Estratto del capitolo “Arti visive e new report: il fascino indiscreto dell’analisi quantitativa” di Io sono Cultura

Nello scorso rapporto avevamo cercato di proiettare l’analisi del settore delle arti visive in uno scenario post pandemico, consapevoli del fatto che l’emergenza Covid-19 non fosse cessata – come non lo è quest’anno. Il bilancio generale del 2021 mostrava a livello economico degli spiragli di resilienza (confermati dagli attuali trend) e una mancata occasione degli artisti di rivoluzionare, o almeno riformare, il comparto nazionale. In questa nuova edizione, per adottare il medesimo approccio qualitativo, si deve tener conto di un nuovo elemento, ovvero il conflitto russo-ucraino, che nel momento in cui scriviamo non accenna a risolversi. Senza entrare nel merito di valutazioni che esulano dalle nostre competenze, è tuttavia innegabile che siano emersi due fattori: da una parte, un rinnovamento nel sentiment di generale insicurezza, che generalmente conduce i collezionisti in direzione di investimenti reputati sicuri, dunque verso gli artisti cosiddetti storicizzati; dall’altra, un isolamento degli operatori russi, che costituiscono una fetta non irrisoria di acquirenti alto spendenti, nonché una rete di realtà museali e curatoriali di altissimo profilo. In sostanza, la lenta ripresa, che si stava presentando a seguito della crisi sanitaria, si sta scontrando con un’altra crisi, quella geopolitica, i cui sviluppi ricadono (e ricadranno) con conseguenze globali sull’intero settore dell’arte contemporanea.

Fatta questa premessa, si possono individuare alcuni trend che meritano di essere osservati, nell’ambito dei quali l’Italia figura, come di consueto, nella veste di caso di studio tanto interessante quanto anomalo. La prima tendenza riguarda la proliferazione dei report sull’arte e il mercato dell’arte. Rapporti che in genere tendono a formalizzare un ambito che presenta peculiarità ben note agli studiosi di economia. Si tratta infatti di un settore merceologico in cui si commercializzano opere prevalentemente uniche, ragion per cui è fisiologico che si creino estese aree di opacità.

Comprensibile e condivisibile che si tenda, avvalendosi di diversi strumenti – a partire da quelli legislativi e giudiziari – è possibile marginalizzare fenomeni eccessivi e talora illegali; d’altro canto, riteniamo utopico – se non ipocrita – la pretesa che il mercato dell’arte funzioni con le medesime (e presunte) regole che normano mercati afferenti ad altre aree merceologiche, proprio per il fatto che, nel caso dell’arte, la “merce” è qualitativamente atipica. Per queste ragioni, stride, almeno in parte, la tendenza oramai globale della suddetta proliferazione di report.

A livello internazionale, si segnala innanzitutto The Art Basel and UBS Global Art Market Report, analisi annuale del mercato dell’arte effettuata dall’organizzazione fieristica più importante al mondo, Art Basel, nata nel 1970 a Basilea e nel tempo declinata negli appuntamenti di Miami, Hong Kong e – a partire dal 2022 – Parigi. Curato da Clare McAndrew, fondatrice di Arts Economics, il rapporto si presenta come «uno studio indipendente e oggettivo» del mercato globale dell’arte, fondato sull’analisi dei dati forniti da «dealer, case d’asta, collezionisti, fiere, database artistici e finanziari, esperti di settore e altri [sic] coinvolti nel commercio d’arte». Quello invece stilato da Artrpice risulta più specifico: si tratta infatti di un’analisi «basata sui risultati delle aste di Fine Art svoltesi dal 1° gennaio al 31 dicembre» 2021, considerate dalla stessa piattaforma Artprice e Artron. Adotta quindi un’ottica più settoriale, prendendo in considerazione le aggiudicazioni (e gli invenduti).

Considerato che i summenzionati rapporti sono fra i più rilevanti a livello globale, emerge un dato eloquente: abbiamo a che fare con analisi sostanzialmente quantitative, focalizzate sul dato economico e non prive di ingenuità epistemologiche (non vi è alcuna riflessione sull’oggettività dell’analisi stessa) nonché di problematizzazioni metodologiche (come può essere «indipendente» un rapporto sul mercato dell’arte promosso e finanziato dalla fiera più rilevante al mondo?). Scendendo nel contesto nazionale, alcune di queste criticità emergono anche nei report italiani. Senza voler essere esaustivi nel seguente elenco, le tipologie presentate spesso restituiscono un più ampio spettro d’analisi, prendendo in esame non soltanto il comparto dell’arte contemporanea e intersecando un approccio qualitativo e quantitativo: dal volume che avete fra le mani al report Il mercato dell’arte e dei beni da collezione stilato da Deloitte, azienda nata a Londra nel 1845 che eroga servizi di consulenza e revisione; da Collezionisti e valore dell’arte in Italia, progetto della Direzione Arte, Cultura e Beni Storici e della Direzione Studi e Ricerche di Intesa Sanpaolo (condotto nel 2022 in collaborazione con Artissima, Fiera Internazionale d’Arte Contemporanea di Torino, di cui l’istituto bancario è main partner)[6] fino alla più recente fra queste iniziative, promossa dallo studio di professionisti per l’arte e la cultura BBS-Lombard (Milano e Prato) in collaborazione con Arte Generali (la sede madre è a Monaco di Baviera) Quanto è (ri)conosciuta all’estero l’arte contemporanea italiana?, che ha come oggetto di analisi il funzionamento del sistema di sostegno alla produzione artistica contemporanea nel nostro Paese.

Continua a leggere il capitolo da p.232 a 236 su”Io Sono Cultura 2022″, la ricerca realizzata con UnioncamereRegione Marche, in collaborazione con l’Istituto per il Credito Sportivo