Realizzato in collaborazione con Francesco Zurlo, Preside vicario Scuola Design del Politecnico di Milano e Presidente di POLI.design.
Questo contributo fa parte della rubrica #iosonocultura,  parte del Decimo rapporto IO SONO CULTURA realizzato da Fondazione Symbola, Unioncamere e Regione Marche in collaborazione con l’Istituto per il Credito Sportivo.

 

foto tratta da Un Diario Nella Pandemia di MeDisProject Photography

Buenos Aires, anni quaranta. L’uomo che narra è solito far visita a Carlos, un poeta che prova a poetare ma con poco successo. Talvolta è l’ora di un tè, accompagnato dai discorsi del padrone di casa che sono spesso senza senso. Carlos, però, ha un segreto che confida a Jorge Luis Borges, il narratore: nella sua cantina accade qualcosa di prodigioso, qualcosa di incomparabile e sorprendente. Fintanto che lui – il narratore – viene invitato di persona a vedere quel fenomeno fantastico. Non è cosa facile. Scendere nella cantina è disagevole. Una stretta scala, tortuosa e buia, per finire in una piccola stanza, poco più larga della scala stessa, lurida e umida. Il padrone di casa invita Borges a sdraiarsi per terra, su un sacco, con il volto rivolto alla scala a fissare un punto al centro del 19° gradino. E lo lascia solo, al buio, con la porta di accesso chiusa e giusto un rivolo di luce che scivola dentro dagli stipiti decrepiti. Borges, il narratore, pensa al peggio: l’essere finito nelle mani di un maniaco che lo lascerà lì per sempre e nel mentre di questi pensieri svantaggiosi, la sua vista si adatta all’oscurità, mettendo a fuoco quel gradino. E, dopo un po’, accade l’inatteso: l’Aleph, la visione dell’universo, del tempo, del tutto. Un’immagine dove l’insieme e il dettaglio sono connessi tra di loro.

Questa è la storia affascinante descritta da Borges ne L’Aleph (1949), ed è una sorta di epifania, la visione sistemica e compresente di un multum in parvo (il molto in poco), in una sospensione di spazio e tempo, che sembra ricordare il flusso di coscienza, proprio del processo creativo. L’Aleph come atto creativo, sembra richiedere, interpretando Borges, una sorta di shock: accettare la paura di un ambiente piccolo, sporco, opprimente; temere di soccombere di fronte alla volontà di un pazzo; trovarsi oggettivamente in una situazione scomoda, inusuale (sdraiati al buio su un sacco laido), disagevole. È come se il “quoziente” creativo di un individuo, ma anche – aggiungerei – di una comunità, di un’organizzazione, di un’impresa, si espandesse, se stimolato dal malessere provocato da uno shock, più o meno, improvviso.

La novella di Borges forse ci fornisce una chiave di lettura per descrivere un fenomeno di vera e propria espansione di energia creativa, avvenuta perché si è vissuti, in buona parte del pianeta, in una situazione di stress, di disagio, di malessere, di discontinuità. Una situazione che ha stimolato molti a pensare nuovi, potenziali futuri, spesso riconfigurando in modo inedito i sistemi del valore. Rendendoli anche più sostenibili.

È innegabile, inoltre, che questa espansione creativa sia stata sostenuta dalla tecnologia digitale.

L’accelerazione, successiva al lockdown, dell’apprendimento a tappe forzate di tecnologie nuove e dell’adozione di nuovi strumenti digitali per la connessione, il lavoro, l’educazione, l’intrattenimento, hanno in parte modificato il modo di agire, relazionarsi e pensare di molti. Gli strumenti del digitale hanno cambiato – forse per sempre – la mentalità di una moltitudine di utenti. Mai come in questo periodo la rete ha visto un incremento significativo di utenti (passando da una media di 1,5 milioni di smartworkers in Italia, nell’era pre-pandemia, a ben 8 milioni di persone al lavoro da casa nella I fase del blocco), con attività, relazioni, pratiche che sono state tutte, evidentemente, virtuali. Talvolta questa dimensione virtuale è stata contrapposta alla dimensione fisica, intesa quest’ultima come condizione tipicamente umana. Eppure l’esplosione di connessioni nuove, di proposte e di progettualità, trasforma l’accezione negativa che spesso si associa, più o meno coscientemente, all’idea di virtualità. La creatività in rete si è nutrita spesso di narrazioni virtuali nel presentare ciò che potrà essere (la dimensione del progetto), acquisendo una connotazione virtuosa e affermandosi sempre più come risorsa competitiva. Del resto, pescando nell’etimologia di virtuale, ci si imbatte in una radice linguistica che è la stessa di virtù, appunto. Il digitale, che in una situazione di disagio (il blocco) promuove più creatività, pur virtuale, ma anche virtuosa per le soluzioni (anche non solo temporanee) evidenziate, in virtù delle quali tanti sono stati “invitati” al banchetto dell’innovazione e a definire, insieme, nuove prospettive di sviluppo.

Un altro aspetto virtuoso che sembra emergere come conseguenza della pandemia, è la generosità con cui molti creativi, strutturati o meno, si sono messi a disposizione. Il creativo esperto – diciamo per semplificare chi, individuo o organizzazione, rientra nelle codificazioni (ormai obsolete) ATECO – si è messo a disposizione di altri, creativi e non, incluso semplici cittadini, per addensare e catalizzare proposte, idee e soluzioni.

La chiusura totale ha attivato una specie di circolo virtuoso tra generosità e creatività.

Anzi, emerge che non vi sia stata (forse non ci sarà più in futuro?) creatività senza generosità.

La ricerca di CI.Lab – Creative Industries Lab del Dipartimento di Design del Politecnico di Milano, ha mappato, ordinato e classificato circa 150 casi studio significativi dei modi della creatività nel periodo del lockdown, individuando alcune chiavi di lettura interpretative che restituiscono gli aspetti qualitativi del fenomeno. In particolare l’osservazione di questi diversi casi ci indica almeno tre possibili plot narrativi, intrecciati tra loro con rimandi di senso, che si presentano con modi dell’innovazione assortiti e originali, spesso proponendo un beneficio sociale esplicito: 1) offrire (quasi) gratis competenze; 2) abilitare piattaforme coinvolgenti; 3) riconfigurare i sistemi del valore.

La prima linea di lettura emerge dall’individuazione di numerosi creativi che hanno offerto (quasi) gratuitamente le loro competenze e lo hanno fatto per solidarietà ma anche, spesso, per consolidare la propria brand equity e per rafforzare il capitale fiducia che li lega a vecchi e nuovi clienti.

I casi mappati in questo ambito non riguardano solo il settore delle imprese culturali e creative. Sono esempi di iniziative che, per caratteristiche e attività, presentano un significativo incremento del quoziente creativo. È nell’esperienza di ognuno, ad esempio, il modo con cui si sono riconfigurati servizi di formazione, di training fisico, di sostegno psicologico, sempre grazie a piattaforme digitali, talvolta adattate ad usi non prevedibili in fase di progetto delle stesse. Le dimensioni dell’innovazione dei creativi (e non) che riferiamo a questo tema sono principalmente rivolte a tre oggetti specifici: 1) il network di riferimento, che tende ad espandersi oltre la rete tradizionale, per individuare nuovi clienti, fruitori, fornitori; 2) il canale di relazione che supporta questo network, un tempo solo fisico (si pensi, ad esempio, ad un percorso formativo tradizionale), ma che in futuro, probabilmente, potrà assumere una dimensione ibrida e, di conseguenza, più sostenibile (almeno nei termini del carbon footprint che una relazione a distanza favorita dalle telecomunicazioni, può favorire); 3) il brand degli attori coinvolti, aumentando in alcuni casi l’equity del fornitore di servizi, costruendo una relazione di fiducia che, ipotizziamo, potrà essere monetizzata in futuro.

Per alcuni degli attori/casi mappati, emerge una nuova idea di dono, che implica un progetto di relazione differente, laddove è presumibile che inneschi meccanismi di reciprocità, non scontabili, ovviamente, nell’immediato. Sembra una forma destrutturata di modelli freemium: l’importanza di donare per accedere a un’offerta di competenze (creative) più o meno basiche per poter poi scalare verso servizi premium e distintivi.

 

In questo ambito, da Modena, Enrica Amplo, dottorando in Educazione dell’Intelligenza Artificiale e Data Science presso la Dublin City University, con la sua La Tata Robotica e l’iniziativa Educare i bambini alle tematiche STEAM[1], ha creato uno spazio gratuito di risorse, giochi e attività hands-on interattive e digitali che potessero avvicinare bambine e bambini, anche da casa, alla STEAM education. La community di insegnanti, educatori, ricercatrici, designer e genitori poi, ha contribuito volontariamente ad arricchirla condividendo con la rete le proprie esperienze creative. Paffi Design Studio di Giulia Peretti e Silvia Recalcati, è un’agenzia di design della comunicazione con sede a Verona, che ha realizzato un set di icone, scaricabili gratuitamente, che rappresentano immagini riconducibili all’esperienza vissuta da ognuno nella quotidianità del lockdown, utili per rappresentare, con l’immediatezza di un segno, uno stato d’animo o una situazione[2]. Sempre nel campo del design della comunicazione Sunday Büro graphic design studio, artigiani digitali della tipografia, propongono l’iniziativa Lettera40 invitando, da Jesi, la comunità dei type designer a realizzare una lettera per metterla a disposizione e “venderla” in cambio di finanziamenti a sostegno dell’emergenza sanitaria[3]. In un quadro che vede la parola accoglienza preferita al termine turismo, sintetizzato con lo slogan community powered tourism, da Bologna parte una iniziativa ideata da Fairbnb.coop a sostegno di un settore tra i più colpiti dalla pandemia, con l’hashtag #ViaggioDomani. L’intento è quello di incitare i potenziali turisti a comprare con largo anticipo le proprie vacanze, anticipando flussi di cassa e proponendo di utilizzare parte delle commissioni per iniziative sociali destinate all’emergenza Coronavirus. Ci sono poi delle iniziative di multinazionali che hanno avuto ricadute locali come quella di The Fork (con sede principale in Gran Bretagna), che ha inventato la cena sospesa[4]: la prenotazione di una cena da offrire ai più bisognosi della rete del Banco Alimentare Onlus. Prendendo spunto da questa idea di sospensione, un altro trend interessante rilevato è quello che stabilisce una relazione con clienti e fornitori grazie a transazioni basate sulla fiducia, da incassare in un prossimo futuro. Un caffè sospeso, è un programma promosso dallo studio creativo Tomato di Piacenza, copiando e adattando un virtuosismo civico di matrice napoletana, il caffè sospeso – appunto – con l’esortazione verso consumatori responsabili a comprare in anticipo qualcosa da consumare in futuro da piccoli esercizi commerciali[5]. Un’iniziativa in sintonia con altre azioni dal basso come, ad esempio, i “contenitori” (cesti, cartoni, cassette in legno o plastica) esposti all’esterno dei condomini dei quartieri di alcune città con un eloquente messaggio: “chi può metta, chi non può prenda”. Birrabond è una iniziativa esclusiva per l’Italia con l’obiettivo di aiutare i bar ad evitare la chiusura provando ad anticipare flussi di cassa[6]. Il programma è stato promosso dalla multinazionale belga del beverage ABInBev: un cliente anticipa l’acquisto di una birra o di altre bevande da consumare quando tutto sarà riaperto e la multinazionale si impegna a regalare un’extra voucher del 30% del valore per ogni pezzo acquistato.

Il secondo plot narrativo prende avvio dalla considerazione che molti creativi hanno usato la rete per attivare piattaforme in grado di coinvolgere altri attori (non solo creativi) e avviare comunità di scopo.

Il digitale favorisce, per sue caratteristiche intrinseche, l’attivazione di piattaforme che ingaggino semplici cittadini, piccole imprese, creativi con competenze diversificate su obiettivi comuni. Così facendo amplifica comunità potenziali e le compatta su obiettivi condivisi. Spesso, come visto nella ricerca, i creativi sono guida ed esortazione per altri attori nel dare indicazioni alla soluzione di problemi (ricordando che il ploblem solving è essenza di ogni atto creativo), per concretizzare, nella domesticità, iniziative fai da te mai realizzate prima. Per molti una prima volta che mette insieme attività pratica, talvolta sperimentale, e disponibilità di tempo. Il tutto spesso attraverso piattaforme di web-conferencing adattate per l’emergenza (decine di versioni utilizzate da pionieri o da provati nerd con esiti più o meno interessanti: si pensi al numero enorme di download di una piattaforma sino-americana come Zoom), diventate le finestre di accesso alle vite degli attori coinvolti, dando forza ad un altro trend emergente: quello dell’autenticità, che nei casi che descriviamo spesso coincide con il “mettersi a nudo”, per sè e con i propri angoli domestici, spesso con una fisicità più o meno trascurata e con eventi domestici (un cane che abbaia, un telefono che squilla, un bambino che ti salta al collo) che irrompono nel freddo set fatto di pixel della telecamera del computer, del pad, dello smartphone.

Abilitare piattaforme mette in gioco diverse dimensioni dell’innovazione:

vediamo di seguito quelle che abbiamo mappato come ricorrenti. In primis, c’è il modello di creazione del valore: è evidente che il concetto stesso di piattaforma veda, da una parte, qualcuno che innesca un processo di aggregazione (una comunità di scopo) e altri che decidono di mettere a disposizione i propri talenti e le proprie competenze. Ne emerge un fenomeno per cui si genera insieme una creatività che nasce co-partecipata e, proprio per questo, più capace di interpretare i bisogni specifici di gruppi e comunità. Il canale di relazione, il web, non è nuovo di per sé, ma viene esplorato, talvolta con attitudine sperimentale, in tutte le sue potenzialità. È un canale che ha funzione di raccolta dati, di informazione, orientamento e coinvolgimento dei vari attori coinvolti. Per quanto riguarda la dimensione legata al prodotto-servizio, il tradizionale oggetto di design, industriale o meno, evolve, talvolta in modo inatteso, con soluzioni mirate che rispondono ai nuovi bisogni dell’emergenza. Infine, le piattaforme digitali migliorano la user experience con iniziative che esortano le persone a fare cose che non hanno mai fatto prima, alimentando, talvolta, una fiducia nelle capacità pratiche di ognuno che molti non ritenevano di avere, o pensavano di aver perso, per abdicazione a fornitori di servizi dedicati.

Un primo caso interessante è quello promosso da Urban Experience, un’associazione di promozione sociale con base a Roma, che ha attivato Riavvia Italia[7] per rispondere all’emergenza Covid-19: una piattaforma per raccogliere, promuovere e categorizzare a seconda delle aree di innovazione, ragionamenti e progetti per il riavvio del Paese. Tra le iniziative, interessante è il coinvolgimento di cittadini esperti di luoghi e ingaggiati a condividere le proprie conoscenze con geo-narrazioni, sostenute da sistemi di trans-media storytelling. Sempre il tema “narrativo” è quello che sostiene il progetto Le finestre sul cortile, promosso da Shareradio e dall’associazione Super (Milano) che, nell’occasione del lockdown, ha lanciato un nuovo programma: una volta alla settimana un piccolo gruppo di abitanti delle case popolari viene intervistato e può raccontare la propria quotidianità, parlando con ospiti che si occupano di iniziative solidali. I driver di Covid19Italia.help sono invece data visualization e data open source. Parliamo di un progetto no profit, organizzato e diretto da volontari (gli stessi di EmergenzeHack, attivisti che dal 2016 – a seguito del terremoto in centro Italia – aggregano hacker, sviluppatori, giornalisti, social media manager, designer) per condividere e verificare informazioni utili riguardanti il Coronavirus in Italia[8]. Sempre attraverso la rete, durante il lockdown il MamBO, polo museale di Bologna, ha attivato la comunità locale compattandola su uno scopo condiviso: trasformare un luogo della memoria cittadina in una piattaforma che attiva relazioni tra diversi attori del mondo dell’arte, un hub dove possono accadere cose innovative. Con questo intento è stato inaugurato il Nuovo Forno del Pane, memoria storica di Bologna dai primi del Novecento: un luogo a disposizione degli artisti rappresentativo del fatto che, al di là delle potenzialità della rete, emerge l’esigenza di fisicità che solo un luogo fisico, riconoscibile e simbolico, può attivare. Non a caso, quindi, attivato nel periodo della pandemia. A proposito di patrimonio culturale e artistico, inoltre, è nata CultureGoDigital.org, una iniziativa/piattaforma promossa dalla milanese DotDotDot, con l’Osservatorio Innovazione Digitale nei Beni e Attività culturali del Politecnico di Milano. Il tema è quello di una cultura accessibile e del ruolo del digitale, per accedere, non solo fisicamente, al patrimonio di conoscenza, esperienza, emozioni, di musei, mostre, eventi. Il sito segnala all’operatore culturale strumenti digitali gratuiti e a disposizione di tutti dopo un questionario mirato, indicando inoltre best practice che hanno reso fruibile il proprio patrimonio artistico e culturale anche con sistemi multimediali e in remoto.

Il faidate è l’altra faccia della medaglia delle “piattaforme” abilitanti.

Aria di Studio Pastina_ mascherina

Una dimensione ibrida, spesso innescata dal virtuale, che si concretizza in attività fisiche e domestiche. Molte persone, osserviamo, si sono trasformate in “bricoleur” mettendo a sistema, per risolvere problemi, ciò che avevano attorno; ci sono esordienti su tanti fronti, una “prima volta” che diventa una costante narrativa di questa epidemia con una variante interessante: il bricolage oggi è evoluto perché ognuno ha accesso, in casa o nel garage sotto, a strumenti di produzione impensabili solo pochi anni fa (come, ad esempio, una stampante 3D domestica). Easy COVID19[9] è, a tal proposito, un progetto che nasce dalla collaborazione tra il dottor Favero, ex primario dell’Ospedale di Gardone Valtrompia, l’azienda Isinnova (un gruppo interdisciplinare di ingegneri, designer e esperti di comunicazione) di Brescia e Decathlon, per sopperire alla mancanza di maschere ospedaliere C-PAP (Continuous Positive Airway Pressure), funzionali a fornire una pressione dell’aria costante rispetto alla pressione atmosferica per la terapia sub-intensiva. I ragazzi di Isinnova hanno stampato in 3D valvole da integrare sulle maschere per lo snorkeling di Decathlon: un classico processo di innovazione (più o meno) open che mette a sistema fattori esistenti per raggiungere risultati efficaci rispetto all’emergenza. A Roma lo Studio Pastina ha proposto Aria[10], un progetto/guida per l’autoproduzione della propria mascherina potenzialmente alla portata di tutti. Anche altri designer hanno proposto iniziative analoghe sui loro siti personali sfruttando un concetto che Denis Santachiara, in un suo recente libro, ha chiamato “download design”: mettere la creatività di alcuni a disposizione di tutti, attivando le energie dell’homo faber sopite in ognuno di noi.

 

Isinnova _ maschera decathlon

Infine, la terza considerazione è che la pandemia ha stimolato un processo di riconfigurazione dei sistemi del valore, a partire dai grandi brand della moda, per investire anche imprese, piccole agenzie e singoli creativi. Lo stop brutale che la comunità internazionale ha subito ci ha consentito di prendere atto delle incongruenze di molti business (oltre che di routine quotidiane usuranti e, spesso, improduttive). L’imperativo della sostenibilità, che ritroviamo nelle 17 indicazioni delle SDG – Sustainable Development Goals dell’ONU – sembra stimolare, più in modo istintivo che informato, risposte diverse, originali e, appunto, creative. In questo quadro anche aspetti come la “memoria” (di comunità, luoghi, città) e la speranza (nel ricominciare, nell’orientare diversamente la propria vita ecc.) diventano catalizzatori di (creazione di) valore.

In effetti il tentativo di riformulazione dei sistemi del valore incide su alcune leve dell’innovazione. Da un lato, ricondiziona le abitudini commerciali (il servizio) e le narrazioni di alcuni brand, dando importanza ad aspetti di sostenibilità anche nel rispetto dei cicli della creatività che non possono sempre funzionare a comando. In parallelo, riconfigura i prodotti di alcune imprese, con intuizioni creative che sono innescate dall’emergenza pandemica e che aprono verso nuovi mercati. E, infine, aumenta lo user engagement, rendendo spesso l’utente finale protagonista e co-produttore del valore, mettendo in gioco le sue emozioni, i suoi sentimenti, la memoria che si materializzano in nuovi prodotti-servizio.

Il primo tema è esploso come una bomba nell’industria del fashion: Open Letter to Fashion System di Giorgio Armani è una lettera aperta, testimonianza della sensibilità del decano della moda italiana, che mette a nudo le incongruenze di un business, proponendo una visione che apre alla dimensione della durabilità del prodotto e alla sua dimensione relazionale. Concorde a suo modo, dal suo buen retiro, anche Alessandro Michele, creative director di Gucci, con i suoi appunti diffusi su Instagram, dove propone collezioni sganciate dalle temporalità commerciali e in sintonia con le “occasioni” emergenti nel mercato, nella società, nella cultura. L’iniziativa si chiama Appunti dal silenzio ed è leggibile anch’essa come il tentativo di sganciamento dalle logiche commerciali dello show business per legarsi al “bisogno” espressivo del creativo. L’industria creativa trova spunti dall’emergenza per rinnovare la propria offerta, come dimostrato da Safety Pois di Fabrizio Rametto, CEO di TCommunication (Milano), azienda specializzata nella realizzazione di eventi, che ha promosso un prodotto utile per la segnaletica a terra e la gestione delle folle nell’epoca del distanziamento sociale. Un’intuizione nata osservando i figli giocare nella propria cameretta: la proposta è un kit che realizza un semaforo comportamentale per negozi, un prodotto cartotecnico composto da pois da incollare a terra: rosso ti fermi, giallo fai una sosta breve, verde puoi camminare. Poi Vorrei, invece, è un progetto delle sorelle Caricasole di Verona che, stimolando lo user engagement raccoglie i desideri di chiunque purché espressi con l’intro “poivorrei…”, una sorta di speranza nel futuro messa nero su bianco. Per Caricasole è anche un piccolo business perché quelle frasi diventano i ricami di TShirt raffinate, creando una collezione acquistabile online (la collezione della memoria, verrebbe da dire) e, comunque, destinando parte del ricavato ad iniziative di solidarietà. Life in the Time of Coronoavirus è una call organizzata da Roma Fotografia in collaborazione con TWM Factory, The Walkman Magazine, la rivista Il Fotografo e la prestigiosa realtà del Festival di Fotografia Etica di Lodi[11]. Il progetto è una mostra fotografica digitale itinerante che vuole essere memoria dell’evento eccezionale che abbiamo vissuto. Sullo stesso registro Storieinquarantena[12], una iniziativa nata su Whatsapp il 15 marzo in piena fase 1 grazie all’intuizione di alcuni creativi ben distribuiti sul territorio nazionale: Nina Virtuoso di OTB Writing Lab, Andrea Pastina di Zauber Venture, Christian Torelli e Francesco Dinolfo di Reverse Agency  (Roma, Torino, Palermo). L’idea è quella di raccogliere storie della quotidianità degli italiani in una condizione straordinaria, ascoltarle, custodirle e realizzare iniziative narrative per ricordare. Fabrica Research Center (Treviso) ha avviato una iniziativa simile, chiamata World Wide Quarantine[13]: appuntamenti online con interviste ai più importanti rappresentanti della comunità creativa internazionale per capire meglio l’esperienza del blocco. I simboli (esperienze, frasi, persone) rilevanti, le nuove abitudini acquisite, i poivorrei per il dopo pandemia: anche qui con l’obiettivo di realizzare un documentario a testimonianza della straordinarietà del momento.

I casi mappati per ognuna delle chiavi di lettura individuate, sono utili a comprendere come i modi della creatività per l’innovazione e la creatività siano stati influenzati e trasformati anch’essi, a seguito del grande esperimento sociale che la pandemia ha, forzatamente, indotto nella nostra società.

 

Storieinquarantena _ sito web storytelling

È evidente che il tema innovazione ne risulti riformato anch’esso. Le forzature del blocco hanno ampliato le leve potenziali dell’innovazione in questo, come in altri settori. Il blocco ha indotto, quasi un principio di adattamento, ad allargare la visione per spingersi a comprendere aspetti sistemici dell’innovazione. Spesso il creativo è focalizzato sul risultato del suo lavoro – in molti casi un artefatto tangibile – dimenticando altri aspetti che hanno a che fare, ad esempio, con inedite configurazioni del business, con nuove alleanze strategiche, con iniziative di branding, con la riformulazione dei canali distributivi, con diverse iniziative di servizio e di customer engaement. Il multum in parvo ricompare nei modi dell’innovazione, in altre parole una multi-dimensionalità che porta a riconfigurazioni dell’offerta talvolta inedite ed originali.

Il report completo di CI.Lab – Creative Industries Lab del Dipartimento di Design del Politecnico di Milano è disponibile qui: www.cilab.polimi.it/publications

 

 


[1] https://www.latatarobotica.it/steamdacasa

[2] https://www.paffi.it/emergency-iconset/

[3] https://www.lettera40.com

[4] https://www.thefork.it/ristorante/cena-sospesa-r619519

[5] https://www.uncaffesospeso.it/

[6] www.salvailtuobar.it

[7] https://riavviaitalia.it/

[8] https://www.covid19italia.help/

[9] https://www.isinnova.it/easy-covid19/

[10] http://www.pastinaisgood.com/aria-project/

[11] https://ilfotografo.it/evidenza/life-in-the-time-of-coronavirus-fase-due/

[12] https://storieinquarantena.it/#manifesto

[13] http://www.fabrica.it/world-wide-quarantine/