Sta succedendo qualcosa che solo pochi anni fa sembrava impensabile. Non avviene in modo lineare, ma i segnali cominciano a essere più forti. Costanti. La pandemia ha aperto una situazione di emergenza che però non ha rallentato quello che stava accadendo prima di marzo: le imprese, le istituzioni, le persone, le comunità, stanno sempre di più ragionando (e agendo) su come tenere l’equilibrio tra profitto, responsabilità individuale e bene comune.

Solo qualche anno fa la parola sostenibilità era confinata a pochi visionari dell’ambiente inteso come fattore di sviluppo. Visti anche con qualche sospetto da chi aveva subito i danni di un ecologismo estremo e di maniera. Ma qualcosa sta cambiando. E l’Europa, spesso considerata (a torto) la causa di tutte le fragilità che dobbiamo affrontare, si sta rivelando ancora una volta un motore di innovazione. Il punto non sono tanto le risorse del Next Generation Ue di cui il Recovery fund è il segno più tangibile, 209 miliardi disponibili per l’Italia. Ma la loro direzione, dove puntano a orientare le scelte dei Paesi di qui al 2026. Verso un’economia sostenibile e inclusiva.

Che contribuisca a mitigare la crisi climatica. Ecco, quello che negli anni Settanta era il ‘bivio tra semplice crescita del Pil e sviluppo, inteso come minori disuguaglianze e minori danni al Pianeta, è entrato nell’Agenda politica in maniera definitiva. E adesso, con l’elezione di Joe Biden alla presidenza degli Stati Uniti, sarà decisivo vedere come la transizione da Donald Trump, che si era ritirato dagli Accordi di Parigi, sarà veloce e coerente con le promesse elettorali. Ma intanto l’Europa, con tutti i suoi fardelli burocratici, si è messa in testa di giocare la partita da leader. Certo, da sola, può fare poco per la decarbonizzazione, dal momento che le economie cinesi e Usa rappresentano una fetta molto più consistente di CO2, ma il segnale è forte.

E i numeri, anche per i più scettici, cominciano a dare ragione ai visionari. Basta leggere il rapporto Symbola Unioncamere: 432 mila imprese italiane hanno investito sulla green economy, 3,1 milioni di posti di lavoro, la percentuale di riciclo è al 79%, il livello più alto dell’Unione Europea. Numeri che raccontano un’altra cosa: la sostenibilità non è più solo un fattore morale, ma di profitto civile, che riduce i danni collaterali. E c’è un altro elemento da non sottovalutare: la pandemia, e con la seconda ondata questo è stato purtroppo ancora più evidente, ha fortemente indebolito le imprese. Chi ha continuato a insistere sull’economia circolare, continua a crescere (circa il 16% in più) o a perdere meno fatturato. L’ambiente può diventare un alleato del conto economico, non un costo.