Realizzato in collaborazione con Donata Columbro – Giornalista e digital strategist.
Questo contributo fa parte della rubrica #iosonocultura, parte del Decimo rapporto IO SONO CULTURA realizzato da Fondazione Symbola, Unioncamere e Regione Marche in collaborazione con l’Istituto per il Credito Sportivo.

Chi se lo sarebbe aspettato che a raccogliere i frutti di dieci anni di comunicazione digitale saremmo stati nelle nostre case, connessi con il mondo esterno solo grazie alle notizie via smartphone, uniti alle nostre famiglie e alle nostre reti professionali tramite social network e applicazioni di videochiamata? Probabilmente nessuno.

Mai come oggi abbiamo la conferma che il digitale favorisce le relazioni, non le ostacola.

Tra persone, ma anche tra brand e consumatori: lo dimostrano la crescita dell’intermediazione degli influencer, lo sviluppo della messaggistica istantanea e dei bot, il potenziamento del customer care e degli assistenti vocali. La prima delle tesi del noto Cluetrain Manifesto[1]i mercati sono conversazioni – è più vera che mai. Parlare con le macchine e attraverso le macchine è diventata un’abitudine che dieci anni fa non avevamo immaginato. Parlavamo invece moltissimo di realtà aumentata, secondo un rapporto di TrendWatching del 2009, che esiste ma non è ancora sfruttata appieno dalle aziende. Scrivevamo di tracking e alert personalizzati (sì, li abbiamo, ma si potrebbe fare meglio) e di “real time”, un concetto talmente permeato nelle nostre abitudini oggi, grazie a una connessione sempre più potente nelle nostre tasche, che ci viene difficile ricordare come funzionasse internet “prima”.

Dieci anni fa non ci eravamo immaginati che avremmo desiderato perdere la memoria di quanto condividiamo online: abbiamo invece visto approvare la legge sull’oblio, che permette la rimozione dei contenuti da Google, ma anche e soprattutto la crescita dei social network con le funzioni di condivisione temporanea di contenuti, come l’esplosione di Snapchat e delle sue “storie”, diventate feature imprescindibili anche dentro Instagram, Facebook e YouTube.

E non ci saremmo immaginati neppure che il 2020 sarebbe stato l’anno di TikTok, se non fosse arrivato il coronavirus a spostare l’attenzione degli uffici di marketing di molte aziende su questo social.

Con 800 milioni di utenti nel mondo e 3,6 milioni in Italia, l’applicazione lanciata nel 2016 dall’azienda cinese ByteDance è stata la più scaricata nel 2019 e la domanda “come posso usarla nella mia strategia di comunicazione” è la più diffusa tra i professionisti del settore. Frequentata soprattutto dal pubblico della generazione Z, i nati dal 1995 al 2010, l’app permette di produrre video musicali della durata massima di 15 secondi grazie alla presenza di un catalogo ricco di brani da usare come colonna sonora di sfide e meme. Pensare che il format non possa essere adatto a contenuti più seri è un errore: l’onda dell’ambientalismo portata da Greta Thunberg nelle scuole di tutto il mondo ha fatto sì che nelle settimane delle climate week, lo scorso settembre, tra le challenge più condivise ci fossero quella dedicata al clima. D’altronde l’esplosione dei contenuti a sostegno delle cause ambientali lo scorso anno è stata registrata anche su YouTube, che ha dichiarato un aumento delle visualizzazioni mensili di video sulla “clean beauty”, dei caricamenti e delle visualizzazioni dei video con la parola “sostenibile” nel titolo. Un’altra particolarità che rende TikTok degno di nota, anche in questo periodo dominato dalle notizie sulla pandemia: i video caricati possono uscire dalla piattaforma ed essere condivisi altrove, anche su pagine web, contrariamente a quello che succede con le storie di Instagram per esempio. Così i meme che si generano dentro TikTok escono e diventano parte di un linguaggio universale riconosciuto e parlato soprattutto dai giovanissimi.

Quali contenuti consumiamo in pandemia?

Oggi cosa succede dentro TikTok? Come nella maggior parte dei luoghi social dove stiamo trascorrendo il tempo della quarantena, il tempo da “passare a casa” raccomandato dalle autorità, si moltiplicano i tutorial per spiegare come lavarsi bene le mani, indossare la mascherina e mantenere le distanze sociali. Il contenuto “tutorial” è sicuramente uno dei trend del 2020. La presenza del virus ha dato un’accelerata alla diffusione di questo formato, soprattutto quando il marketing rispetta la sua vocazione del generare relazioni di valore tra azienda e clienti: la Skoda, per esempio, ha pubblicato delle immagini interattive per spiegare come guidare al sicuro durante l’epidemia, ma pensiamo anche ai loghi modificati per diffondere il concetto di il distanziamento sociale, come per McDonald e Coca Cola, ma anche per aziende italiane come la torinese Kappa, che da sempre ha quei suoi omini appoggiati l’uno alla schiena dell’altra, separati per l’occasione.

Stiamo passando molto tempo a casa e, quindi, online: se all’inizio l’infinita disponibilità di streaming, webinar, formazioni e persino concerti dalle camere da letto (come ha fatto Vasco Brondi, voce e fondatore de Le Luci della Centrale Elettrica) è sembrata un’esagerazione rispetto al tempo che veramente le persone avrebbero avuto da dedicare al consumo digitale, i numeri hanno smentito gli scettici.

In Italia nelle settimane di emergenza Covid19 il traffico internet è cresciuto del 40%, con un aumento di più del 70% per i siti di news.

In effetti, secondo Frank Mungeam, data scientist di Chartbeat (piattaforma usata da moltissimi quotidiani online nel mondo), il numero di articoli pubblicati giornalmente a tema coronavirus è arrivato a 86mila. Quanto al consumo di notizie, quelle sul coronavirus equivalgono a un terzo del totale a livello globale.

A livello internazionale abbiamo però passato sui social media il 30% in più del tempo, con punte del 70% per quanto riguarda Facebook, dove i live, anche per Instagram, sono raddoppiati. I messaggi sono aumentati del 50% e le chiamate di gruppo sono aumentate del 1000%.

Internet è un luogo di aggregazione. Possiamo dimenticare per sempre la parola “virtuale”, soprattutto nel suo accento negativo, che lo considerava impedimento alla relazione, come ha scritto il filosofo Maurizio Ferraris in un recente articolo sul Manifesto[2]: stiamo tutti usando la rete per stare con gli altri, con la nostra famiglia, all’ora di cena e dell’aperitivo, e non è mai stato più importante di oggi averne accesso e colmare il digital divide. Anche per continuare a lavorare: le misure della quarantena hanno imposto a molte aziende di far lavorare da casa i propri dipendenti. C’è chi si è fatto trovare pronto, come, Vodafone, una delle prime realtà a introdurre già nel 2014 lo smart working su larga scala, allungato a tutte le giornate di lavoro e per tutti i dipendenti sin dal 24 febbraio a scopo precauzionale. Zurich Italia, azienda di assicurazioni, invece, usa da tempo l’app Workplace per il coordinamento a distanza dei contenuti della comunicazione: nell’azienda i dipendenti sono anche co-creatori di contenuti e lo strumento messo a disposizione da Facebook si è rivelato un abilitatore fondamentale della strategia di comunicazione condivisa.

In questa fase emergenziale le aziende con sistemi e competenze di comunicazione si sono mosse prima e meglio.

Aver sviluppato questo patrimonio in tempi ordinari è stata un’assicurazione per questi tempi di crisi, come sottolinea un rapporto dell’Osservatorio sulla comunicazione pubblica dell’Università Iulm sulla gestione del coronavirus, dove si evidenzia come la complessità nella gestione dei flussi di comunicazione richiede l’integrazione di tutti gli strumenti disponibili, come relazioni pubbliche, advertising tradizionale e non convenzionale, comunicazione interna, marketing ma anche empatia. Mattel Italia, per esempio, ogni giorno propone ai collaboratori una nuova ricetta per cucinare un pasto sano a casa o un consiglio ripreso dall’Oms per affrontare l’emergenza in una newsletter chiamata “Smartworking tips”, dove non mancano suggerimenti di canzoni per playlist produttive su Spotify e nuovi moduli formativi su Linkedln Learning. Lago, azienda veneta di arredo e design, ha deciso di trasferire online anche le attività di consulenza e progettazione con gli esperti, tramite una piattaforma che mette in connessione la rete globale di rivenditori e clienti.

Sono molte le imprese culturali italiane, dai musei alle case editrici, che stanno prendendo atto di questi cambiamenti e propongono ai propri utenti contenuti di altissima qualità da consumare “a casa”.

C’è per esempio la Triennale di Milano che ha preso spunto dal Decamerone per dirette quotidiane con artisti, designer, architetti e intellettuali invitati ad “abitare” gli spazi vuoti di Triennale per sviluppare una personale narrazione della crisi. Ma anche l’iniziativa lanciata da Produzioni dal Basso e Banca Etica dedicata al Terzo Settore, Attiviamo Energie Positive, con webinar quotidiani di formazione, e le staffette filosofiche della casa editrice Tlon e Piano B, con ospiti italiani e internazionali, organizzate in partnership con Radio 3, Repubblica e Yahoo! Tra i musei che stanno offrendo moltissimi contenuti in digitale, ci sono anche molti musei d’impresa, come il Museo Lavazza che, raccogliendo l’invito lanciato dalla campagna #iorestoacasa del MiBACT, ha deciso di aprire virtualmente i contenuti di un archivio in cui custodisce la tradizione e il patrimonio storico di 125 anni. Anche la Fondazione Pirelli di Milano mette a disposizione il suo archivio grazie al tour virtuale #fondazionepirelliexperience, navigabile sul sito della Fondazione, che consente agli utenti la possibilità di visualizzare le migliaia di fotografie e i bozzetti della sezione dedicata alla comunicazione visiva in una vera e propria esperienza immersiva.

Tra le iniziative promosse da aziende attive nel mondo della comunicazione citiamo #iolofaccioacasa,  promossa dalla napoletana Buzzoole, che ha coinvolto centinaia di influencer nella creazione di un vero e proprio palinsesto di appuntamenti in live streaming su Instagram. Poi il flash mob poetico di Parole Ostili, che ha diffuso l’hashtag #ringraziarevoglio per “riunirci virtualmente con parole di ringraziamento di positività” e l’idea di “takeover” con lo slogan #vicinovicino, organizzato da Base Milano, che ha lasciato il proprio account Instagram a illustratori e animatori culturali per un giorno, permettendo ai propri 40mila follower di conoscere nuove realtà.

C’è l’arte che si dà da fare anche per solidarietà, come il format lanciato da Emiliano Ponzi per  connettere contemporaneamente 19 artisti italiani e a lavorare con loro ad una serie di ritratti messi all’asta per raccogliere fondi per la Croce Rossa.

Alle aziende che si chiedono cosa fare in questi giorni con i propri canali di comunicazione digitale arriva in aiuto l’agenzia social globale  We are social (con un team di oltre 180 professionisti in Italia), che pubblica un report con “undici comportamenti per gestire la crisi”: dall’ascolto alla valorizzazione della community, rivedendo il tono di voce alla luce di quello che stiamo vivendo, mettendo sempre le persone al centro.

Tante sono le esperienze positive nel digitale che ci porteremo a casa finita l’emergenza: nuove abitudini di consumo, di acquisto (il 75% degli acquisti online sarebbe stato effettuato da persone che non avevano mai acquistato prima in un e-commerce, secondo una ricerca Netcomm citata da Forbes) e di relazione che sarebbe bello e utile valorizzare: prendiamo appunti e usiamo questo tempo anche per studiare.

 

 


[1] Il Cluetrain Manifesto è un insieme di 95 tesi pubblicate nel 2000, rivolte alle aziende e al mondo del marketing che si trovavano a operare all’epoca nel nuovo mondo “interconnesso” di internet. Si possono leggere in italiano sul sito di Luisa Carrada, Mestiere di Scrivere.

[2] https://ilmanifesto.it/slavoj-zizek-echi-dal-mondo-che-verra/