Realizzato in collaborazione con Francesco Ferrante, fondatore Greening Marketing Italia, vicepresidente Kyoto Club, Direttivo Legambiente.
Questo contributo fa parte del decimo rapporto GreenItaly,  realizzato da Fondazione Symbola e Unioncamere, in collaborazione con CONAINovamont e Ecopneus.

All’inizio di ottobre 2020 NextEra Energy, il principale attore delle energie rinnovabili negli Usa, ha superato per capitalizzazione in Borsa la più grande Big Oil del mondo, la ExxonMobil. Il campione delle rinnovabili americano in due anni è cresciuto del 66% nelle quotazioni a Wall Street, mentre dal 2007 a oggi Exxon è crollata – sempre in termini di capitalizzazione – da 500 a 138 miliardi di dollari. D’altra parte mentre nei primi sei mesi dell’anno NextEraEnergy dichiarava un utile di 1,7 miliardi, Exxon era costretta ad ammettere che quella stessa cifra loro la stavano perdendo.
Sembra ieri quando ExxonMobil era la prima società al mondo per capitalizzazione (era il 2011, meno di 10 anni fa) e quando le Sette Sorelle sembravano dominare il mondo con la forza dei loro soldi e del loro potere lobbistico. E invece il loro potere si erode rapidamente e di nuovo l’andamento delle azioni in borsa ci aiuta a comprendere il fenomeno: Total ha raggiunto il suo massimo nel 2007, BP nel 2010, Exxon cala dal 2014 e anche Chevron non vede più le quotazioni raggiunte nel 2017. E il nostro campione nazionale, l’Eni, raggiunse il suo massimo storico nel 2007 (28 euro per azione), adesso viaggia a poco più di 6 euro per azione.
L’era fossile volge al termine e anche la finanza se ne è accorta. Ovviamente questo non vuol dire che il residuo potere delle aziende Oil&gas non conti più niente. Anzi la politica sembra il settore che più rimane “incollato” al tradizionale schema di potere e che non sa leggere la rivoluzione in atto: basti pensare al ruolo che svolgono i “fossili” nella lotta politica negli USA, ma anche in Europa e in Italia come cercano di piegare ai loro interessi i fondi di NextGenerationEU.
Ma sembra ormai davvero una battaglia di retroguardia (vedi anche capitolo sugli Scenari Energetici Internazionali). E il futuro delle rinnovabili si è già fatto presente. Nel nostro Paese durante la terribile crisi dovuta al lockdown provocato dal Covid-19, le rinnovabili hanno prodotto più della metà della elettricità che consumavamo senza che ciò abbia creato alcun problema alla tenuta della rete. E nel frattempo negli stessi mesi, quel calo dei consumi ha determinato l’incredibile evento sui mercati internazionali del prezzo negativo del petrolio: ti pagavano se accettavi di prenderlo. Per cui abbiamo assistito allo “spettacolo” di petroliere alla fonda piene di prodotto nell’attesa che si potesse sbarcare da qualche parte. Per fortuna il lockdown è finito e i consumi sono ripartiti ma il picco del petrolio se non è già stato raggiunto (in molti ritengono che non si supereranno più i 100 milioni di barili al giorno e che abbiamo già raggiunto una sorta di plateau) al massimo (secondo gli analisti più conservativi) il picco si raggiungerà nel 2030 perché Paesi come India e Cina non ridurranno la loro fame di petrolio così rapidamente. Altri ancora, al contrario, ritengono che si è già innescata una caduta che potrà diventare vertiginosa nel giro di poco tempo in quanto l’innovazione tecnologica, e il conseguente calo di prezzi della produzione (e dello stoccaggio) di energia rinnovabili procede per scalini ripidi. Comunque, e a chiunque tra questi si voglia dar retta – pur tenendo conto che, come diceva il fisico Premio Nobel Niels Bohr, “le previsioni sono difficili specie quando riguardano il futuro”, e ciò vale soprattutto per il settore petrolifero dove fior di economisti si sono esercitati in analisi spesso smentite dalla realtà – appare piuttosto certo che siamo sulla soglia della fine  dell’era fossile. Dando così ragione al commento del direttore di Greenpeace International agli Accordi di Parigi sul clima del 2015, che allora apparve – ad alcuni ma non a chi scrive – un po’ trionfale “abbiamo messo i fossili dalla parte sbagliata della storia”.
Perché va scomodato ancora una volta Yamani, lo storico “ministro degli esteri” della allora potentissima OPEC che negli anni ‘70 diceva che “come l’era della pietra non finì per esaurimento delle pietre, così l’era del petrolio sarebbe finita a causa dell’innovazione tecnologica che era il vero nemico mortale della sua organizzazione”. Ecco questa si sta rivelando una previsione azzeccata del futuro.
È la stessa IEA (l’Agenzia Internazionale dell’Energia non esattamente un covo di “rinnovabilisti”) a scrivere nel suo ultimo recente report che il fotovoltaico solare è ora “costantemente più economico” dei nuovi impianti a carbone o a gas nella maggior parte dei paesi e i progetti solari “offrono ora alcuni dei più bassi costi di elettricità mai visti”. A luglio del 2020 ad Abu Dhabi sono stati aggiudicati 2 GW di fotovoltaico a 0,0135$7kWh, l’offerta più bassa mai registrata. Bloomberg ha calcolato che il fotovoltaico e l’eolico sono già più convenienti in territori dove vivono i due terzi della popolazione globale, dove si produce oltre il 70% del PIL mondiale, e dove è istallata l’85% della potenza. È quindi coerente che la stessa IEA ricavi che le energie rinnovabili soddisferanno l’80% della crescita dell’elettricità fino al 2030. Il solare, dice la IEA, è “il nuovo re della fornitura di energia elettrica e sembra destinato ad una massiccia espansione”, con una crescita di almeno il 13% all’anno nel prossimo decennio (e IEA come sempre sceglie le stime più “prudenti”).
D’altra parte la Commissione  UE vuole ridurre del 55% le proprie emissioni al 2030 (il Parlamento vorrebbe il 60%), e quindi il Governo italiano dovrà affrettarsi ad aggiornare il suo timido Piano Nazionale Integrato Energia e Clima che era tarato su una riduzione del 40% e sembrava piuttosto marciare con il freno a mano tirato, invece di spingere su innovazione, rinnovabili ed efficienza; la Cina ha di recente annunciato che vuole raggiungere la neutralità carbonica entro il 2060 (che sarà senz’altro una data troppo lontana se la guardiamo con gli occhiali della crisi climatica, ma è una novità rivoluzionaria per i target che si è sempre dato quel colosso). Green Italy 2020 esce prima delle elezioni americane, e non c’è dubbio che l’esito delle stesse influirà pesantemente nelle scelte politiche a livello globale, ma anche nella malaugurata ipotesi di una conferma di Trump non cambieranno di molto i trends, dato che nei suoi 4 anni di presidenza, nonostante le sue roboanti dichiarazioni e i suoi interventi legislativi e attraverso l’EPA per consentire innalzamenti dei livelli di emissione da combustione di fossili, le centrali a carbone hanno continuato a chiudere ed essere dismesse. È il mercato bellezza!

 

La transizione è in atto. I dati
Intanto i dati del 2019 – quindi pre-covid e conseguente contrazione straordinaria dei consumi – ci hanno confermato che sia in Italia che nel mondo il processo di transizione e di sostituzione delle fonti fossili con le rinnovabili è in marcia.
Considerando la produzione elettrica, il cui contributo ai consumi energetici finali è inevitabilmente destinato ad aumentare data l’elettrificazione dei trasporti in corso, l’incremento prevedibile del ricorso alle pompe di calore per riscaldamento e raffrescamento delle nostre abitazioni, il quadro che si presenta è il seguente.
Nel nostro Paese nel 2019 – nonostante che dal 2014 non si siano fatte più politiche attive concrete di promozione delle rinnovabili – la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili è stata di poco inferiore al 40%,  sono stati installati 1.210 MW di nuovi impianti di 737 MW di fotovoltaico. Certo un ritmo troppo lento, tanto che il Coordinamento Free (Fonti Rinnovabili ed Efficienza Energetica) ha calcolato che ci vorrebbero più di 60 anni se andiamo a avanti di questo passo per centrare gli obiettivi al 2030 del succitato timido PNIEC in vigore. Ma complessivamente la potenza installa da rinnovabili supera i 55 GW ossia circa il 45% del parco generazione italiano. E si deve considerare che di quei 55 GW, solo 18 GW sono di idroelettrico “storico”, gli altri 37 MW sono nuove rinnovabili. Inoltre nel 2019 non vi è stato alcun incremento di potenza termoelettrica installata. Il fossile si è fermato.

 

 

Nell’Unione Europea se il contributo delle rinnovabili dal 200 al 2019 è aumentato di 20 punti, nel solo ultimo anno il consumo di carbone si è ridotto del 18% (fonte: Global Energy Statistical Yearbook 2020).
A livello mondiale a fine 2019 la potenza rinnovabile installata è arrivata a oltre 2.500 GW con un incremento del 7,4% rispetto all’anno precedente, per una produzione totale di oltre 6.500 TWh. E la cosa interessante è che hanno creato mezzo milione di posti lavoro: in meno di dieci anni i green jobs in questo settore sono aumentati di 4 milioni di unità (in gran parte grazie al fotovoltaico) e hanno raggiunto il totale di 11,5 milioni in tutto il mondo (fonte: International Renenwable Energy Agency – IRENA). Non solo, ma la stessa Agenzia ha calcolato che investire 1 milione di dollari nelle rinnovabili crea 7,5 posti di lavoro rispetto ai 2,6 nel settore delle fossili.

 

Non c’è tempo da perdere
La strada è tracciata, ma è indubbio che nel nostro Paese si stanno accumulando ritardi dovuti soprattutto a complicazioni burocratiche che ritardano i processi autorizzativi e spesso a fenomeni di nimby (not in my backyard) e nimto (non in my term of office) che ostacolano la realizzazione di impianti. Dobbiamo invece accelerare – se vogliamo mantenere il passo con la rivoluzione in corso in tutto il mondo – sia sugli impianti fotovoltaici, da installare sui tetti ma anche a terra con la dovuta attenzione all’inserimento nel paesaggio e alla compatibilità con le attività agricole, che sull’eolico on-shore e off-shore, superando un pregiudizio ideologico contro questi impianti che si spinge a contestare persino quelli a largo, invisibili dalla costa. Ma dobbiamo fare anche tanti impianti che producono biometano, da rifiuti urbani e in agricoltura seguendo le linee guida del “biometano fatto bene”, promuovere la geotermia a ciclo chiuso e il mini idro. E bisogna proseguire su alcuni passi avanti fatti in quest’ultimo periodo: “superbonus”, rendendolo stabile e più efficace, e comunità energetiche, consentendone la diffusione sul territorio.
Non c’è più tempo da perdere se vogliamo combattere la crisi climatica e se vogliamo correre insieme agli altri nella costruzione di un nuovo sistema energetico.