Chi ha ragione? Lo abbiamo chiesto ad Ermete Realacci, numero uno di Fondazione Symbola, ente che proprio nella green economy, nella cultura e nella coesione sociale pone gli indicatori fondamentali, per promuovere ed aggregare le qualità e le potenzialità italiane con ricerche, eventi e progetti. Presidente, come stanno esattamente le cose? «La green economy viene a volte vista come un obbligo, imposto dall’esterno. In realtà è la via migliore per avere un’economia forte. La prima frase del Manifesto di Assisi, che è stato proposto da Fondazione Symbola e dal Sacro Convento, dice: affrontare con coraggio la crisi climatica é necessario, ma è anche una grande occasione per rendere la nostra economia più a misura d’uomo e, per questo, più rapace di futuro. Questa è una buona sintesi. Potrei dirla con una battuta: essere buoni conviene. Se noi andiamo a vedere ed é un lavoro che la Fondazione Symbola, assieme ad Unioncamere fa ormai da quattordici anni le imprese, che hanno investito in qualche maniera sull’ambiente, vediamo che sono anche quelle che vanno meglio economicamente, innovano di più, esportano di più, producono più lavoro. Circa il 40% delle aziende negli ultimi anni ha fatto questo tipo di investimenti e la Lombardia è una regione guida, da questo punto di vista, in Italia». Transizione verde, il Italia più forte Quanti sanno che il più grande produttore di fonti rinnovabili al mondo è italiano ed è Enel? Quanti sanno che la più grande acciaieria al mondo che ha azzerato le emissioni nette di CO2 è Arvedi di Cremona? La Lombardia è la prima regione italiana per numero di imprese che effettuano ecoinvestimenti, nonché per contratti stipulati a green jobs. Che cosa ha convinto? «lo credo che all’inizio, a convincere, sia stata soprattutto l’antropologia produttiva italiana, non credo che siano stati tutti folgorati dall’ambientalismo. Alcuni sì magari, ma il nostro è un Paese povero di materie prime. Quindi è stato costretto nel corso dei secoli ad essere più efficiente ed a puntare di più su quella grande fonte di energia rinnovabile e non inquinante, che è l’intelligenza umana, quindi su qualità e bellezza. Questo ha fatto sì che in tanti settori l’Italia fosse avanti prima ancora che partissero le politiche più orientate al green. Pensiamo, per fare un esempio lombardo, al settore della metallurgia. Noi siamo fra quelli che recuperano più rottami in Europa. In generale, le nostre imprese sono quelle che recuperano più rifiuti dai cicli produttivi, il 20% in più rispetto alla media europea, molto più dei tedeschi. Oggi questa, che per noi è stata una necessità, é divenuta anche un’opportunità. In tanti settori le nostre imprese sono diventate più forti proprio per questo motivo. Noi siamo tra i leader mondiali nel legno arredo, fra i più grandi esportatori Le nostre imprese scommettono sul fatto d’essere quelle che recuperano di più. Quasi il 100% dei pannelli truciolati italiani è fatto con legno di recupero, consumiamo meno acqua e meno energia. Quella che è stata in qualche maniera una costrizione, è divenuta un fattore competitivo. Ma lo stesso ragionamento ce lo ritroviamo in tanti settori, dalla nautica alla meccatronica all’agricoltura. Noi abbiamo anche quest’anno avuto dei primati importanti in campo agricolo: le nostre produzioni tendenzialmente consumano meno energia e meno prodotti chimici di quelle di altri Paesi. Quindi, in realtà, la scommessa che ci propone l’Unione europea è una scommessa che all’Italia conviene». Come si possono armonizzare tra loro sostenibilità, innovazione e bellezza? «Sono già naturalmente in sintonia, anche nei settori più distanti. Vi faccio un esempio, che può sembrare atipico. Il vino italiano ha attraversato un’enorme crisi nel marzo dell’86. Cosa accadde? Accadde che noi avevamo scommesso tutto sul fatto di produrre grandi quantità di vino a basso prezzo. Una scommessa che stavamo perdendo: esportavamo poco e spesso il nostro vino veniva usato in altri Paesi, ad esempio in Francia, per tagliarne di più pregiati oppure veniva distillato per ricavarne alcool. Si cominciò a fare vino adulterato col metanolo, il che presenta un problema: in certe quantità uccide. Morirono più di venti persone, molti rimasero ciechi e ci fu quindi un crollo nelle vendite. La politica fece una cosa giusta, alzò i controlli. Il resto lo hanno fatto l’economia e la società. Si è passati nel giro di pochi anni dalla grande quantità a basso prezzo alla qualità legata al territorio. Oggi l’Italia produce il 40% in meno di vino rispetto alla metà degli Anni Ottanta, ma vale molto di più. In quegli anni esportavamo 700 milioni di euro in vino, l’anno scorso 7 miliardi di euro e abbiamo battuto i concorrenti, i Paesi emergenti. I nostri vini attingono la loro forza dal nostro passato, dall’identità: donai li facevano gli etruschi, i greci, i romani, i cartaginesi. D’altro lato, in Italia molti territori sono diversi, Sopra, Ermete Realacci, numero uno di Fondazione Symbola che mette in rete soggetti diversi fra loro e parla alla politica, all’economia e alle Istituzioni per indirizzare lo sviluppo del Paese verso la qualità, la sostenibilità, la cultura. Lo fa principalmente con rapporti come “Greenitaly” o come “Io sono Cultura” per cui bere un vino italiano significa gustare molte varietà. Quando Oberato dice che, se va a cena con Michelle, ordina un vino italiano, è chiaro che questo indica la qualità del prodotto, ma anche il richiamo dell’Italia. Quando noi riusciamo a tenere assieme si parli del vino come della Ferrari come della moda, dove pure siamo fortissimi la qualità delle produzioni con il richiamo a un’idea di coesione, di bellezza, di comunità, che il mondo guarda come un esempio positivo, la nostra economia è imbattibile e questo vale anche per i grandi operatori industriali». Come? «Io svolte rimango stupito, perché noi Italiani siamo un po’ criptodepressi, siamo capaci di parlare dei nostri mali senza affrontarli, ma siamo incapaci di vedere i nostri punti di forza, anche quando sono notevoli. Facevo prima l’esempio dell’economia circolare, bene: quanti sanno che la più grande acciaieria al mondo, che ha azzerato le emissioni nette di CO2, è l’Arvedi di Cremona? E Arvedi è un’impresa molto italiana, perché significa acciaio -peraltro ha acquisito anche Trieste e Temi ma significa anche un rapporto fortissimo col territorio tramite il Museo diocesano, il Museo del Violino, l’Università, la Cremonese e molto altro. Bene, questa maniera di fare impresa viene spesso sottovalutata in Italia. Se Arvedi stesse in Francia, Macron sarebbe davanti all’azienda per dire alle televisioni di tutto il mondo: “Volete vedere il futuro? Guardate noi! Quanti sanno che il più grande produttore di fonti rinnovabili al mondo è italiano ed è Enel? Eppure, riesce a fare pochi impianti in Italia, perché la burocrazia è soffocante e le opposizioni sono a volte stupide. E così potremmo continuare in tanti settori. Ecco, io penso che, quando parliamo di green economy e di transizione verde, parliamo di uno scenario, in cui l’Italia rafforza le sue caratteristiche positive». Quindi, 11 made in Italy ha molto da dire? «Assolutamente si! Un’altra delle cose, che spesso si ignorano, sono le giostre. Quelle italiane sono fortissime nel mondo. I bambini di Pechino, di Shanghai, di Copenaghen giocano su giostre italiane. Perché? Perché sono più belle, perché si adattano di più alle culture locali. I nostri concorrenti tedeschi fanno giostre efficienti, però sono abbastanza standardizzate. Le nostre, invece, vincono anche perché consumano molta meno energia. Hanno avuto per questo norme, incentivi? No! Non credo neanche che siano stati influenzati da sensibilità ambientaliste. Però sono imprenditori italiani e, se capiscono che una cosa migliora il prodotto, la fanno. Questo vale per le giostre, per gli occhiali, per la concia, per le scarpe e per tantissime cose. Quando l’Italia fa l’Italia e punta sull’incrocio tra innovazione, qualità e bellezza, è un Paese fortissimo ed è questo ciò che serve per ridurre le emissioni di CO2, rafforzando l’economia». NOME Ermete Realacci BIOGRAFIA Nato il 1 maggio 1955, figlio di insegnanti, ha vissuto fino a undici anni a San Giovanni Incarico, poi a Formia dove ha partecipato, nei primi anni settanta, al Movimento di Animazione Cristiana (MAC). Dopo la maturità classica, ha lavorato come pubblicista. Ha guidato fin dai primi anni Legambiente, di cui è stato presidente dal 1987 al 2003 e di cui è tuttora presidente onorario. È stato presidente dell’AIES (Associazione Interparlamentare per il commercio Equo e Solidale) e tra i fondatori del Kyoto club, unione di varie istituzioni e imprese impegnate per la riduzione dei gas-serra. Con lo scopo di promuovere la softeconomy e di creare una rete di realtà che rappresentino la qualità italiana, ha fondato Symbola la Fondazione per le qualità italiane, di cui è Presidente. Dal 2017 è membro del comitato promotori di EyeOnBuy Community Impresa Sociale Sr. CARRIERA POLITICA Eletto per la prima volta deputato per l’Ulivo nel 2001, è stato rieletto nel 2006 e quindi nel 2013. Fra i vari incarichi ricoperti, ha fatto parte dell’esecutivo de La Margherita e ne è stato responsabile del Dipartimento qualità e territorio; ha ricoperto la carica di Presidente dell’VIII Commissione della Camera dei deputati, Ambiente, Territorio e Lavori Pubblici; è stato Responsabile Comunicazione nella Segreteria nazionale del PD di Walter Veltroni. Durante la Segreteria nazionale del PD di Dario Franceschini è stato Responsabile Ambiente del Partito Democratico; è stato in seguito nominato Presidente della Commissione Ambiente e in seguito presidente della VIII Commissione permanente Ambiente, Territorio e Lavori Pubblici della Camera dei Deputati. Per recuperare 11 ritardo, che comunque Iltalla ha accumulato In questi ambiti, è suilidente ridurre la burocrazia o occorre anche altro? «Bisogna basarsi su di un cambio delle regole, che devono essere soprattutto semplici ed applicabili Vi do un solo dato: nel 2021 l’Olanda, grande un po’ meno di Sicilia e Calabria messe assieme e con molto meno sole dell’Italia, ha installato 3mila megawattdi pannelli solari fotovoltaici, l’Italia 800. È chiaro che abbiamo un problema. Ed è un problema, che esplode ancora di più, quando non devi solo combattere le emissioni di CO2, l’inquinamento, ma hai una fonte di energia il solare, ma anche l’eolico -, che costa molto meno delle altre, quindi accelerare in quella direzione abbassa la bolletta a famiglie e imprese e ci rende più liberi e indipendenti come Paese. Se, contro questa posizione, questa politica, che vede oramai schierate tantissime imprese in Italia, hai una burocrazia ottusa, la devi combattere».

“Symbola” deriva dal greco antico, significa “mettere insieme”. E’ la Fondazione che promuove e aggrega le Qualità Italiane. Con ricerche, eventi e progetti racconta aziende e istituzioni che migliorano il Paese puntando su innovazione e sviluppo, bellezza e creatività, capitale umano e territorio. Green economy, cultura e coesione sociale sono i tre indicatori fondamentali: chi sceglie questi driver incrementa il proprio valore. Dal 2005 lavora per l’Italia che non si vede, l’Italia bella e appassionata che ha bisogno di essere raccontata per continuare a vivere e crescere. Per farlo mette insieme le migliori menti del Paese, le imprese che fanno la Qualità o che investono per farla, trovando nuove strade per aumentare la competitività del Made In Italy. I soci, oltre 140, hanno scelto di investire e credere in un nuovo percorso: si sono uniti ad un movimento culturale che cresce nella convinzione che la Qualità sia l’unica risposta possibile agli interrogativi sul futuro del Paese. Un’Italia di Qualità che fa l’Italia di Qualità.