Realizzato in collaborazione con Oscar Buonamano, giornalista.
Questo contributo fa parte della rubrica #iosonocultura,  parte del Decimo rapporto IO SONO CULTURA realizzato da Fondazione Symbola, Unioncamere e Regione Marche in collaborazione con l’Istituto per il Credito Sportivo.

 

Essere editori in un Paese come l’Italia in cui, storicamente, si legge poco è un grande atto di coraggio, soprattutto se si sceglie di essere editori che rappresentano e presidiano un territorio.

Chi lo fa è cosciente che per esistere c’è bisogno, prim’ancora delle necessarie capacità economiche, imprenditoriali e manageriali, di costruirsi nel tempo una riconoscibilità e un’identità forti, capaci di rendere ognuno diverso dagli altri.

Per questa ragione per un editore con queste caratteristiche è importante, forse ancor più che per un editore appartenente a grandi gruppi, la costruzione logica del proprio catalogo. Roberto Calasso, editore e scrittore, dice a proposito della sua casa editrice, «dietro Adelphi c’è il progetto di una casa editrice come forma. È un punto che stabilisce una divisione netta nell’editoria. Kurt Wolff, Insel, Gallimard, Einaudi, Suhrkamp sono applicazioni ogni volta diverse di quell’idea […] La casa editrice come forma è una somma di oggetti cartacei che messi insieme possono anche essere considerati come un unico libro». Ecco dunque il segreto: costruire nel tempo il proprio catalogo come se si stesse scrivendo un unico, grande e infinito libro. Per approfondimenti successivi, con meticolosità e coerenza. Vale per ogni editore, vale per ogni casa editrice.

Ma cos’è l’editoria di territorio, chi sono questi editori e, soprattutto, cosa producono?

Si possono utilizzare due parametri per individuare questa tipologia di editori e di case editrici: da un lato, rappresentare un territorio e la sua comunità; dall’altro, aver mantenuto la propria impresa nel luogo in cui è iniziata l’attività lavorativa ed aver costruito la propria solidità economica grazie ad una rete stabile di relazioni con i principali portatori di interesse del territorio, dalle istituzioni pubbliche ai soggetti privati, fino alla comunità di appartenenza.

Per quanto riguarda il primo parametro, la rappresentazione del territorio e della sua comunità, la provincia è un osservatorio privilegiato per guardare il mondo. Per rappresentare le identità locali, materiali (patrimoni architettonici, paesaggio) e immateriali (tradizioni popolari, sentimenti collettivi) e mantenere una vocazione globale. I primi due casi esemplari proposti rispondono a queste caratteristiche. Editori che hanno la propria base operativa rispettivamente in Sardegna e in Abruzzo. Il primo è operativo da 35 anni, il secondo da 40, un tempo sufficiente per una valutazione oggettiva del loro catalogo e del loro modus operandi.

Ilisso è una casa editrice fondata a Nuoro da Vanna Fois e Sebastiano Congiu nel 1985. Il filo conduttore delle sue pubblicazioni è la coerenza nel raccontare una terra, la Sardegna, fortemente caratterizzata da un punto di vista naturalistico, architettonico, artistico e culturale. Un lavoro certosino con una narrazione accurata e sistematica, tanto più necessaria perché quasi inesistente prima di questa esperienza. Un lavoro editoriale che restituisce una visione dell’isola a tutto tondo che ha consentito negli anni di ampliare il già ricco catalogo con la letteratura isolana a costituire una biblioteca che vanta oltre 150 volumi già pubblicati. Con la produzione libraria cresce anche l’archivio fotografico che conta su un patrimonio di oltre 100.000 immagini. A partite dalla metà degli anni Novanta Ilisso comincia a guardare oltre la Sardegna. Accanto all’editoria, negli anni si occupa anche di altri settori culturali quali l’organizzazione di mostre ed eventi, intessendo rapporti sempre più stretti e proficui con le istituzioni locali e partner privati. Consultare il catalogo di Ilisso equivale ad una visita, virtuale, in Sardegna.

 

Nuoro, Giardino del Museo Spazio Ilisso con in primo piano una scultura di Costantino Nivola, Figura femminile, 1984 (Archivio Ilisso, foto Nelly Dietzel)

 

Carsa edizioni nasce cinque anni prima, nel 1980, a Pescara, ed è fondata da Roberto Di Vincenzo e Giovanni Tavano, entrambi antropologi e fotografi. La casa editrice costruisce la sua identità sulla valorizzazione dei territori e dei patrimoni identitari locali con grandi volumi monografici e guide in cui si concede molto spazio alla fotografia che le consente di costruire contestualmente un grande archivio fotografico. I temi affrontati e declinati attraverso diverse collane trattano in modo sistematico di architettura, antropologia, beni culturali, tradizioni popolari, natura e paesaggio e costituiscono una vera e propria infrastruttura culturale per la regione. Come per la casa editrice sarda, anche Carsa ha sviluppato un’approfondita conoscenza in altri settori culturali, come l’organizzazione di mostre ed eventi. Tra i vari progetti portati avanti, particolarmente significativa l’esperienza ormai decennale di Officina L’Aquila, oggi Officina Italia, che ha raccontato il processo di ricostruzione dell’Aquila e dei comuni del Cratere. Negli ultimi anni, in linea e al passo con l’evoluzione delle attività sul web ha sviluppato un progetto editoriale fortemente innovativo per la valorizzazione delle identità locali, non solo d’Abruzzo, attraverso contest fotografici la cui selezione finale è, ovviamente, di competenza della casa editrice.

 

Roberto Monasterio. Le colline teramane verso il Gran Sasso_Abruzzo

 

La caratteristica più importante che accomuna le due case editrici è la narrazione di qualità della loro terra, la Sardegna e l’Abruzzo. Per entrambe vale l’affermazione di Roberto Calasso, sfogliando il loro catalogo si ha davvero l’impressione di leggere un unico, interminabile, libro con un indice molto articolato che ha come filo conduttore la conoscenza di quei territori e la verticalizzazione della conoscenza di temi letterari per Ilisso e ambientali per Carsa.

Condizione imprescindibile per un editore con queste caratteristiche è avere la capacità di pubblicare titoli capaci di durare nel tempo, che rappresentano una sorta di buoni del tesoro. Titoli capaci di stare sul mercato per molti anni perché sono pensati e costruiti per non essere alla moda e per questo sempre contemporanei.

Sempre appartenenti alla categoria “editoria del territorio”, ma nell’ottica del secondo parametro sopra esposto, sono quelle case editrici che, pur non avendo un catalogo costruito esclusivamente sulla rappresentazione e narrazione della terra di appartenenza, sono fortemente connesse al territorio in cui ha sede l’impresa perchè hanno costruito la loro solidità economica grazie ad una rete stabile di relazioni con i suoi attori (e non solo), pubblici e privati, e una continuità di pubblicazioni costruita su una verticalizzazione colta dei saperi, non necessariamente legati ai territori di provenienza.

Gli esempi in questo caso sono più numerosi. Partendo dal sud e risalendo verso nord, valgano come esempio, Edizioni della Torre (Cagliari), Lettera Ventidue (Siracusa), Palindromo (Palermo), Laruffa editore (Reggio Calabria), Libria (Melfi, Potenza), Edizioni Giannatelli (Matera), Adda editore (Bari), Claudio Grenzi Editore (Foggia), Guida Editori (Napoli), Clean (Napoli), Enzo Nocera (Campobasso), Cosmo Iannone editore (Isernia), Neo Edizioni (Castel di Sangro), 66THAND2ND (Roma), Lozzi Publishing (Roma), Hacca (Matelica, Macerata), Edizioni corsare (Perugia), Gran Via (Narni), Giuntina (Firenze), Transeuropa edizioni (Massa), Edizioni Il Fiorino (Modena), Edizioni Pendragon (Bologna), Kappa Vu edizioni (Udine), L’orto della cultura (Pasian di Prato, Udine), Ediciclo Editore (Portogruaro, Venezia), Biblos edizioni (Cittadella, Padova), Keller (Rovereto, Trento), Guerini e Associati (Milano), De Ferrari Editore (Genova), Fratelli Frilli editori (Genova), Add Editore (Torino), Editrice Il Punto (Torino), End Edizioni (Gignod, Aosta).

Oltre alla narrativa, che è presente nei cataloghi di molte di queste realtà imprenditoriali e che contribuisce a rendere meno evidenti le differenze tra le stesse, ci sono alcune tematiche ricorrenti che accomunano queste esperienze e che legano le case editrici ai loro territori.

L’architettura, per esempio, è una di queste. La presenza diffusa su tutto il territorio nazionale delle facoltà di architettura ha favorito la nascita di alcune case editrici che si dedicano quasi esclusivamente a questa tipologia di pubblicazioni. Ovvero la risposta ad una domanda che viene dal territorio e anche la causa prima della nascita di nuove imprese editoriali. Ci sono poi case editrici, dislocate prevalentemente nel territorio a nord est dell’Italia, che si occupano quasi esclusivamente della narrazione delle guerre mondiali, della cultura transfrontaliera e, dei rapporti tra comunità.

Tra i tre casi esemplari che illustriamo per meglio identificare queste tipologia, c’è Rubbettino editore, situata a Soveria Mannelli, in provincia di Catanzaro. Una storia iniziata quasi 50 anni fa con il suo fondatore Rosario Rubbettino. Un uomo che si è fatto da solo, puntando inizialmente su settori culturali trascurati dai grandi editori metropolitani per specializzarsi col tempo e diventare un punto di riferimento culturale per tutto il Sud d’Italia. Oggi l’impresa ha un catalogo molto ampio con più di cinquanta collane e centinaia di pubblicazioni all’attivo. Ha dato spazio anche alla cultura calabrese, ma la sua vera forza resta la rete di relazioni che ha saputo creare negli anni con studiosi, docenti universitari, istituzioni culturali e politica. Una rete che le consente di sviluppare e implementare il proprio catalogo con diverse centinaia di titoli pubblicati ogni anno. Un esempio, una buona pratica di collaborazione tra pubblico e privato, di un’impresa che nei fatti svolge anche una funzione pubblica.

 

Franco D. Scarpino. Cutro (Crotone), Le dune del marchesato.

Un editore molto attivo e paradigmatico da questo punto di vista è Quod-libet con sede a Macerata. La casa editrice, fondata nel 1993, inizialmente si occupa di saggistica e filosofia, ma con il passare degli anni il suo catalogo si apre alla letteratura, alla critica d’arte e all’architettura. Interessi e discipline diverse i cui titoli vengono selezionati e scelti in coerenza con un disegno unitario che ha proprio nella dialettica tra le discipline, e non tra i generi letterari, il punto di forza e la sua marcia di direzione. L’architettura è diventata una delle sezioni più significative della produzione, in un rapporto crescente con le realtà territoriali, andando ad occupare uno spazio che negli ultimi tempi i grandi editori stanno abbandonando. In questo caso, pur in presenza di pubblicazioni di discipline diverse, il catalogo di Quod-libet ha una sua grande coerenza interna e si presta ad una lettura unitaria. Si desume una lettura del mondo e della contemporaneità e la produzione, pur apparentemente eterogenea, può essere letta come un’unica, grande opera.

Quinto ed ultimo caso esemplare analizzato, a sé stante rispetto alle due accezioni di editoria del territorio appena illustrate, è quello della casa editrice Iperborea, fondata a Milano nel 1987 da Emilia Lodigiani. In questo caso si tratta di una casa editrice che si occupa esclusivamente della promozione di un territorio attraverso la letteratura. Il territorio promosso però non coincide con il territorio sui cui insiste la casa editrice, ma le finalità sono esattamente le stesse. Le pubblicazioni riguardano la narrativa del Nord Europa, con un interesse iniziale rivolto alla Scandinavia che si è allargato anche all’Olanda, all’Islanda e al Belgio. In virtù di questa sua azione culturale, la casa editrice ha ricevuto molti riconoscimenti fino ad ottenere l’onorificenza di Cavaliere dell’Ordine della Stella Polare, massimo riconoscimento che la Svezia attribuisce ad un’impresa non locale. Una buona pratica, molto singolare, che dimostra come si può essere globali occupandosi di temi locali legati a specifici territori, non solo dal territorio stesso, ma anche dal di fuori.

Ma adesso cosa succede?

La domanda legittima che ci si pone in questi giorni è come l’editoria di territorio, che costruisce la sua stessa ragione d’essere in un rapporto stretto con le comunità di riferimento, può reagire alla pandemia di Covid-19 che ha bloccato il Paese per più di due mesi. Il lockdwon ha colpito in modo drammatico tutto il mondo dell’editoria e in particolare l’editoria di territorio, non solo in modo diretto con la chiusura obbligatoria delle librerie e di tutti gli altri punti vendita di libri, ma anche indiretta con l’annullamento di tutte le manifestazioni pubbliche. I tanti festival culturali e letterari che si organizzano in Italia, soprattutto nei mesi estivi, sono stati annullati o nel migliore dei casi sono in via di trasformazione mescolando incontri in presenza, con poche e distanziate persone, con gli ormai collaudati incontri sul web.

Il Salone Internazionale del Libro di Torino ha fatto scuola in questo senso con i suoi oltre cinque milioni di persone che hanno partecipato alla versione Extra del Salone stesso. Ma se questo dato è interessante dal punto di vista culturale, non lo è altrettanto dal punto di vista delle vendite dei libri e non lo è soprattutto per gli editori medi e piccoli.

I festival o le fiere del libro mettono in contatto diretto il pubblico con l’editore, si stabiliscono relazioni.

Molte case editrici non hanno la possibilità di farsi conoscere attraverso i media classici, quotidiani, radio e televisione, e perdere l’opportunità, almeno per l’anno in corso, data loro dai festival o dalle fiere diventa quasi vitale al fine della loro stessa esistenza. Certo i libri possono essere acquistati sulle grandi piattaforme online che sono a disposizione di tutti, grandi e piccoli editori, ma ciò che funziona per la grande impresa non funziona in modo analogo per la piccola impresa. Un piccolo o medio editore, prim’ancora di vendere il proprio prodotto ha bisogno di farsi conoscere dal possibile acquirente e il contatto visivo e diretto, che proprio le fiere e le manifestazioni pubbliche offrono, resta sempre l’opportunità migliore.

Nel frattempo gli editori confidano sulle misure presentate dal governo per arginare la crisi causata dalla pandemia, in particolare attendono di sapere come saranno impegnati i 210 milioni di euro del fondo emergenze imprese istituito presso il MiBACT.

D’altro canto, la rivoluzione digitale e l’e-commerce hanno già significativamente modificato il mercato del libro e quello della produzione. Pertanto, le case editrici, e, più in generale, le imprese culturali saranno in grado di rispondere alle nuove sfide soprattutto se sapranno immaginare un nuovo futuro professionale che tenga conto delle trasformazioni in corso.