legata alla conoscenza degli strumenti e delle opere, ai meccanismi produttivi, al dietro le quinte.

Davanti alla necessità di numerosi cambiamenti, oggi ancor più di ieri ha senso porsi  un’altra questione etica: è possibile ripartire cercando di equilibrare maggiormente i cachet, creando una cassa di protezione per gli artisti (meno star) e per tutti i comparti (tecnici, mimi, collaboratori) che hanno compensi ridotti e che in questa situazione rischiano di non beneficiare dei fondi di emergenza? Possiamo fare insieme, senza lasciare indietro nessuno?

 

Infine, eccoci entrati in una nuova fase: dal 15 giugno i teatri saranno di nuovi aperti! Come e quando torneranno alle produzioni d’opera? Non lo sappiamo, ma di certo molti teatri si stanno adoperando da settimane per trovare metodi creativi per accogliere i propri pubblici, garantendo le misure di distanziamento sociale e l’utilizzo delle mascherine, sempre più protagoniste anche delle attività di comunicazione e promozione. Basti pensare alla Komische Oper di Berlino che ha pubblicizzato la nuova stagione utilizzando le mascherine, oppure al Macerata opera Festival, che quest’anno ha scelto il titolo Biancocoraggio, dedicato al coraggio dei protagonisti delle tre opere in Cartellone – Don Giovanni, Tosca e Trovatore –  mentre il bianco mascherina si intona perfettamente al momento.

Guardando al lungo termine è necessario tenere conto che l’Opera ha delle regole: il coro e l’orchestra devono poter suonare e cantare insieme, la regia deve permettere di raccontare una storia, il pubblico non può essere davvero distanziato di due metri (per i risvolti economici che comporterebbe a lungo andare questa soluzione). Sono molto apprezzabili idee innovative come quelle sopra descritte, dalle piccole produzioni per pubblici ridotti agli spettacoli realizzati in luoghi diversi dai consueti teatri, ma l’Opera ha delle strutture che non si possono stravolgere completamente, che la rendono meravigliosa. Adesso la palla è passata ai teatri: aprire, produrre, tornare ad accogliere i cittadini. Come conciliare questo con le restrizioni sanitarie, tenere l’economia sostenibile e mantenere una qualità artistica? La Scala di Milano, per esempio, uno dei teatri lirici italiani più conosciuti al mondo, a fine aprile ha approvato il piano di bilancio autunnale che le consentirà di mantenere quell’equilibrio economico che da 13 anni è un suo vanto. Le previsioni sull’afflusso di pubblico tengono conto dell’assenza di spettatori stranieri e un tasso di riempimento del teatro del 55-60% circa (contro un tasso medio dell’80-85% in tempi pre-Covid) [1]. I punti su cui fa forza il programma, oltre ad un generale contenimento dei costi, sono la riduzione delle repliche e l’assenza di nuove produzioni, puntando soprattutto sulle risorse artistiche e tecniche interne e su titoli di repertorio.

Un possibile futuro potrebbe essere quello di lavorare a stagioni meno strutturate e più flessibili o, per lo meno, ampliare l’offerta con produzioni destinate a spazi e luoghi in cui sperimentare e aprirsi a relazioni più liquide. La via da percorrere potrebbe essere fatta di tanti progetti diversificati, molti dei quali capaci di garantire un alto livello di partecipazione attiva del pubblico coinvolto. Ci vorrebbe un progetto di Graham Vick in ogni città, cui si deve l’opera partecipativa di Birmingham, capace di coinvolgere comunità allargate. Centinaia di persone diventano coro o mimi per contribuire alla produzione di un’opera in luoghi speciali: dal tendone di un circo al caveau di una banca, da una fabbrica semiabbandonata a una vecchia balera, dove il pubblico, in piedi e in movimento, trova la sua personale visuale dell’opera. Progetti importanti per la ricostruzione del pubblico ma anche e soprattutto della comunità.

 


[1] Fonte dati: “Scala in pareggio nel 2020, meno ricavi e più eccellenze interne”, Il Sole 24 Ore, 14.05.2020.