I 170 km della Magna Via Francigena, che collegano Palermo ad Agrigento, rappresentano da sempre una delle più importanti direttrici della Sicilia.

L’attuale nome deriva dal passaggio dei cavalieri franchi lungo la via, durante la conquista dell’isola da parte dei normanni guidati da Ruggero I, ma l’origine di questa strada è ben più antica, tanto che compare nell’Itinerarium Antonini Augusti, stradario redatto nel III secolo, che registrava le distanze e le tappe delle più importanti vie di comunicazione dell’Impero.

Lungo i 22 comuni attraversati, di cui 10 piccoli, tra le province di Palermo, Caltanissetta e Agrigento, si percorre un cammino alla scoperta della Sicilia interna, in un territorio ancora poco turistico e proprio per questo in grado di offrire un’esperienza di viaggio autentica.

La tappa di partenza è la Cattedrale di Palermo, patrimonio UNESCO, in cui si fondono elementi di architettura islamica e normanna, bizantina e rinascimentale, gotica e barocca, seguendo il corso delle dominazioni conosciute dall’isola.

Lasciata la città si passa per Altofonte – che fu giardino di caccia dei sovrani normanni, tanto che fino al 1930 era chiamata Parco – dove soggiornò Garibaldi nel 1860, e si arriva a Santa Cristina Gela. Il paese, insieme a Piana degli Albanesi (visitabile con una deviazione) è sede della più grande comunità arbëresh d’Italia: fuggiti dall’Albania in seguito alle conquiste ottomane tra il XV e il XVIII secolo e stanziatisi nell’Italia Meridionale, gli arbëresh costituiscono una delle più numerose minoranze etniche del nostro Paese, conservando lingua, religione, usi e costumi. In questo tratto di cammino, oltre alla visita al museo sulla cultura arbëresh di Piana, è consigliato assaggiare le numerose specialità culinarie della minoranza albanese, come il pane (bukë) e i cannoli (kanojët).

Da Santa Cristina Gela la via prosegue lungo un’antica trazzera e offre una deviazione che permette di raggiungere la Riserva Regionale del Bosco della Ficuzza, con il suo sistema di gorghi e laghetti argillosi che scompaiono in estate, prima di arrivare a Corleone.

Nel paese, conosciuto anche come “la città delle 100 chiese” per via delle numerose architetture religiose in stile barocco, è conservata l’antica pietra miliare eretta dal console romano Aurelio Cotta e posta lungo la strada.

Proseguendo il percorso, si costeggia il Lago artificiale di Prizzi e si passa attraverso una serie di borghi agricoli abbandonati, come Borgo Riena: costruito durante il fascismo e abbandonato già negli anni ’50, il piccolo abitato restituisce un’idea fedele dei villaggi rurali del primo dopoguerra siciliano.

Giunti a Castronuovo si prosegue per Cammarata, in provincia di Agrigento, dove sorge un castello normanno del XIII secolo, in fase di restauro. Con la tappa di Sutera si visita il quartiere di origine islamica Rabato, inserito tra i “borghi più belli d’Italia” e capace di conservare un antico fascino con i suoi vicoli, le sue terrazze e le sue case in gesso.

L’ultimo tratto della Magna Via prevede le tappe di Racalmuto, dove nacque lo scrittore Leonardo Sciascia, e di Grotte, dove sorge la Petra di Calathansuderj, una roccia calcarea le cui cavità furono usate come riparo già nel neolitico e vennero ampliate dai bizantini con un sistema di tunnel. Infine, da Joppolo Giancaxio, sede di un castello della famiglia Colonna realizzato a imitazione dei manieri medievali nel 1700 con la pietra calcarea tipica del luogo, si giunge ad Agrigento.

 


Questo contributo fa parte della rubrica Cammini d’Italia, parte del rapporto Piccoli Comuni e Cammini d’Italia, realizzato da Fondazione Symbola e Fondazione IFEL.
Progetto grafico a cura di Bianco Tangerine.