«Quest’ennesimo tentativo di sanatoria è un segnale pessimo per la Sicilia e per l’Italia». Presidente onorario e fra i primi attivisti di Legambiente, oggi alla guida di Symbola, la Fondazione per le qualità italiane, Ermete Realacci uno dei padri della legge contro gli ecoreati, come della commissione parlamentare sulle ecomafie da decenni si batte contro il cemento selvaggio. In Sicilia, un fenomeno con numeri da capogiro. Nell’isola che vanta un indice di abusivismo pari al 58, 2 percento, su 4.537 ordinanze di demolizione emesse si legge nell’ultimo report di Legambiente solo il 20, 9 percento sono state eseguite. E nelle nove province, si contano circa 31.981 abusi edilizi con una volumetria pari a quasi sette milioni e mezzo di metri cubi. Traduzione, uno e mezzo per ogni siciliano, neonati inclusi. A distanza di meno di un anno dal tentativo di minisanatoria della scorsa estate, si torna a lavorare ad un condono.

«Quella contro la cementificazione, l’abusivismo, la distruzione del territorio è una battaglia ancora molto attuale, non solo per l’ambiente o la bellezza, ma anche per un’idea di futuro possibile». In che termini? «L’Italia è forte quando fa l’Italia, cioè quando punta sul bello, riesce a creare posti in cui la gente di tutto il mondo voglia vivere. E le colate di cemento di certo non aiutano». In Sicilia si commette il 14,4 percento dei reati legati al ciclo del cemento. «Come Legambiente abbiamo intuito in tempi non sospetti che il cemento è un grande affare di mafia, così come altri reati legati alla devastazione ambientale. All’epoca del maxiprocesso, sulla base di questo abbiamo cercato dí costituirci parte civile. Ma non ci è stato concesso».

Negli anni sono stati fatti passi avanti su questo fronte? «Assolutamente sì, è cambiata la percezione. Abbiamo ad esempio una legge sugli ecoreati che fa onore all’Italia ed è un unicum in Europa». Nella coscienza collettiva c’è consapevolezza della necessità di portare avanti la battaglia? «Personalmente credo che ormai si sia capito che un freno alla bellezza significa un freno alla potenziale ricchezza di un territorio, perché ne mutila le possibilità». Eppure ci si trova ciclicamente di fronte a tentativi di far passare questo o quel condono.

«A livello locale c’è chi ha l’interesse o la tentazione di lisciare il pelo a potentati locali di varia natura, interessi imprenditoriali, se non mafiosi, o insegue piccole rendite di posizione territoriali». E si riesce nell’intento? «Credo che oggi sia sempre più difficile. Di certo, a livello nazionale il Paese non capisce più provvedimenti del genere. Ma anche a livello locale si iniziano a leggere come misure che vanno a scapito dello sviluppo del territorio». A suo parere dunque cosa bisognerebbe fare? «Di certo, se c’è questa norma in discussione bisogna bloccarla. Ma anche promuovere un altro tipo di politica che sia in grado di agire con tempestività e fare cose belle e utili» Qualche esempio? «La politica che abbia un’idea di futuro esiste. Penso a chi ha proceduto con le demolizioni nella valle del Simeto o nell’agrigentino. Per altro, per i Comuni è un vantaggio: abusivismo significa anche evasione fiscale oltre che interessi mafiosi». Si fa abbastanza? «Non ancora. Alexander Langer diceva che “la conversione ecologica si affermerà quando diventerà socialmente desiderabile”. Questo passaggio manca ancora. Un esempio: i vini siciliani sono apprezzati perché sinonimo internazionale di bellezza, eppure nel Belice ci sono vigneti meravigliosi minacciati dal cemento. Ecco perché chi non combatte l’abusivismo non ama la Sicilia, non ama l’Italia, non ha progetto di futuro».