Solamente tre aziende al mondo – tutte e tre italiane – producono i caschi CPAP per la ventilazione non invasiva, conosciuti oggi anche ai non addetti ai lavori per il ruolo cruciale che hanno rivestito durante la pandemia. Una di queste è la Dimar di Medolla (MO), fondata nel 2002 e attiva nella ricerca, lo sviluppo e la produzione di dispositivi innovativi per l’insufficienza respiratoria acuta e la ventilazione non invasiva, che ogni anno investe addirittura l’80% degli utili in R&S. Il casco gonfiabile CPAP, acronimo di Continuous Positive Airway Pressure, è sigillato all’altezza del collo e dotato di filtri microbiotici sia in entrata che in uscita, con il duplice effetto di assistere la respirazione del paziente e garantirne l’isolamento dal mondo esterno, proteggendo quindi anche gli operatori sanitari. A differenza delle procedure invasive che prevedono l’intubazione e possono portare il paziente a sviluppare polmoniti causate dalla ventilazione meccanica, il casco è facilmente indossabile, utilizzabile in tutti i reparti ospedalieri e non comporta alcun trauma alla trachea e ai polmoni. Se indossato all’insorgere dei primi sintomi, poi, riesce a stabilizzare la respirazione in breve tempo ed evitare che il paziente debba ricorrere alla terapia intensiva, alleggerendo la pressione su quei reparti che già si trovano sotto stress. Ad oggi la Dimar, che durante la prima ondata ha portato la produzione da 200 a 750 caschi al giorno, serve oltre 125 ospedali italiani per un totale di 500 reparti, che diventano oltre 1000 considerando anche gli ospedali di tutta Europa.