Sostenibile, quindi di qualità. Perciò desiderabile. Perché in grado di migliorare le condizioni di vita proprie e degli altri. In più, capace di portare crescita di valore. È così che gli italiani vedono oggi il grande mondo della sostenibilità, in un cambio di prospettiva che una nuova ricerca, realizzata da Fondazione Symbola e lpsos (in collaborazione con Arvedi, FederDoc, Fla Federlegnoarredo, Illy e Iren) e che L’Economia presenta in anteprima, non esita a definire epocale. «E iniziata una nuova era della sostenibilità, che tocca ogni settore e la società tutta, in modo trasversale: la sostenibilità non viene più percepita come un diktat calato dall’alto, ma diventa un obiettivo socialmente desiderabile, per questo anche più facilmente raggiungibile», è sicuro Ermete Realacci, presidente di Fondazione Symbola. L’indagine «Sostenibilità è qualità» muove da una base di oltre mille interviste, condotte su un campione di età tra ii6 e i 7o anni, lo scorso autunno, in pieno panico da inflazione e caro bollette: non a caso la principale preoccupazione degli italiani per il futuro (con percentuali rispettivamente del 58% e del 50% delle risposte). Spiega Nando Pagnoncelli, presidente di Ipsos: «La novità è che siamo riusciti a misurare quantitativamente questo cambio di prospettiva partendo dalle evidenze degli ultimi anni, che mostravano già un consolidamento dei comportamenti virtuosi e una crescita dell’interesse verso la sostenibilità dei cittadini». E infatti, i143% degli intervistati dice di conoscere il tema discretamente, i137% addirittura di conoscerlo bene. Su chi poi debba «mettere a terra» i principi della sostenibilità gli italiani non hanno dubbi: peri164% il compito è delle istituzioni, per il 46% delle aziende.I144% indica invece la responsabilità del singolo come fattore dirimente. Singoli, ovvero cittadini e consumatori che vengono nuovamente chiamati in causa quando si va ad analizzare quali siano i driver di crescita della sensibilità sui temi ambientali e sociali della transizione sostenibile. Ed è qui che la ricerca arriva al punto di rottura. La sostenibilità oggi è spinta soprattutto da tre fattori, si spiega nel rapporto. «Dalla paura dei cambiamenti climatici, che invoglia a limitare il proprio impatto negativo sul pianeta; dal valore etico di azioni e comportamenti sostenibili; e dal fattore qualità , ovvero la percezione che i prodotti cosiddetti sostenibili abbiano un valore aggiunto», spiega Realacci. Misurando a livello quantitativo questi tre driver si percepisce la ragione di quella che i ricercatori chiamano «svolta»: la qualità pesa infatti per il 56% nella scelta e definizione di un prodotto sostenibile, contro i137% del fattore paura e i16,5% di quello etico. «L’Europa ha dato una risposta alle urgenze climatiche e sociali con il Next Generation Eu, che è sia una replica alle istanze della “generazione Greta”, sia una strada innovativa che ha lo scopo di rafforzare l’economia, rendendola più a misura di uomo e inclusiva. Per questo sta anche aiutando a cambiare la percezione della sostenibilità nei cittadini», dice Realacci. Cambio di passo Basti pensare che fino a poco tempo fa un prodotto considerato amico dell’ambiente era automaticamente tacciato di essere più «povero», sicuramente meno appagante, scelto per aderenza a un’ideologia più che per il benessere personale. «Ora l’ambientalismo è uscito dalla dimensione del no a tutti i costi ed è diventato un’opportunità, di crescita economica come di beneficio per il singolo e la società», commenta Pagnoncelli. La sostenibilità quindi come modello win-win: per chi produce e per chi consuma. «L’orizzonte è mutato anche grazie al grande lavoro fatto negli ultimi anni dalle aziende che hanno visto nell’impegno per la sostenibilità non solo la possibilità di un ritorno economico ma anche un vantaggio reputazionale. Ed è un fatto, ormai, che le imprese credibili in termini ambientali e sociali godano di una maggiore fidelizzazione da parte del consumatore e di una crescita più rapida», spiega ancora Pagnoncelli. In questo scenario mutato, l’Italia può e deve gio- carsi il suo vantaggio competitivo. «La richiesta di made in Italy nel mondo è legata a due fattori: bellezza e qualità riflette Realacci -. È declinandoli entrambi all’Interno del discorso della sostenibilità che possiamo diventare più forti come sistema Paese». Tutto facile dunque? Non proprio. Ad ammonire sui rischi è Pagnoncelli. «Non dimentichiamo che i gilet gialli sono nati, in Francia, proprio per rispondere all’introduzione di nuove politiche ambientali conclude il presidente Ipsos La transizione deve essere accompagnata: bisogna raccontare l’approdo del processo, lo scenario finale. E non si può prescindere dal mettere in campo riconversioni produttive, formazione per le persone e interventi economici, soprattutto per colmare le disuguaglianze sociali che si sono acuite nell’ultimo triennio». Desiderabile o meno, la transizione non sarà automatica.  Fondazione Symbola e Ipso».