La lettura trasversale dei molti progetti innovativi evidenziati dal Rapporto Symbola-Unioncamere di quest’anno rivela un tratto comune: la capacità di essere contemporaneamente “più cose”. Non si tratta di semplice accostamento di forme espressive diverse, non è esattamente un dialogo fra linguaggi artistici, anche se più linguaggi vengono utilizzati insieme, non è neppure un ibrido, e meno che mai una fusione. Se la parola non avesse un connotato negativo, il termine che utilizzerei è contaminazione. È come se per attivare la loro capacità trasformativa e costringerci a orientare lo sguardo le attività e i progetti culturali dovessero “dislocarci” un poco, quanto basta per non farci sentire completamente persi, ma abbastanza per essere incuriositi, per riconoscere la novità, per stimolare un pensiero nuovo, diverso, un po’ come succede al ristorante quando un piatto (un cannolo, un tiramisù) d viene proposto “scomposto”. Prendiamo ad esempio il processo di produzione dell’album Karma Clima dei Marlene Kuntz: la dimensione esperienziale non riguarda solo la fase di performance, ma anche quella tradizionalmente più “industriale” diregi_ strazione, a sua volta realizzata in tre sedi decentrate e occasione di relazione con interlocutori diversi (realtà locali, fornitori, residenti). L’output del processo produttivo è l’album, uscito in questi giorni, ma anche un progetto fotografico, ma anche una tournée, ma anche una serie di incontri, in presenza e sul web. Ciascuno degli elementi che compongono l’output è classificabile secondo categorie note, ma il senso dell’operazione (da un punto di vista artistico, sociale, politico ed economico)si coglie solo guardando il tutto, nei suoi aspetti produttivi, di ricerca, di relazione. Non è un incrocio, ma un accostamento fortemente pensato la responsabilità dell’ibridazione non è tanto in chi produce, ma in chi fruisce. Questo nuovo modo di “fare cultura” allarga il nostro possibile: stimola chi ricerca e progetta a divulgare usando i linguaggi propri degli spazi in cui l’esperienza culturale avviene (come nel caso della XXIII Triennale di Milano, in cui l’ignoto si dischiude in un accostamento poetico fra scienza e arti) o a proporre le forme del racconto scientifico in uno spazio abitualmente dedicato alle arti (come nel caso di Human Brains alla Fondazione Prada). Da un punto di vista gestionale ed economico è molto sfidante: l’organizzazione per il posto a quella per processi, la cui articolazione e complessità possono essere solo in parte controllate. La qualità del risultato non dipende solo dal presidio dei processi, ma è affidata alla consapevolezza dei diversi interlocutori coinvolti nella progettazione, nella realizzazione e nella fruizione, il che inserisce una componente di rischio nella strutturale fragilità dei mondi della cultura. E poiché il progetto risulta molto sfaccettato, la riflessione sulla distribuzione di costi, tempi e risorse e sui modi in cui si forma il risultato economico diventa molto importante. Gli spazi della cultura devono contemporaneamente rendere possibile lo sviluppo di reazioni alchemiche non completamente prevedibili ed essere gestiti con l’attenzione che si pone ai tassi di rotazione dei diversi scaffali di un supermercato. Il successo si costruisce sulla capacità congiunta di visione di chi progetta, sulla reputazione e sulla responsabilità di chi partecipa, sulla disponibilità ad essere stupiti di chi fruisce: questo avviene solo in presenza di fiducia. E quando avviene, si manifesta il valore specifico delle organizzazioni culturali: la costruzione moltiplicativa di capitale sociale.