Realizzato in collaborazione con Mercedes Giovinazzo, Direttrice Interarts.
Questo contributo fa parte della rubrica #iosonocultura,  parte del Decimo rapporto IO SONO CULTURA realizzato da Fondazione Symbola, Unioncamere e Regione Marche in collaborazione con l’Istituto per il Credito Sportivo.

 

La pandemia che ha colpito il mondo in questi ultimi mesi lascerà un segno e non possiamo non domandarci quali conseguenze.

L’incertezza vale anche per il settore culturale e creativo, in Europa e al di là, con due aspetti che appaiono importanti. Il primo, che il settore ha veicolato con assertività, conferma che gli effetti immediati della pandemia sono stati devastanti: perdita di posti lavoro, progetti posticipati o annullati, bilanci annuali in rosso, enti che, indipendentemente dalla tipologia del loro statuto, hanno dovuto chiudere o chiuderanno a breve. Tutto ciò è accaduto senza preavviso quando, paradossalmente, il settore, seppur sempre fragile, viveva un momento relativamente positivo, e gli cominciava ad essere riconosciuto un ruolo importante, sia politico che sociale. Per palliare gli effetti del confinamento, molti enti culturali si sono mossi rapidamente e hanno offerto, con grande generosità, moltissimi prodotti e servizi digitali gratuiti ai cittadini per aiutarli ad affrontare in modo più sereno la difficile situazione personale, familiare e collettiva: la cultura ha dimostrato  di essere un elemento di fondamentale importanza per l’essere umano. Abbiamo quindi visto gli effetti dello slancio emotivo ma presto se ne sono visti i limiti. La cultura può essere “consumata” in remoto, per usare un termine non troppo caro, e non si può negare che il digitale offra degli spunti preziosi sui quali si debba riflettere per trarne il maggior vantaggio a beneficio del pubblico. Alcune reti europee hanno deciso di affrontare questa questione in modo diretto; ne citeremo due, con moltissimi anni di esperienza. La prima è l’IETM – International network for contemporary performing arts che, con oltre 450 membri in Europa, ha organizzato una serie di incontri digitali a carattere nazionale o regionale per valutare la situazione, realizzando gli incontri dalla propria sede o da quella messa a disposizione dai propri soci. La loro conclusione è che si è visto “un aumento della solidarietà”[1] tra i vari attori attivi nel mondo dello spettacolo dal vivo per superare la crisi, anche grazie al supporto fornito dalle tecnologie digitali. La seconda esperienza è quella della rete NEMO – Network of European Museum Organisations, che ha condotto uno studio con oltre 1.000 organizzazioni museali in Europa e che conclude[2] che i musei hanno contribuito a ridurre il senso di isolamento e solitudine grazie ad una maggiore offerta di servizi digitali interattivi e a costruire un senso di fiducia e di comunità attraverso la condivisione di oggetti e storie. Al di là dell’enorme offerta delle piattaforme online di entertainment (film, documentari, video, ecc.) chi non ha ricevuto, durante le peggiori settimane di lockdown, messaggi o mail in cui si proponevano visite guidate a collezioni museali? Chi non ha ricevuto link per vedere online opere di teatro? Chi non ha letto più di una rivista o un libro in formato digitale? In un’intervista[3] il direttore del Théâtre de la Ville di Parigi spiega che l’assenza di contatto umano è stato, ed è, una nuova realtà per gli enti culturali aperti al pubblico: riferendosi all’etimologia della parola teatro come “luogo dal quale si guarda”, sia come attori che come spettatori, ha completamente rifiutato la corsa al digitale, agli incontri per videconferenza. In alternativa, ha lanciato un nuovo progetto: “le consultazioni poetiche al telefono”, conversazioni intime tra un attore ed un partecipante per “stimolare il nostro immaginario come luogo della nostra libertà”. Alla fine del percorso, l’attore consiglia una poesia al suo interlocutore. L’idea di fondo è il rifiuto dell’esercizio collettivo online, in favore di un dialogo ed uno scambio tra due persone. I partecipanti sono di origini diverse, con percorsi professionali diversi, arricchendo, tra tutti, gli scambi tra settore culturale, scientifico e educativo, con l’obiettivo di posizionare le istituzioni culturali al centro del cambiamento, necessario ed obbligato, che la situazione richiede.

Ma è proprio qui dove risiede il problema maggiore: come si può definire il termine “beneficio” quando riferito ai prodotti e servizi culturali?

Come bilanciare la necessità di arrivare al pubblico, con una diversità di servizi che siano anche di qualità? Perché la cultura serve, soprattutto, a educare, far riflettere, far crescere; la cultura da piacere ed è anche passione, emotività ma non solo. I primi servizi delle grandi istituzioni culturali ad essere stati liquidati sono, paradossalmente, proprio i servizi educativi. Non solo, bisogna accettare che il digitale non è alla portata di tutti: non solo si devono possedere gli strumenti tecnologici adeguati ma, soprattutto, si devono avere le basi per la lettura e l’interpretazione di quanto viene offerto. Il risultato perverso, se si pretende digitalizzare a 360 gradi, è di ingrandire ancora la breccia digitale tra quelli che hanno e che sanno e quelli che non hanno o non sanno. L’accesso alla cultura, ed il suo rovescio, la partecipazione culturale, è un diritto umano individuale e non collettivo e come tale va preservato da politiche ed interventi mirati ed adeguati per, in ultima istanza, preservare quello che è stato definito, tanti anni fa ormai, come la democratizzazione della cultura. Un progetto europeo interessante da citare a questo proposito è Adeste+: Empowering audiences, rethinking culture che affronta la questione della formazione e dell’educazione dei pubblici e che dedicherà i prossimi mesi ad analizzare la situazione attuale in un contesto in cui il concetto di “democratizzazione della cultura” deve affrontare i fantasmi del populismo e dell’elitismo, ma anche quello dell’inuguaglianza: la vera sfida per il settore culturale, e dei servizi educativi in particolare, è di non perdere di vista quello che i promotori del progetto definiscono come la necessità di garantire l’integrità, il senso di direzione e la rilevanza[4].

 

Il secondo aspetto che si evidenzia è che le iniziative “per andare incontro” al settore, per sostenerlo in questo momento di grande difficoltà ed incertezza, sono molteplici e di natura svariata.

Partendo dal caso italiano, salta alla vista l’iniziale misura presa dal governo che ha previsto la riapertura delle librerie: salutata da tanti, anche sulle reti sociali, come un riconoscimento dell’importanza strategica del settore, è stata in seguito definita[5] come il semplice risultato della pressione dei grandi distributori, senza che vi fosse stata una riflessione in profondità quanto ai problemi generati, per piccoli e medi librai, dall’apertura: dalla perdita al diritto alle misure finanziarie di aiuto fino alla messa a rischio, inutile, della salute dei dipendenti. Questa prima misura è stata poi implementata e inquadrata in interventi più ampi, ma è interessante riflettere sulla dinamica sottostante. Probabilmente ci si sarebbe dovuti domandare: chi sarebbe andato in libreria, con il divieto generale ad uscire di casa? La domanda è, ovviamente, retorica ma serve a fare riflettere sull’eterna e costante strumentalizzazione della cultura, per fini prettamente commerciali o, all’altro estremo, di potere. Ad oggi nel mondo, si alzano voci che allertano in modo sempre più sostenuto riguardo la manipolazione a fini di potere e di controllo che si fa della cultura. Al di là delle misure messe in atto che, come si vedrà più avanti, sembrano essere tamponi applicati su ferite profonde, saltano alla vista episodi di attualità che preoccupano: la decisione, ad esempio, della HBO di ritirare, a seguito dell’ondata di contestazione al grido di #BlackLivesMatter, un film come Gone with the Wind è giustificata? Non è ovviamente in discussione il fatto che un omicidio, commesso da chicchessia contro qualsiasi essere umano, è semplicemente un atto moralmente riprovevole che dev’essere perseguito penalmente. Qui è in gioco ben altro e ci si può legittimamente domandare se si finirà per proibire un classico come l’Iliade perché tratta temi potenzialmente offensivi (l’onore e l’omosessualità maschili, la credenza che esistano essere superiori per “diritto di nascita”, ecc.) per un determinato collettivo. Qualcuno è riuscito addirittura a dire che, così come si sono obliterati i film promossi e finanziati durante il Nazismo, così devono essere rimossi dalla memoria collettiva quei prodotti culturali che possano offendere alcune persone. Fermo restando che nessuno può, né deve, arrogarsi il diritto di decidere cosa si possa dire e cosa non si possa dire e, tantomeno, cosa offende e a chi, bisogna accettare che andare in questa direzione vuole dire ammettere non solo la censura popolare ma anche proibire la libertà di pensiero e di espressione.

Tornando alle iniziative adottate a sostegno della filiera in seguito all’emergenza sanitaria, a livello internazionale, organismi come l’UNESCO hanno indetto già ad aprile una riunione ministeriale alla quale hanno partecipato 130 Stati membri per analizzare le conseguenze della pandemia sul “turismo, i musei, la produzione culturale e gli artisti”[6], presentare le misure in corso e confermare il ruolo dell’UNESCO per facilitare la cooperazione tra Stati, anche tramite la cooperazione in digitale. A seguito, l’UNESCO ha lanciato un bollettino “Culture & COVID-19: Impact and Response Tracker”[7] per offrire, con scadenza settimanale, un’istantanea della situazione del settore culturale e creativo nel mondo e delle misure prese dai diversi paesi, e la campagna mondiale Resiliart[8]. Un rapido sguardo al sito web lascia perplessi e, purtroppo, mette avanti più domande che risposte: vi è tanta informazione, tutta molto interessante ma che versa sui grandi principi, essenziali e fondamentali senz’altro, ma nessuna proposta concreta in termini di politiche pubbliche o di strumenti finanziari in supporto della cultura. In poche parole, tanti buoni propositi e dichiarazioni di principio ma, come si vedrà più avanti, pochissime azioni concrete. Sempre in questo contesto, a fine aprile varie organizzazioni internazionali della società civile hanno rilasciato, con il label Culture2030campaign, una dichiarazione congiunta in sostegno della necessità di riconoscere la cultura come quarto pilastro dello sviluppo umano[9]. Quest’azione simbolica è comunque di estrema importanza perché mirata a mettere un altro tassello nella costruzione di un discorso politico che permetta di posizionare la cultura al posto che le spetterebbe nei sistemi di governance. Ad inizio giugno, la Commissione Cultura della Rete mondiale di città e governi locali – United Cities and Local Governments – ha pubblicato il documento Culture, Cities and the COVID-19 Pandemic[10], che ha per obiettivo quello di sottolineare ed argomentare che la cultura, intesa in senso lato anche come settore produttivo, ha un ruolo fondamentale nelle politiche pubbliche locali, non ultimo quello di contribuire in maniera strutturante alla costruzione di cittadinanza. Nello stessa direzione, va anche la Carta di Roma: un  manifesto lanciato da Roma Capitale, la Commissione Cultura di UCLG, risultato di un processo collaborativo tra città, esperti e reti culturali, che mira a gettare le basi di un nuovo approccio al ruolo della cultura e delle politiche culturali come diritto universale di ogni individuo, in un momento in cui “commodification and economic priorities threatened equity, justice and human dignity”[11].

 

Resiliart ©Unesco

In una dichiarazione ufficiale, il Parlamento Europeo ha sottolineato che il settore culturale e creativo “gioca un ruolo importante per la nostra economia e la nostra vita sociale”[12] ma che, vittima della crisi, ha perduto in pochissime settimane tantissimi posti lavoro[13]. Culture Action Europe[14], piattaforma di advocacy per il settore culturale presso l’Unione Europea, ha ottenuto che la dichiarazione includesse una richiesta di aumento del budget equivalente all’1,3% del suo PIL, con una maggiore contribuzione al capitolo Coesione e valori, che include il settore culturale e creativo. Ciò nonostante, la proposta presentata a fine maggio dalla Commissione Europea per il nuovo Multiannual Financial Framework (2021-2017), sebbene in linea con l’idea di un nuovo Piano Marshall per l’Europa con tre pilastri d’intervento (supporto agli Stati Membri, ripresa economica e investimenti privati, lezioni apprese dalla crisi), non ha tenuto conto di questa richiesta: la proposta di 1,52 miliardi di euro per il programma Europa Creativa è addirittura inferiore a quella avanzata nel 2018 dalla stessa Commissione. Bisognerà comunque aspettare che il Consiglio Europeo approvi il nuovo MFF e si può solo sperare che, nonostante le enormi divergenze di approccio tra gli Stati Membri, questo avvenga a breve, per il bene dell’Europa e del progetto europeo. Infatti, in un momento di così grande criticità, affiorano in modo evidente alcune delle limitazioni con le quali è costretta a confrontarsi l’Unione Europea: la mancata devoluzione di competenze, soprattutto fiscali, all’Unione da parte degli Stati membri non permette un grande margine di manovra e ogni decisione è il risultato di negoziazioni cavillose che rallentano la messa in cantiere dei programmi operativi. Questa realtà è evidente anche per quanto riguarda il settore culturale: la clausola di sussidiarietà riconosce agli Stati membri la loro sovranità in materia e riduce l’importanza dei programmi per la cultura dell’Unione. In questo contesto va anche interpretato lo strumento “aiuti di Stato”: sono appunto gli Stati membri che decidono come destinare i fondi. La Svezia è uno dei pochi paesi che ha deciso di destinare, tramite questo strumento, 38M di corone svedesi per “compensate businesses active in the organisation of cultural events for the damages suffered in these difficult circumstances.”[15]. Al di là di questo strumento, la Commissione ha promesso di rendere più rapide le decisioni per i prossimi giri del programma Europa Creativa e ha messo a punto alcune iniziative destinate ad infondere, se non altro, un po’ di vitalità al settore: piattaforme come il Creatives Unite[16], piattaforma per artisti e “creativi” lanciata da un consorzio di organizzazioni beneficiarie di supporto europeo, o l’iniziativa EUvsVirus pensata dalla Commissione Europea “per identificare idee e progetti innovativi, portati da imprenditori e attori della società civile, in un contesto di solidarietà, collaborazione decentralizzata e legittimazione”[17]. Possiamo sperare che la dichiarazione[18] rilasciata ad inizio aprile dal Consiglio Europeo sotto la presidenza della Croazia abbia un effetto positivo nel dare una spinta ad ulteriori misure concertate.

 

È impossibile recensire tutte le iniziative e misure prese dai governi europei, né è lo scopo di questo intervento; per una visione delle misure messe a punto dai diversi paesi, si consiglia la sezione specifica messa a punto dal Compendium of Cultural Policies and Trends che ha fatto un eccellente lavoro comparativo che viene attualizzato regolarmente[19]. A titolo di esempio, la Germania ha previsto di includere nelle misure finanziarie iniziali di riscatto per 50 miliardi di euro anche le piccole imprese culturali ed il ministro della cultura ha appena chiesto l’ampliamento dello stanziamento[20]. Nel Regno Unito sono apparse varie iniziative: Artquest[21], che identifica le risorse e i finanziamenti per gli artisti a partire da ricerche già completate; Fact Together[22], piattaforma online per commissioni ad artisti durante il lockdown; The Artists Information Company ha indetto le borse di studio Time Space Money[23] in collaborazione con l’Arts Council of England. Detto ciò, come recentemente pubblicato nel The Guardian, il settore ha lanciato un appello firmato da centinaia di personalità indicando che il paese potrebbe a breve diventare “a cultural wasteland” se non vengono prese le misure politiche adeguate[24]. In Spagna, il 7 maggio il governo ha approvato un pacchetto di 76M€ per il settore culturale e creativo ma le misure specifiche devono essere ancora dettagliate.

 

© FACT Together

Dal resto del mondo, le notizie sono diverse[25]: la Primo Ministro, anche Ministro per l’Arte, la Cultura ed il Patrimonio, della Nuova Zelanda ha annunciato un aumento del budget del programma Creative New Zealand di 25 milioni di dollari neozelandesi[26]; la Copyright Agency dell’Australia ha approvato un Emergency Action Funding di mezzo milione di dollari australiani[27]. In America Latina, la Colombia ha annunciato un fondo di 3 miliardi di pesos colombiani (ca. 725mila euro) per i musei del paese[28] e un fondo di circa 300 mila euro per gli imprenditori culturali. Il Governo del Canada ha messo da parte 500 milioni di dollari canadesi per un fondo di supporto di emergenza per le organizzazioni culturali, del patrimonio e sportive; concretamente, per la cultura si rilasceranno a breve 55milioni di dollari canadesi[29]. Il National Arts Council del Sud Africa ha deciso di anticipare i fondi ai beneficiari del 2019-2010 anche se non hanno potuto presentare i risultati dei loro progetti[30] ed il Botswana e lo Zimbabwe hanno messo a punto alcune misure di aiuto per giovani imprenditori culturali ed artisti. Americans for the Arts, l’organizzazione associativa più importante degli Stati Uniti, offre un panorama regolarmente attualizzato della situazione e sta portando avanti un’inchiesta per valutare l’impatto della pandemia nel settore artistico e culturale[31], mentre il National Endowment for the Arts gestisce il finanziamento messo a disposizione del settore dal Coronavirus Aid, Relief and Economic Security (CARES) Act[32]. In Malesia, il governo presenterà un piano di aiuto per il settore culturale[33] mentre la Corea del Sud sta portando avanti uno studio per individuare le aree verso cui indirizzare gli sforzi.

La situazione è poco chiara, fluttuante; si è in attesa di sapere cosa sarà del nostro futuro, come singoli cittadini ma anche come collettività. La prima ondata di sentimento positivo generato dalla pandemia e che ha visto il proliferare di tantissime iniziative spontanee e generose da parte del settore sta perdendo di intensità in seguito allo scontro con la realtà. Una realtà difficile e complicata, di forte recessione economica con il conseguente malessere sociale che potrebbe sfociare in situazioni anche conflittuali che dovranno essere gestite. A rischio è il nostro sistema occidentale di “welfare”, al quale siamo oramai più che abituati. La cultura rischia di non essere più un bene necessario ma un bene superfluo, almeno per la maggioranza e bisognerà capire quanto il settore pubblico potrà fare: in altre parti del mondo, più abituate a sistemi misti o caratterizzate da un significativo supporto privato e della società civile, la situazione sarà diversa ma in Europa, abituata ad un fortissimo intervento pubblico, si vedrà cosa succede. Sopravvivranno, senza alcun dubbio, anche se con modalità probabilmente diverse, le grandi organizzazioni ed infrastrutture culturali di “interesse generale” ma spariranno tantissime organizzazioni ed iniziative di altro calibro e tipologia. Le domande, a questo punto, sono tante e tra le più urgenti c’è questa: come immaginare politiche ma anche meccanismi di solidarietà per non dover cedere a sistemi di oligopolio e di controllo ma, anzi, preservare tutta la nostra diversità e capacità creativa? Evidentemente non c’è una soluzione unica per tutto: la “one-size fits all” non è, difatti, concepibile e tutti noi, cittadini ma anche professionisti del settore culturale, dobbiamo essere capaci di pensare e mettere in atto nuovi modi di approcciarci ai problemi; dobbiamo innanzitutto credere e difendere il valore pubblico della cultura come elemento di sviluppo ma anche di creazione di bene comune, per tutti, oggi e domani.

 

 


[1] https://www.ietm.org/en/season-closing

[2] NEMO, Survey on the impact of the COVID-19 situation on museums in Europe Final Report. https://www.ne-mo.org/fileadmin/Dateien/public/NEMO_documents/NEMO_COVID19_Report_12.05.2020.pdf

[3] Sylvian Bourmeau, intervista ad Emmanuel Demarcy-Mota « Pour la culture, ce virus est un accélérateur », AOC, 25 aprile 2020.

[4] https://www.adesteplus.eu/event/european-conference-2nd-episode-a-new-vision-for-culture-integrity-direction-and-relevance/

[5] Librai perplessi: «Riaprire? Una buffonata, non ne vale la pena» in Giornale di Brescia, 14 aprile 2020

https://www.giornaledibrescia.it/economia/librai-perplessi-riaprire-una-buffonata-non-ne-vale-la-pena-1.3473040

[6] https://en.unesco.org/news/more-130-ministers-call-support-culture-sector-covid-19-crisis-response

[7] https://en.unesco.org/news/culture-covid-19-impact-and-response-tracker

[8] https://en.unesco.org/news/resiliart-artists-and-creativity-beyond-crisis

[9] Le organizzazioni che hanno rilasciato la dichiarazione sono: Arterial Network, Culture Action Europe, ICOMOS – International Council on Monuments and Sites, IFCCD – International Federation of Coalitions for Cultural Diversity, IFLA – International Federation of Library Associations and Institutions, IMC – International Music Council, Latin American Network of Arts for Social Transformation, UCLG (United Cities and Local Governments) Culture Committee – Agenda 21 for culture. The full text is available at: http://www.agenda21culture.net/sites/default/files/en_culture2030goal_declaration_culture_and_covid19.pdf

[10] http://www.agenda21culture.net/sites/default/files/files/documents/en/report_8_-_culture_cities_covid19_-_eng_0.pdf

[11] http://www.2020romecharter.org/

[12] EU coordinated action to combat the COVID-19 pandemic and its consequences European Parliament resolution of 17 April 2020 on EU coordinated action to combat the COVID-19 pandemic and its consequences (2020/2616(RSP)), $33, 43. See: https://www.europarl.europa.eu/doceo/document/TA-9-2020-0054_EN.pdf

[13] Dalle ECOC 2020, Galway e Rijeka, che hanno dovuto interrompere attività e licenziare gran parte del personale a tutti i free-lancers che lavorano in condizioni precarie per le grandi e medie industrie ed istituzioni pubbliche culturali.

[14] www.cultureactioneurope.org

[15] https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/en/IP_20_723

[16] https://creativesunite.eu/

[17] EUvsVirus: from Ideas to Solutions. Final Report, June 2020, p. 8. https://www.euvsvirus.org/finalreport.pdf

[18] https://www.min-kulture.hr/userdocsimages/T%20H%20U%20M%20BO%20V%20I/Novi%20direktorij/dec/The%20Declaration%20of%2026%20Ministers%20of%20Culture%20-%20COVID-19%20CCS%202020.pdf

[19] https://www.culturalpolicies.net/covid-19/comparative-overview/

[20] https://news.artnet.com/art-world/germanys-state-culture-ministers-aid-1844514

[21] https://www.artquest.org.uk/

[22] https://www.fact.co.uk/news/2020/04/fact-together-new-online-commissioning-scheme-to-support-artists-in-lockdown

[23] https://www.a-n.co.uk/about/a-n-bursaries-time-space-money/#:~:text=Time%20Space%20Money%20is%20an%20emergency%20response%20fund%20to%20support,practice%20at%20this%20critical%20time.

[24] https://www.theguardian.com/world/2020/apr/26/uk-could-become-cultural-wasteland-due-to-coronavirus-say-artists

[25] https://ifacca.org/en/: l’International Federation of Arts Councils and Arts Agencies – IFACCA pubblica regolarmente le misure dei governi per il settore culturale.

[26] https://www.creativenz.govt.nz/news/creative-new-zealand-welcomes-biggest-government-investment-in-the-arts-for-two-decades

[27] https://www.booksandpublishing.com.au/articles/2020/05/29/151333/copyright-agency-announces-additional-125000-emergency-funding/

[28] https://www.elespectador.com/coronavirus/ministerio-de-cultura-destinara-3000-millones-para-apoyar-los-museos-del-pais-articulo-920177

[29] https://canadacouncil.ca/funding/strategic-funds/covid-19-emergency-fund

[30] https://www.nac.org.za/latest-news/nac-provides-relief-funding-to-2019-20-beneficiaries/

[31] https://www.americansforthearts.org/

[32] https://www.arts.gov/coronavirus

[33] https://www.thestar.com.my/news/nation/2020/05/24/plans-underway-to-help-arts-creative-industries-weather-the-mco