L’urbanista del Mit e le sue città green Carlo Ratti punta a ripensare i modi in cui si coniugano il fabbisogno energetico delle metropoli e la sfida del cambiamento climatico “un’architettura che percepisce e risponde”. Non è il solo ad aver percorso un cammino del genere. L’uso della tecnologia e l’attenzione alla sostenibilità è la cifra stilistica ad esempio del Bjarke Ingels Group, Big, studio nel 2005 da Bjarke Ingels a Copenaghen, in Danimarca che di recente fra gli altri progetti sta lavorando alla città del futuro Toyota Woven City, alle pendici del Monte Fuji, e al Charleston East campus in Mountain View per Google. Tornando a Ratti, nel 2011, durante un Ted Talk, spiegò : «Negli ultimi anni, le nostre città sono state ricoperte da reti ed elettronica. Sono diventate una sorta di computer a cielo aperto. E, in quanto computer, stanno iniziando a rispondere in modi diversi per poter essere captate e messe in moto». L’idea quindi era ed è ancora oggi quella di sfruttare i sensori sempre più presenti nella nostra vita, basti pensare a quelli degli smartphone o delle automobili connesse, per ottimizzare i centri urbani. Le città del resto occupano solo il due per cento della superficie terrestre, ma ospitano il 50 per cento della popolazione mondiale e consumano il 75 per cento dell’energia. Da Singapore a Barcellona, quelli sono stati gli anni del grande balzo in avanti delle cosiddette smart city e spesso dietro c’erano oltre ad alcuni interventi infrastrutturali, l’uso massiccio di sensori e in seguito l’analisi dei dati fatti dell’intelligenza artificiale. Fra cassonetti smart che di Jaime D’Alessandro «Gli eventi a cui stiamo assistendo, dalla guerra in Ucraina ai conseguenti interrogativi sul futuro dell’autonomia energetica per l’Europa, ci obbligano a ripensare i modi in cui possiamo coniugare il fabbisogno energetico delle nostre città con la sfida del cambiamento climatico. Credo sia importante sfruttare questo momento drammatico per imprimere una accelerazione ancora più forte in senso di sostenibilità ambientale. Dal Nord Europa spira un vento di cambiamento che forse ci può essere di ispirazione». Così Carlo Ratti, architetto italiano che più di tutti usa la tecnologia applicandola all’urbanistica oltre che agli edifici. Nato a Torino nel 1971, laureato prima al Politecnico poi all’Ecole Nationale des Ponts et Chaussées di Parigi, Francia, ha completato la specializzazione in architettura dal Martin Centre dell’Università di Cambridge, in Inghilterra. Da lì, nel 2000, si è trasferito al Massachusetts Institute of Technology (Mit) per lavorare nel Media Lab, lo stesso cofondato da Nicholas Negroponte a metà degli anni Ottanta. Nel 2004 apre il MIT Senseable City Lab che Ratti da allora comincia a dirigere all’età di 29 anni. Ha colmato un vuoto a suo modo eclatante, puntando all’incrocio fra tecnologia digitale e architettura e immaginando un’integrazione simbiotica. È stato lui ad introdurre l’idea di avvertono quando sono pieni per una raccolta più precisa dei rifiuti, evitando così che i mezzi siano in circolazione inutilmente, e gestione intelligente e coordinata dei semafori, fino alle telecamere capaci di analizzare traffico, flusso dei pedoni e passeggeri dei mezzi pubblici, la tecnologia ha cominciato a diffondersi fra asfalto e cemento. Ma tutto ciò si è aggiunta ora la necessità di ridurre l’impatto ambientale, cominciando con l’ottimizzazione dei trasporti e l’uso di energia pulita. Una sfida che prevede necessariamente una visione diversa dei servizi pubblici e privati e una nuova generazione di infrastrutture che vanno inserite in tessuti urbani dove convivono epoche diverse e differenti modalità. Di recente, lo studio CRA-Carlo Ratti Associati, ha sviluppato il progetto Helsinki Hot Heart, per mettere a punto un nuovo modo per decarbonizzare il sistema di riscaldamento metropolitano, a partire della capitale finlandese, ma in futuro anche per le nostre città in Italia. «Il progetto propone un’infrastruttura di dieci larghe isole artificiali galleggianti in mezzo al mare, le quali funzionano come batterie termiche», conclude Carlo Ratti. «L’energia proveniente da fonti rinnovabili viene immagazzinata al loro interno sotto forma di acqua calda, la quale viene poi redistribuita nel sistema di riscaldamento cittadino. Di questo e altre opportunità discuteremo insieme al Festival di Green&Blue».  Attivisti e artisti per il Pianeta Il 5 e 6 giugno al Teatro Parenti 5 giugno con Casadilego, Erica Mou, Marina Rei, Francesca Michielin e Malika Ayane con la band di Mark Hannah; intervengono Francesca Reggiani; Paolo Nori, Stefano Gregoretti e Dino Lanzaretti, Paola Gianotti, Gabriele Gregori, Marianna Mea, Alice Pomiato, Francesca Santoro Valeria Barbi. Presentazione dei vincitori del progetto Junior Achievement Climate Changers e del progetto fotografico Climate Change Italia. 6 giugno mattina The Big Debate, dalle 9 alle 19 Opening. Frans Timmermans. Giuseppe Sala. Svitlana Krakovska, Francesco La Camera. Lo stato della transizione ecologica. Giorgio De Rita; Roberto Cingolani con Maurizio Molinari; panel con Stefano Ciafani (Legambiente), Giuseppe Onufrio (GreenPeace), Donatella Bianchi (Wwf), Pierluigi Stefanini (ASviS), Gianni Silvestrini (Kyoto Club), Edoardo Croci (Italia Nostra), Simone Molteni (Lifegate), Edo Ronchi (Fondazione Sviluppo Sostenibile); panel con Nicola Lanzetta (Enel Energia), Renato Mazzoncini (A2a), Giovanni Brianza (Edison Next), Giacomo Donnini (Terna) Stefano Grassi (EU Commission). Cristina Messa La sfida olimpica. Gloria Zavatta (Milano-Cortina) e Deborah Compagnoni con Luca Fraioli. La nuova moda. Federico Marchetti e Lorenzo Bertelli con Emanuele Farneti Il ruolo delle imprese. Mario Arvedi Caldonazzo (Arvedi), Ermete Realacci (Symbola), (CHN Group), Eleonora Santi (PM) Il ruolo degli alberi. Stefano Mancuso Libri Green & Blue dalle 10 Vi teniamo d’occhio. Federico Taddia e Potito Ruggiero La ragazza dei lupi.