Sembrava una battuta, espressa anche provocatoriamente per dare un messaggio ai sacerdoti della cultura che sostenevano che arti e business non potessero (o, per alcuni, non dovessero) andare d’accordo. E invece, a distanza di pochi anni da quella cerimonia, abbiamo testimonianze concrete che il fare del bene al tesoro culturale italiano eleva il reddito dei cittadini e valorizza l’indotto del territorio con nuovo lavoro e nuovo patrimonio cognitivo. Sono stati anni di profonde riforme legislative, dopo un lungo periodo in cui il ministero non aveva certo brillato per iniziative innovative. Con Franceschini si sono sperimentati invece l’Art Bonus, la revisione del governo e delle sovraintendenze dei musei, il processo diffuso di digitalizzazione dei beni e delle attività culturali, e altri progetti ancora. Il libro di Marco Frittella, volto storico del giornalismo televisivo «L’oro d’Italia. Dall’abbandono alla rinascita, viaggio nel Paese che riscopre i suoi tesori (e la sua anima): Rai Libri, pagine 252, i8 euro -, prende in considerazione proprio questo recente periodo per illustrare il cambio di passo e la nuova consapevolezza sul nostro patrimonio culturale e paesaggistico. Il libro è una rassegna di luoghi e di storie che per decenni hanno vissuto in condizioni di assoluto degrado (per incuria, per mancanza di mezzi e di personale) e che la cittadinanza e la politica avevano abbandonato allo scempio degli speculatori. E che poi, grazie a una trasformazione e a un rilancio anche urbanistico, sono ritornati al loro antico splendore. Troviamo nelle pagine Venaria Reale di Torino, il giardino della Colimbetra di Agrigento, la Reggia di Caserta, l’archeologia partecipata di Poggio del Molino, le catacombe di S. Gennaro a Napoli, la Villa Gregoriana di Tivoli, la piscina mirabile nell’area dei Campi Flegrei e i due archeologici campioni di Italia e cioè Pompei e Ercolano. Tutte storie che stanno sulle spalle di volontari o di associazioni non profit (come il Fai, Salvarte di Legambiente, Il Touring Club, Symbola e altri), che sono stai promotori di questa transizione collettiva, aprendo inaspettate opportunità di lavoro, nuovi flussi turistici e redditi incrementali nel contesto ambientale, grazie alla formula secondo cui tutela e valorizzazione vanno a braccetto. Il patrimonio culturale non è infatti un oggetto che deve essere gestito da una casta di sapienti e di eletti, spesso rinchiusi in una esclusiva e polverosa torre d’avorio. No, esso è un asset che va difeso, manutenuto e diffuso popolarmente a beneficio di tutta la popolazione. Particolarmente significativa e coinvolgente è la narrazione che fa da incipit al libro di Frittella. È la storia di Tommaso Cestrone, un agricoltore e allevatore della provincia di Caserta, che si innamora della locale tenuta reale di Carditello proprio davanti a casa sua, allora in una situazione di totale abbandono. Da anni la tenuta un vero gioiello dell’architettura borbonica del Settecento giaceva vandalizzata e depredata di tutto, dai pavimenti alle sedie, dalle scale alle acquesantiere. Cestrone, con pervicacia e testardaggine, si proclama autonomo custode volontario del luogo e, lottando contro i mulini a vento, riallaccia un partenariato pubblico-privato. Operazione non indolore per l’«angelo di Carditello» come poi è stato battezzato perché si scontra contro criminalità e incomprensione, avendo più volte auto e proprietà incendiate, e andando incontro a polemiche e a intimidazioni violentissime. Ma lui non molla e alla fine riesce a convincere lo Stato ad acquistare la Reggia e a ridare al luogo l’originario rango di cultura e di bellezza. Una testimonianza di rinnovata sensibilità civica che ci sprona oggi a dire finalmente che siamo sulla buona strada. La strada della giusta «superpotenza» culturale.