La situazione internazionale impediva di pretendere grandi risultati dalla conferenza sul clima. Ma un passo importante, quello del fondo di ristori per sostenere i Paesi più colpiti dal cambiamento climatico, è stato fatto. Oltre a nuovi obiettivi e linee politiche… Conversazione con Ermete Realacci, presidente della Fondazione Symbola, già parlamentare dem e presidente onorario di Legambiente
Dopo giorni di intenso lavoro e trattative, è finita la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici a Sharm el-Sheikh in Egitto. I rappresentanti dei 197 Paesi che hanno partecipato alla 27a edizione del summit Onu sul clima dovranno lavorare ancora qualche ora in più per definire i dettagli di quello che viene considerato il più grande successo dell’evento: la creazione del fondo per i ristori a sostegno dei Paesi più vulnerabili agli effetti del cambiamento climatico.
In una conversazione con Formiche.net, Ermete Realacci, presidente della Fondazione Symbola, già parlamentare dem e presidente onorario di Legambiente, ha fatto un primo bilancio. Secondo lui non era lecito aspettarsi grandi risultati, purtroppo: “Ci sarebbe bisogno di scelte molto più nette, più verificabili per contrastare la crisi climatica in atto. Ma la situazione delle relazioni internazionali è quella che è, aggravata ovviamente dalla guerra della Russia in Ucraina”.
Non c’erano dunque le condizioni per grandi passi in avanti. Ma il risultato che si poteva ottenere è stato raggiunto: “Sharm el-Sheikh è andata come doveva andare, e per certi aspetti meglio di quanto si pensava: si è raggiunto un accordo su qualcosa atteso da 30 anni. Finalmente si è presa una politica molto delicata. Si sostiene, seppur in maniera non giuridica, una forma di responsabilità su quello che accade nei Paesi più vulnerabili per le emissioni in atmosfera, non è così poco”.
Si tratta di un passo che non è stato mai fatto, cioè, “stabilire che c’è una forma di responsabilità nei confronti dei Paesi più colpiti dalla crisi climatica in atto, che spesso sono i Paesi più deboli. Per affrontare, intanto, gli effetti di questa crisi. Per il resto si è rimasti al livello che si era raggiunto nei summit precedenti. È chiaro che non tutte le Cop sono uguali. La Cop21 del 2015 a Parigi, per esempio, fu una svolta assoluta. Quella di Glasgow è stata una manutenzione di quello che c’era”.
Sugli obiettivi di restare entro l’1,5 gradi di riscaldamento per frenare la crisi climatica, Realacci è cauto: “Sono meccanismi di calcolo molto complessi. Sicuramente l’obiettivo dell’Europa di riduzione di CO2, che punta all’azzeramento entro il 2050, è fattibile, ma non è una passeggiata […] Abbiamo le condizioni, se facciamo sul serio, per raggiungere gli obiettivi che l’Europa si è data”.
L’esperto crede che oggi è importante cominciare a intraprendere la strada, innalzare gli obiettivi e fare capire che la questione climatica deve essere affrontata, con il principio del manifesto di Assisi promosso dalla Fondazione Symbola e dal Sacro Convento: “Affrontare con coraggio la crisi climatica è necessario, ma rappresenta anche una grande occasione per rendere la nostra economia e la nostra società più a misura d’uomo e per questo più capaci di futuro”.
Le scelte che fanno bene all’ambiente, che contrastano il cambiamento climatico, risultano convenienti dal punto di vista economico e di produzione e danno forza alla crescita. Realacci sottolinea che “oggi le imprese stanno cercando di muoversi in questa direzione, ma il freno molto frequentemente ha un’origine burocratica”.
La missione, conclude Realacci, “sarebbe capire che il percorso che porta a ridurre l’uso di combustibili fossili, fino agli obiettivi più avanzati (come, per esempio, quello dell’Unione Europea di azzerare le emissioni nette di CO2 entro il 2050), possono rafforzare l’economia, non indebolirla”.