Il rispetto dell’ambiente non è solo una necessità, ma una nuova frontiera della competizione economica. Un bel vantaggio per l’Italia, che nell’economia circolare ha riscoperto antiche vocazioni e da qui potrebbe agganciare la ripresa. Per Ermete Realacci, presidente della Fondazione Symbola, le imprese eccellenti del Made in Italy lo hanno capito, ma si muovono nel mondo senza avere dietro un sistema Paese in grado di sostenerle.
Come s’inserisce lo sviluppo sostenibile nel Made in Italy?
«L’eccellenza italiana sta proprio nel connubio tra efficienza, qualità e bellezza. E quando si fa bellezza e qualità, si fa un’operazione profondamente ambientalista. Le imprese italiane sono state costrette all’efficienza da sempre, per mancanza di risorse. E della frugalità hanno fatto un punto di forza. Basta guardare ai nostri campioni mondiali».
Qualche esempio?
«Prendiamo le piastrelle: sono all’avanguardia per la bellezza, ma anche per l’innovazione. Con la produzione di lastre ceramiche sempre più sottili sono stati dimezzati i consumi di energia, di acqua, di trasporti ed è anche per questo che l’Italia vende tutti gli anni nel mondo 350 chilometri quadrati di piastrelle, tre volte la superficie di Parigi. Dal nostro rapporto emerge chiaramente che le imprese green hanno un dinamismo sui mercari esteri nettamente superiore al resto del sistema produttivo italiano».
Basteranno queste eccellenze per superare la crisi in cui siamo ripiombati?
«Il problema è che per avanzare bisogna remare tutti nella stessa direzione. L’industria italiana fa del suo meglio, ma si muove nel vuoto della politica. C’è chi riesce ad andare avanti da solo, ad esempio un colosso come l’Enel, che in quanto leader mondiale delle fonti rinnovabili è sostenuto dai fondi etici, ben felici di entrare a far parte del suo azionariato. Le imprese più piccole, invece, avrebbero bisogno di una rete di sostegno».
In quali forme e in quali sedi?
«Quando un Paese ha delle eccellenze come le nostre, dovrebbe tifare per loro in tutte le sedi. Prendiamo il caso dell’industria dell’arredamento, che è riuscita a produrre pannelli truciolari senza formaldeide: si tratta di un’innovazione verde su cui l’Italia potrebbe puntare anche a livello europeo. Se fossimo la Germania, andremmo a pestare un pugno sul tavolo a Bruxelles per chiedere di ridurre i livelli di formaldeide consentiti in Europa. Invece la politica italiana considera irrilevanti i temi ambientali, che sono completamente assenti nel discorso pubblico».