L’Italia è protagonista a livello internazionale della transizione verde, che rappresenta oggi uno dei principali driver di sviluppo delle nostre imprese e di crescita dell’occupazione. Lo dimostrano i dati e le storie del tredicesimo Rapporto Greenitaly, realizzato dalla Fondazione Symbola e da Unioncamere con la collaborazione del Centro Studi Tagliacarne: uno strumento prezioso e innovativo di indagine, che fotografa un sistema-Italia all’avanguardia nel mondo. Nel 2021, anno di ripresa post-pandemia, è cresciuta la quota di imprese eco-investitrici in Italia, rilanciando il processo di transizione verde del Paese: le nostre aziende che investono in sostenibilità sono passate infatti dal 21,4% del totale nel 2020 al 24,3% dello scorso anno. Nel quinquennio 2017-2021 sono oltre 531 mila le aziende italiane che hanno deciso di investire in tecnologie e prodotti green: nel settore dell’industria ben il 40,6% delle imprese ha realizzato questo tipo di investimenti, valore che sale al 42,5% nella manifattura. Percentuali record a livello internazionale, che dimostrano quella che potremmo definire una propensione «antropologica» degli imprenditori italiani gli inventori del «bello e ben fatto» verso strategie sostenibili di produzione, di investimento e di innovazione. «Nel rapporto Greenitaly 2022 si coglie un’accelerazione verso un’economia più a misura d’uomo che punta sulla sostenibilità, sull’innovazione, sulle comunità e sui territori», ha commentato il presidente della Fondazione Symbola, Ermete Realacci. «Possiamo dare forza a questa nostra economia e a questa idea di Italia grazie alle scelte coraggiose compiute dall’Unione Europea con il Next Generation Ue e al Pnrr. Spesso la burocrazia inutile ostacola il cambiamento necessario, ma possiamo farcela se mobilitiamo le migliori energie del Paese». Se la burocrazia continua a bloccare gli investimenti in energie rinnovabili, quando invece le imprese possono «fare da sole» scelgono spesso gli investimenti in green e sostenibilità come leva per rafforzare la propria competitività. Le imprese eco-investitrici sono infatti più dinamiche sui mercati esteri rispetto a quelle che non investono (il 35% delle prime prevede un aumento nelle esportazioni nel 2022 contro un 26% di quelle che non hanno investito), e sono più capaci di aumentare il fatturato (49% contro 39%) e le assunzioni (23% contro 16%). Inoltre la green economy ha acquisito un peso molto rilevante, in Italia, anche rispetto all’occupazione: i contratti relativi ai green jobs attivati nel 2021 rappresentano il 34,5% del totale dei nuovi contratti previsti nell’anno. Accade così che, grazie alle proprie imprese, l’Italia diventi leader in Europa nell’economia circolare: rivela il Rapporto che nel nostro Paese ben 1’83,4% della totalità dei rifiuti (urbani e speciali) vengono avviati a riciclo, un risultato ben superiore alla media europea (53,8%) e alla performance degli altri grandi Paesi come Germania (70%), Francia (64,5%) e Spagna (65,3%). A sottolineare il potenziale dell’Italia nella valorizzazione di materia a fine vita, anche il quarto posto al mondo come produttore di biogas da frazione organica, fanghi di depurazione e settore agricolo dopo Germania, Cina e Stati Uniti. Il focus su settori prodottivi e filiere contenuto nel Rapporto Green Italy svela altri record di sostenibilità, in molti casi sconosciuti, del nostro sistema imprenditoriale. Nella filiera agroalimentare l’Italia è leader nel biologico europeo, con un’incidenza sulla superficie agricola utilizzata del 17,4% nel 2021: si trova in Italia, non a caso, il distretto biologico più grande d’Europa.