Se non ci fosse di mezzo l’autodefinizione che Curzio Malaparte diede di se stesso, Ermete Realacci sarebbe la personificazione del perfetto Arcitaliano. Con la non lieve differenza che mentre Mala- parte, con quel titolo, descriveva il suo narcisismo e le sue avventure come un’iperbole nazionale, Realacci è invece una sorta di inesausto patriota delle bellezze e delle qualità dello stivale. Da sempre. Lo era persino ai tempi in cui faceva il presidente di Legambiente (dall’87 al 2003) quando, come principale attività, aveva la fustigazione della politica, delle amministrazioni e delle aziende per la scarsa passione ambientale. E lo ha continuato a fare da parlamentare per quattro legislature (dal 2001 al 2018 prima nella Margherita e poi nel Pd, per due volte presidente della commissione Ambiente e territorio della Camera) e, soprattutto, da presidente di fondazione Symbola, che ha fatto della promozione della qualità del territorio e della costruzione di un modello green all’italiana la sua principale missione.

Ciociaro di nascita e romano dall’età studentesca, Realacci—oggi 65enne — è un instancabile promoter della sostenibilità come chia- ve del futuro. Una chiave da coniugare con lo specifico inimitabile dell’Italia: per il patrimonio monumentale e ambientale, certo, ma anche per una cultura del buon vivere e del saper fare che può mettere il Bel Paese sul tetto del mondo. Sempre che se ne renda conto.

Sostiene Realacci — e non è l’unico — che siamo già campioni europei e qualche volta mondiali in un sacco di campi. Per esempio nell’economia circolare, ovvero nel riciclaggio dei rifiuti, dove stiamo al 79,3%, superando di gran lunga francesi, tedeschi, spagnoli e inglesi. Nel rapporto Greenitaly 2020 presentato da Symbola insieme a Unioncamere alla fine di ottobre, l’Italia figura al primo posto fra i grandi Paesi europei per ‘ecoefficienza’, ovvero per materie impiegate, energia utilizzata, produzione rifiuti e persino emissioni. Davanti a noi, ín ambito Ue, ci sono solo il microscopico e ricchissimo Lussemburgo e la verdissima Irlanda. Battiamo di molte lunghezze tutti gli altri,compresi Paesi con una reputazione ‘eco’ molto solida, come Svezia, Olanda, Austria e Norvegia. Realacci dice che la “sostenibilità fa crescere le aziende”. E a dargli ragione c’è anche una ricerca dell’università di Oxford, che vede l’Italia nella top four dei Paesi “in grado di affermarsi nella transizione globale verso un’economia verde”, insieme a Cina, Usa e Gran Bretagna.

 L’apostolato di Realacci in questi ultimi anni si è esteso anche alla sfera spirituale e dell’impegno globale contro i cambiamenti climatici. Grazie, in particolare, al sostegno di papa Francesco, che con l’enciclica “Laudato si” ha schierato la Chiesa a favore di una rivoluzione green. Il Manifesto di Assisi, siglato a gennaio del 2020 da un centinaio di intellettuali, politici, uomini d’azienda e personalità come il padre custode del Sacro Convento Mauro Gambetti e il direttore della rivista San Francesco Enzo Fortunato (fra le prime dieci firme anche quella dell’allora presidente di Confindustria Vincenzo Boccia, dell’amministratore delegato di Enel Francesco Starace e del presidente di Coldiretti Ettore Prandini), suggella l’idea che l’Italia faccia da capofila a un grande fronte internazionale che si batte contro il cambiamento climatico e per accelerare la transizione verso un’economia carbon free.