Le relazioni possono garantire sicurezza e continuità delle attività industriali e migliorare la qualità delle produzioni. L’interruzione forzata dovuta al Covid-19 di molte filiere, soprattutto quelle relative a beni durevoli, non solo ha reso evidente la fragilità di catene del valore lineari ma anche il valore e la resilienza di filiere più corte e compatte tenute insieme non solo dalla convenienza economica.

Per avere un’idea di quello che sta accadendo guardiamo il settore delle biciclette dove a fronte di una domanda crescente di prodotto, le aziende europee ed italiane non riescono ad evadere gli ordini a causa di catene di fornitura frammentate e fortemente rallentate: più di 300 giorni di attesa per ricevere parti di freni dai Paesi asiatici (Cina in primis), ruote e cambi, 300 per una sella, 270 per pedali e copertoni, 240 per manubri e forcelle, 210 per un telaio (1).

Anche per questi motivi torna di grande attualità quello che la globalizzazione ci aveva fatto abbandonare, le comunità produttive compatte, costruite su partnership collaborative e strategiche, in cui si condividono valori, strategie e conoscenze.

I vantaggi sono molti e per tutti, non solo perché così facendo si accresce il valore delle singole imprese, ma aumenta anche il valore complessivo di tutta la filiera con effetti positivi su prodotti, servizi, processi. Facciamo un esempio. Per produrre una motocicletta, il processo in molti casi parte da un progetto realizzato da un’impresa che successivamente commissiona a diversi fornitori la realizzazione di tutte le componenti, che una volta assemblate potrebbero avere problemi e incompatibilità inattese. Risultato? I tempi si allungano e la riuscita del progetto non sempre è garantita. Lo sa bene la Ducati di Borgo Panigale (BO), che per realizzare le sue moto da sempre coinvolge i propri partner già in fase di ideazione del prodotto, permettendo ad ognuno di loro di contribuire al progetto nel proprio segmento di competenza, prospettando da subito la fattibilità e prevenendo l’emergere di criticità, garantendo il successo del processo e aumentando contemporaneamente anche il livello di innovazione.

Il modello di catena del valore lineare lascia il passo a ecosistemi produttivi relazionali più dinamici e più resilienti agli shock e ai cambiamenti.

Per sviluppare queste relazioni però è necessario cambiare cultura, creare piani di produzione condivisi, mettere in comune obiettivi, standard qualitativi, azioni, ecc., facendosi carico insieme della responsabilità del valore generato. La crisi sembra aver dato una spinta in questa direzione mettendo in evidenza tutti i limiti della frammentazione produttiva e commerciale. Cresce per esempio lo sviluppo di hub per poter fare innovazione, aprire filiali e partecipare a gare internazionali che richiedono capacità finanziaria, garanzie e caratteristiche che raramente un piccolo produttore può offrire.

Non solo in tempi di scarsità di materie prime, come quello attuale, l’incidenza dei costi rischia di diventare insostenibile per le piccole realtà. Particolarmente interessante quello che sta prendendo forma in Italia sul vetro piano. Nasce nel 2009 con il nome di Glass6therm per volontà di sei imprese per mettere a fattor comune risorse, competenze e centri di ricerca e rete dei contatti per uscire rapidamente dalla crisi che aveva investito il settore dell’edilizia. Oggi le imprese coinvolte sono 16 con un fatturato complessivo di 80 milioni di euro, 400 dipendenti e l’obiettivo di arrivare a 30 imprese nei prossimi tre anni. Non c’è più competizione ma coordinamento e condivisione. Le imprese di Glass Group, questo il nuovo nome dell’hub italiano del vetro, anche in un anno difficile come il 2020 a fronte di un calo medio di fatturato del settore del 6% hanno mantenuto i livelli di fatturato del 2019 e prevedono una crescita nell’anno superiore alla media del comparto (2). Un caso non isolato: si moltiplicano negli ultimi mesi notizie di progetti di aggregazioni produttive in molti settori, ultima quella annunciata da uno dei settori più colpiti dalla crisi, quella dei mobili e sistemi per ufficio (-20% nel 2020) (3).

Crescono inoltre casi di imprese di grandi dimensioni che creano attorno a loro ecosistemi produttivi coesi e per aumentarne la competitività investono sulla formazione degli altri membri aumentando il loro valore, creando realtà più strutturate e solide, capaci di resistere alle crisi, accrescendo le capacità finanziarie, aumentando loro il ranking bancario, aprendo a nuove opportunità di business.

Non sono pochi i big player che lo hanno fatto, come Enel, Leonardo e IMA, con importanti vantaggi in termini di competitività. Non bisogna inoltre dimenticare che il rafforzamento delle piccole e medie imprese porta a rendere più stabile l’intero sistema, con maggiori risultati in termini di performance, innovazioni e competitività a livello internazionale. Per capire meglio il valore di questa interdipendenza è interessante raccontare il comportamento della Honda di Atessa con le 21 imprese (monocliente) dell’indotto durante la grande recessione 2007-2013. La durissima crisi portò dal 2008 il colosso nipponico delle due ruote a perdere ben 404 lavoratori diretti nello stabilimento di contrada Saletti e se consideriamo che il rapporto con l’indotto è di uno a tre possiamo capire l’impatto complessivo per il territorio. In quel momento l’impresa, per mantenere viva la filiera ed evitare che tutto si spostasse in Asia, si è fatta carico del futuro delle sue aziende fornitrici avviando una attività condivisa di accreditamento presso aziende competitor come KTM e Piaggio. Non tutte le imprese hanno saputo cogliere quella opportunità, ma quelle che lo hanno fatto si sono salvate, migliorando la loro esperienza, differenziando il portafoglio clienti, e aumentando la loro qualità e Honda ha salvato la sua comunità produttiva. Che la relazione abbia anche effetti sulle performance delle imprese ce lo ricordano da anni i Monitor trimestrali sui distretti di Intesa Sanpaolo e l’Osservatorio Nazionale sulle reti di impresa. Entrambe hanno evidenziato la correlazione positiva tra l’appartenenza a una rete o a un distretto e la crescita e l’aumento di redditività delle imprese che ne fanno parte. Oltre il 30% delle imprese aderenti ad un contratto di rete (a tre anni dall’ingresso in rete) sono cresciute in termini di fatturato, numero di addetti, valore della produzione e redditività rispetto al triennio precedente. A fine 2018 i contratti di rete hanno raggiunto quota 5.135, coinvolgendo oltre 31.400 imprese su tutto il territorio nazionale (4).

Comunità produttive non statiche ma in continua riconfigurazione come evidenzia Artemide (5) – azienda produttrice di lampade. L’azienda di Pregnana Milanese (MI) ha da tempo smesso di pensare ai propri clienti come utilizzatori finali di lampade, iniziando ad interessarsi a tutto ciò che può migliorare la loro vita. Così la domanda posta alla base della produzione è passata da “Come possiamo migliorare il modo di cambiare le lampadine?” a “Come possiamo far sentire meglio una persona quando torna a casa dal lavoro alle sette di sera?”. Attorno a questo Artemide ha avviato un dialogo costruttivo con aziende di settori e filiere con cui non era mai entrata in relazione prima, dai produttori di apparecchi televisivi e sistemi audio ai personal computer e game console, ma che erano alla ricerca delle stesse risposte. Tale ricerca sugli scenari domestici ha permesso ad Artemide di condividere la propria conoscenza in materia e sviluppare insieme alla sua comunità nuovi prodotti per nuovi modelli socio-culturali e stili di vita.

 

(1) Larizza A., L’industria della bici in affanno riporta le produzioni in Europa, Il Sole 24 Ore, 26 gennaio 2021.

(2) Mancini G., Glass Group, nasce l’hub nazionale del vetro piano made in Italy, Il Sole 24 Ore, 19 marzo 2021.

(3) Mancini G., L’arredo uffici perde il 20% di ricavi, ‘Un hub nazionale per la ripartenza’, Il Sole 24 Ore, 9 aprile 2021.

(4) Cabigiosu A. e Moretti A. (2020), a cura di, Osservatorio Nazionale sulle reti d’impresa, Pearson Italia: Torino-Milano.

(5) Verganti R. (2009), Design-Driven Innovation. Cambiare le regole della competizione innovando radicalmente il significato di prodotti e servizi. Rizzoli Etas: Segrate (MI)