Online il numero di giugno della rubrica di approfondimento curata da Catterina Seia e Valentina Montalto
Dopo quasi tre mesi di emergenza, le vite di ognuno di noi, delle nostre organizzazioni, del Paese, sono cambiate. Nel profondo. Fondazione Fitzcarraldo la configura come una “Tempesta perfetta”, che in metereologia è sinonimo di massimo danno, su più fronti. Una tempesta che si abbatte su un comparto già strutturalmente frammentato come quello culturale, facendone emergere l’economia debole e con un’occupazione sofferente per una precarietà diffusa.
Socrate docet. Per costruire futuro, andando alle cause, occorre porsi le domande giuste. Non è semplice, ma necessario. Lo vediamo dalla densità del dibattito (riportiamo alcuni contributi dei lavori in corso per il nuovo rapporto Symbola “Io Sono Cultura”, dal Forum dell’Arte Contemporanea, e dal ciclo di webinar promossi da OCSE Venezia sulla cultura nello scenario post-COVID).
Facciamo nostre quelle che Fitzcarraldo si pone e pone, aprendo una call to action in vista di ArtLab 20 (9-13 giugno virtuale con “stazione” a Matera). 10 domande coraggiose e puntuali per riflettere sul futuro dentro l’emergenza, ovvero esercitando lo sguardo lungo della visione nella terra di mezzo della trasizione. Come per il resto dell’economia, l’ambizione è quella di sviluppare “un piano d’emergenza, la possibilità di accedere a risorse straordinarie per poter evitare una distruzione di capitale culturale su larga scala e dare il tempo necessario a istituzioni e operatori della cultura per sperimentare nuove forme di sostenibilità”, ma chiedendosi al contempo “A chi e a cosa serve l’azione culturale?”. “Quanto degli obiettivi di sostenibilità dell’Agenda 2030 dovrà essere incorporato nella missione e nella pratica culturale delle istituzioni e degli operatori?”
Il numero di giugno di Letture Lente intende alimentare indicazioni sul percorso da intraprendere. Il potere trasformativo dell’azione culturale sta infatti emergendo in luoghi “insospettabili”, designati come marginali, che molti artisti e operatori culturali individuano sempre più come luogo d’azione in risposta a un’offerta culturale urbana spesso escludente. Come scrive Filippo Tantillo “in un piano di rigenerazione l’arte diventa un connettore strategico e gli operatori culturali stessi diventano parte della soluzione perché […] in grado di costruire un ponte fra fruitori di luoghi e abitanti, per ridurre le distanze con un linguaggio universale che superi anche le barriere linguistiche”. Questo perché “usufruire del diritto di partecipare alla vita culturale non può essere determinato dal luogo in cui scegliamo di vivere né dalle nostre possibilità di viaggiare”, tanto più in un territorio tanto ricco quanto diverso come l’Italia (Annalisa Cicerchia). Attenzione però alle economie monoturistiche che si possono generare in queste aree, che finirebbero per far soccombere l’elemento fondante della rigenerazione: il patrimonio culturale e
paesaggistico diffuso.
Il nesso cultura-turismo è in effetti un altro ambito che richiede nuove visioni e azioni, anche nelle città. In un’epoca di distanziamento fisico obbligato, che mette profondamente in discussione gli indicatori di successo basati sul numero di visitatori, le istituzioni culturali sono infatti chiamate a ripensare radicalmente il proprio ruolo. Quella
del turismo di prossimità (Enrico Bertacchini e Massimiliano Nuccio), è una carta da giocare, non solo per recuperare, almeno in parte, risorse a fronte di un turismo internazionale fortemente ridotto, ma soprattutto per ri-connettersi con i territori di riferimento, in una logica di sviluppo sostenibile, di qualità della vita.
Il digitale può fare da supporto a una cultura che trasforma e si trasforma, pur nella consapevolezza che l’esperienza virtuale non potrà sostituire l’esperienza dal vivo; semmai supportarla, complementandola (Claudio Calveri), verso nuove forme phigital. Tuttavia, siamo di fronte a una duplice sfida: occorre superare il divide infrastrutturale, ma
ancor di più quello relazionale affinché la tecnologia diventi veramente abilitante, veicolo di contenuti e relazioni, piuttosto che un contenitore ricco di esperienze trasferite dall’analogico e sostanzialmente inaccessibile. L’esempio della scuola è forse quello più lampante in questo senso (e.g. oltre a pc e connessioni, non dimentichiamo il ruolo di
famiglie e insegnanti in grado di spiegare e seguire i ragazzi, vedi Fondazione Feltrinelli), ma è facile vederne i parallelismi con il mondo dell’arte e della fruizione culturale, se pensati in un’ottica di accesso alla conoscenza per la costruzione di una cittadinanza consapevole e attiva.
È allora forse arrivato il momento di pensare in grande e osare, provando a connettere buoni semi e vecchie sfide che il coronavirus ha finito per ampliare e rendere molto più evidenti. Serve innanzitutto ri-creare un clima di speranza e di fiducia in Italia (come ha provato a fare in questi mesi Andrea Bartoli con lo speciale ‘Fabbricare Fiducia’ che oggi
diventa libro grazie a Giancarlo Sciascia) così come in Europa. Quale ruolo per la cultura? Philippe Kern avanza l’idea di un ““Direttorato Generale dell’Empatia” guidato da un Artista.