Il 20 maggio Legambiente spegne 43 candeline. Quello del 1980 è considerato il giorno dell’anniversario della nascita dell’associazione ambientalista, eppure per chi c’era fin dall’inizio – come Ermete Realacci, oggi presidente onorario – il primo vero tassello che diede vita a ciò che il movimento è oggi è da considerarsi il congresso del 1983, esattamente quarant’anni fa.
Fu allora che “Legambiente iniziò a delineare la sua identità”. Da allora, dal nucleare all’inquinamento, dalla plastica in mare ai pesticidi, ci sono state mille battaglie, alcune vittoriose e altre senza successo, ma adesso la questione ambientale – anche per via delle tragedie come l’alluvione appena avvenuta in Emilia Romagna – non può più essere ignorata. “Ma per farlo deve sempre essere accostata all’economia. Mostrare che curare l’ambiente significa vantaggio economico è la nostra missione più attuale” spiega Realacci, ex parlamentare, memoria storica di Legambiente e oggi presidente della Fondazione Symbola.
“Già, quello, dal punto di vista concettuale, fu il momento in cui si delineò il carattere di Legambiente. Lo slogan è davvero attualissimo. Allora in Italia c’era un mondo ambientalista soprattutto conservazionista, serviva l’idea di allargare lo sguardo per comprendere i naturali interlocutori dell’ambientalismo, tra cui per esempio politica ed economia. E poi mettere al centro le persone, i problemi locali. Altro passaggio fu l’idea di puntare su un ambientalismo scientifico: analisi dei problemi e soluzioni praticabili. Fu così che nacque Legambiente: una Lega che proponeva soluzioni coraggiose, ma attuabili, dei problemi ambientali”.
Quella del nucleare fu la battaglia più importante?
“La partita del nucleare fu una svolta. Prima le manifestazioni a Montalto negli anni Settanta, poi il nostro arrivo: un ambientalismo che incrociava le scelte della società e dell’economia. Quella spinta, per dire no alle centrali, in parte chiamò all’azione anche una generazione caratterizzata da impegno sia scientifico che politico. Un po’ come accadde in Germania per i Verdi, all’inizio persone che venivano dai movimenti del ’68. In Italia mancava un qualcosa del genere e noi contribuimmo a raccogliere diverse persone proprio intorno al tema anti nucleare”.
Dopo Chernobyl l’associazione divenne sempre più centrale. Fu allora che iniziaste a inventare il concetto di “campagne” ambientali?
“Su certi temi, dopo Chernobyl, Legambiente divenne naturalmente una guida. Capimmo di dover dare un segnale che il Paese non voleva il nucleare e che voleva un altro modo di combattere le questioni sociali e ambientali. Ci guardammo intorno: Greenpeace, i guerrieri arcobaleno, era un’organizzazione con azioni quasi militari, altri, come il Wwf, puntavano su animali e conservazione. Noi dovemmo fare un mix di tutto quello, ma soprattutto lavorare sulle relazioni. Per riuscirci, e per conquistare l’attenzione della gente, pensammo a grandi campagne per sollevare un tema, come la Goletta Verde, o come Puliamo il mondo. Cercavamo nuovi strumenti per parlare ai cittadini”.
Quali altri temi avevate a cuore?
“Spesso quelli legati all’attività umana. Il tema del consumo del territorio per esempio fu centrale: lo impostammo in maniera tecnica e scientifica, attraverso i dati, promuovendo una comunicazione efficace con visione, numeri e storie. Mostrare la cementificazione traducendo le cifre e i contenuti della scienza fu importante. E poi l’inquinamento urbano: le marmitte catalitiche per esempio o la benzina senza piombo. L’Italia dell’industria resistette al cambiamento verde per un po’, ma poi ha ceduto, come credo accadrà anche ora per l’elettrico. Oppure l’ecomafia, questo tema fu inventato da noi per parlare di ambiente e legalità. Lavorammo insieme ai carabinieri: la legge sugli ecoreati non a caso ha come prima firma la mia”.
Ci racconta un aneddoto del passato per capire come veniva vista Legambiente agli inizi?
“Noi cercammo di costituirci parte civile al maxiprocesso per mafia di Palermo, dato che c’era un nesso con abusivismo, ambiente e controllo degli appalti pubblici e mafia stessa. Quando nell’elenco delle possibili parti civili venne letto anche il nostro nome uno dei mafiosi nel gabbione disse ‘questi non ci vogliono nemmeno far fumare’, tanto per capire come venivamo visti”.
Prima parlava di coraggio per cambiare rotta. Ci fa un esempio di coraggio nelle battaglie ambientali?
“Anni fa quattro stabilimenti partivano dalle coste con le navi per andare al largo a scaricare rifiuti e scarti in mare. Noi decidemmo di fare una campagna ad hoc per denunciare il fatto. Ma non bastava, dovevamo anche mostrare. Non avevamo i mezzi e fummo un po’ ridicoli, ma avevamo coraggio. Partimmo dalla Romagna con due pescherecci per intercettare una nave che doveva scaricare: alla fine fu un disastro, sbagliammo prima andando verso una petroliera che nulla aveva a che fare con i rifiuti, poi quando trovammo la nave giusta ci rendemmo conto che era talmente grande che bastava una sua onda per farci ribaltare. Come azione, fece ridere, ma l’effetto ci fu ugualmente: le persone conobbero il problema e si opposero e nel giro di poco tempo le aziende inquinanti o chiusero o smisero di gettare i rifiuti a mare”.
In tanti anni di associazione, ci dica una soddisfazione e un rimpianto.
“Soddisfazioni tante. Se devo dirne solo una per me sicuramente la vittoria sul nucleare. Fu anche un grande favore all’economia italiana. Diede una spinta alla solidità dell’Enel che oggi si impegna tanto nelle rinnovabili. Allo stesso tempo il rimpianto fu che, dopo quella vittoria, l’Italia non fu in grado di guardare avanti. Mi riferisco alle stesse rinnovabili su cui per molti aspetti oggi ci siamo arenati: burocrazia, opposizioni gratuite, incapacità e disattenzione politiche hanno frenato quella che già da tempo poteva essere una grande rivoluzione. Aggiungo che spesso talvolta sono le stesse associazioni ambientaliste a sbagliare, magari opponendosi a progetti di energia eolica o solare per questioni di paesaggio, oppure a volte per stupidità – come quando si è voluta fermare la lotta alla Xylella in Puglia – che poi è proseguita e ora sta arrivando anche nel Barese”.
Qual è adesso il ruolo di Legambiente?
“Quello di prima: stare attenta all’ambiente ma anche all’uomo, forse il concetto che abbiamo introdotto con più forza nell’ambientalismo italiano. Oggi per vincere le battaglie ambientali bisogna affrontare le questioni anche dal punto di vista economico. Far capire che occuparsi di ambiente significa occuparsi di economia, di futuro”.
Cosa pensa dei giovani attivisti di oggi?
“Sicuramente Greta, i Fridays e molti movimenti hanno il merito di aver riacceso i riflettori sulla questione del clima. Per quanto riguarda invece gli atti estremi, come imbrattamenti o blocchi del traffico, dal mio punto di vista i giovani devono ragionare di più sugli effetti che hanno le loro azioni. Capisco che sia un grido di allarme, ma se i nuovi metodi ottengono un effetto contrario al messaggio, allora sono azioni sbagliate. Ai nostri tempi noi facemmo azioni forti, sempre non violente, ricordo alcune insieme a Chicco Testa, per bloccare impianti a carbone. Sapevamo di fare un atto che poteva portare a conseguenze penali, ma nella finalità del messaggio furono azioni che non impattarono sulla quotidianità dei cittadini”.
La crisi del clima spaventa. Eppure è difficile, nonostante le tragedie, farla entrare davvero nell’agenda politica. Perché?
“La crisi del clima non è mai stata al centro dell’agenda politica. Noi già a fine anni Novanta ne parlavamo, ma ci fu poca presa. Il punto è che oggi bisogna dimostrare, perché è così, che affrontare ora la crisi climatica conviene anche dal punto di vista economico. Se non si fa capire che è la strada per una nuova economia, anche più sobria- per esempio con la transizione energetica e le energie rinnovabili – allora è difficile far passare il concetto che dobbiamo occuparcene. L’aggressione russa in Ucraina ha fatto capire a tutti la dipendenza dal gas russo e l’importanza di puntare su altre energie. Da qui dobbiamo ripartire. Inoltre, quando ci sono esempi positivi, come grandi impianti di fotovoltaico o progetti intelligenti per combattere le emissioni, beh, allora la politica dovrebbe sposarli e mostrarli a tutti, metterli al centro con molta più enfasi e interessarsene davvero. Lo stesso può valere per l’economia circolare, che in Italia funziona, siamo messi bene in Europa. Ripeto, la risposta alla crisi climatica è un po’ nella visione stessa di Legambiente: dimostrare che una economia più a misura d’uomo è più forte per l’ambiente”.