Milano, 4 novembre 2013
3 MILIONI DI GREEN JOBS
100 MLD DI EURO DI VALORE AGGIUNTO (IL 10,6%)
330MILA IMPRESE (22% DEL TOTALE) CHE CONTRO LA CRISI PUNTANO SULLA GREEN ECONOMY SONO PROTAGONISTE DELL’EXPORT E DELL’INNOVAZIONE E ASSUMERANNO QUEST’ANNO 216MILA PERSONE (38% DEL TOTALE)
INNOVAZIONE E RICERCA PARLANO GREEN CON IL 61% di NUOVI ADDETTI IN R&S COSTITUITI DA GREEN JOBS
PRESENTATO OGGI GREENITALY DI UNIONCAMERE E FONDAZIONE SYMBOLA UNA LETTURA DIVERSA DELLA NOSTRA ECONOMIA “QUALITA’, INNOVAZIONE E SOSTENIBILITA’ SONO L’ANIMA DEL NUOVO MADE IN ITALY PER SUPERARE LA CRISI L’ITALIA DEVE FARE L’ITALIA"
Milano, 4 novembre 2013. Tre milioni di green jobs. 328mila aziende italiane (il 22%) dell’industria e dei servizi con almeno un dipendente che dal 2008 hanno investito, o lo faranno quest’anno, in tecnologie green per ridurre l’impatto ambientale e risparmiare energia. Dalle quali quest’anno arriverà il 38% di tutte le assunzioni programmate nell’industria e nei servizi: 216.500 su un totale di 563.400. Con i green jobs che diventano protagonisti dell’innovazione e copriranno addirittura il 61,2% di tutte le assunzioni destinate alle attività di ricerca e sviluppo delle nostre aziende: la ricerca e l’innovazione che, dunque, parlano green. E’ questa la green economy italiana, cui si devono 100,8 miliardi di euro di valore aggiunto prodotto, in termini nominali, dalla green economy nel 2012, pari al 10,6% del totale dell’economia nazionale, esclusa la componente imputabile al sommerso. A restituirne l’istantanea è GreenItaly 2013. Nutrire il futuro: il rapporto annuale di Unioncamere e Fondazione Symbola che ricostruisce la forza e racconta le eccellenze della green economy nazionale. E che è stato presentato oggi a Milano presso la sede di Expo 2015 alla presenza di Ferruccio Dardanello, presidente Unioncamere, Claudio Gagliardi, segretario generale Unioncamere, Giuseppe Sala, commissario unico Expo 2015, Aldo Bonomi, Direttore AASTER, Rosario Bifulco, presidente Green economy network Assolombarda, Maurizio Martina, sottosegretario Expo 2015, Andrea Orlando, Ministro dell’Ambiente, Ermete Realacci, presidente Fondazione Symbola.
La green economy, secondo Symbola e Unioncamere, è un nuovo paradigma produttivo che esprime, nel nostro Paese, la parte propulsiva dell’economia: “dall’inizio della crisi, nonostante la necessità di stringere i cordoni della borsa, più di un’impresa su cinque ha scommesso sulla green economy. Che è stata, quindi, percepita come una risposta alla crisi stessa, e non ha deluso le aspettative”. Chi investe green, infatti, si legge nel rapporto arrivato alla quarta edizione, è più forte all’estero: il 42% delle imprese manifatturiere che fanno eco-investimenti esporta i propri prodotti, contro il 25,4% di quelle che non lo fanno. Green economy significa innovazione: il 30,4% delle imprese del manifatturiero che investono in eco-efficienza ha effettuato innovazioni di prodotto o di servizi, contro il 16,8% delle imprese non investitrici. E significa redditività: il 21,1% delle imprese manifatturiere eco-investitrici ha visto crescere il proprio fatturato nel 2012, tra le non investitrici è successo solo nel 15,2% dei casi.
Dalla green economy nazionale arrivano segnali positivi anche sul tema dell’occupazione giovanile: il 42% del totale delle assunzioni under 30 programmate quest’anno dalle imprese dell’industria e dei servizi con almeno un dipendente verrà fatto proprio da quel 22% di aziende che fanno investimenti green. E anche sul fronte dei diritti: se guardiamo ai green jobs, tra le assunzioni a carattere non stagionale, l’incidenza delle assunzioni a tempo indeterminato è del 52%, mentre scende al 40,5% per le figure non connesse al settore green.
“Non stiamo parlando, evidentemente, di un settore dell’economia – sottolineano Unioncamere e Symbola -, ma di un tracciante verde che percorre il sistema produttivo italiano e che, a ben guardare, delinea il ritratto più fedele del nuovo “made in Italy”. Scorrendo l’elenco dei settori che investono green con più convinzione, infatti, si trovano proprio quelli trainanti del made in Italy, quelli più tradizionali e quelli di più recente acquisizione: il comparto alimentare (27,7% contro una media del complesso dell’industria e dei servizi del 22%), quello agricolo (49,1%), il legno-mobile (30,6%), il settore della fabbricazione delle macchine ed attrezzature e mezzi di trasporto (30,2%), e poi tessile, abbigliamento, calzature e pelli (23%).
“GreenItaly – spiega Ferruccio Dardanello, presidente Unioncamere – ci racconta di un’Italia che sa essere più competitiva e più equa, perché fondata su un modello produttivo diverso. In cui tradizione e innovazione, sostenibilità e qualità si incrociano realizzando una nuova competitività. L’Italia non una delle vittime della globalizzazione ma, anzi, un Paese che ne ha approfittato per modificare profondamente la propria specializzazione internazionale, modernizzandola, proprio grazie alla green economy. Creando valore aggiunto in settori in cui ci davano per spacciati e creando nuove specializzazioni in altri settori, in cui siamo oggi leader. L’Expo 2015 è un’occasione unica per presentare al mondo questo modello di sviluppo e l’Italia come suo autorevole paladino. Se vogliamo che questo modello vincente contagi tutto il nostro sistema produttivo, dobbiamo sostenerlo. Anzitutto liberandolo dagli ostacoli che incontra lungo il cammino, primo fra tutti l’eccesso di burocrazia. E poi con politiche industriali e fiscali più green: nelle tecnologie, nella formazione, nella tassazione del lavoro, nel credito, negli investimenti.”
Non è un caso, dunque, se nel 2012 siamo stati tra i soli cinque paesi al mondo (con Cina, Germania, Giappone e Corea del Sud) ad avere un saldo con l’estero superiore ai 100 miliardi di dollari (per i manufatti non alimentari). Tra ottobre 2008 e giugno 2012 – mentre sul mercato domestico domanda e produzione crollavano per la crisi e l’austerità – il fatturato estero dell’industria italiana è cresciuto più di quello tedesco e francese.
Uno spread positivo che ci dice che quando si guarda al futuro, quando si parla di sviluppo, è da questi talenti che si deve ripartire. Lo spiega Ermete Realacci presidente Fondazione Symbola: “Non sarà certo la politica economica dell’Adda passà ‘a nuttata, per dirla con De Filippo, a tirarci fuori dalla crisi. L’Italia deve affrontare i suoi mali antichi, che vanno ben oltre il debito pubblico e che la crisi ha reso ancora più opprimenti: le diseguaglianze sociali, l’economia in nero, quella criminale, il ritardo del Sud, una burocrazia spesso persecutoria e inefficace. Deve rilanciare il mercato interno, stremato dalla recessione, dall’austerità e dalla paura. E deve saper fare tesoro della crisi per cogliere le sfide, e le opportunità, della nuova economia mondiale”. Come? “Scommettendo sull’innovazione, la ricerca, la qualità, la green economy, per rinnovare il suo sapere fare, la sua vocazione imprenditoriale e artigiana. L’Italia, insomma, deve fare l’Italia. La prossima Expo di Milano, pensata dopo la crisi, può essere anche la prima esposizione mondiale della green economy”.
La green economy, insomma, fa già parte del presente della nostra economia. E può diventarne il futuro. “A questo tracciante verde dell’Italia migliore – auspicano Unioncamere e Symbola – deve guardare con più curiosità e attenzione la politica quando ragiona di sviluppo e rilancio. E non può non farlo Expo 2015: che, partendo dalle fila dell’agroalimentare e dipanandole lungo la filiera e i territori, rappresenterà una straordinaria occasione di rilancio del sistema paese, che in questa green economy ha la sua avanguardia”.
I NUMERI DI GREENITALY
Investimenti. Sono quasi 328mila le imprese dell’industria e dei servizi con dipendenti che hanno investito nel periodo 2008-2012 e/o investiranno entro la fine del 2013 in tecnologie green in grado di assicurare un maggior risparmio energetico e/o un minor impatto ambientale: più di una su cinque, esattamente pari al 22% dell’intera imprenditoria extra-agricola con dipendenti. Una percentuale che sale al 29,7% nell’industria manifatturiera (81mila).
Export. Il 17,5% delle imprese (57.500) che investono in eco-efficienza (quelle che hanno investito nel 2008-2012 e/o investiranno nel 2013 in prodotti e tecnologie a maggior risparmio energetico o a minor impatto ambientale) sono esportatrici (anno 2012, tendenza che sale al 42% nel manifatturiero, con 34mila imprese), contro il 10% di quelle che non investono (25,4% nel manifatturiero).
Innovazione. Circa 23 imprese che hanno fatto nel 2008-2012 o faranno nel 2013 eco-investimenti su 100 hanno effettuato innovazioni di prodotto/servizio nel corso del 2012 (74mila imprese), contro le 11 circa su 100 nel caso delle imprese non investitrici. Nell’industria manifatturiera, le imprese eco-investitrici e innovatrici sono addirittura il 30,4% (più di 24mila), sostanzialmente il doppio (in termini relativi) di quanto rilevato tra le imprese che non investono nel green (16,8%).
Addirittura il 61,2% di tutte le assunzioni previste nel 2013 e destinate alle attività di ricerca e sviluppo (R&S) all’interno delle nostre aziende sarà coperto da green jobs.
Redditività. Mentre circa 17 imprese che investono nell’eco-efficienza su 100 hanno visto crescere, in maniera moderata o elevata, il fatturato nel 2012 (rispetto al 2011), solo in 12 casi su 100 tale situazione è riscontrabile tra le imprese non investitrici.
Occupazione/assunzioni. La dinamicità delle imprese che hanno fatto eco-investimenti è evidente anche sul fronte occupazionale. Con ben il 21,3% delle imprese che prevede di assumere nel 2013 (circa 70mila) le imprese di industria e servizi (con dipendenti) che fanno eco-investimenti doppiano quelle non investitrici (10,9%). Più del 38% delle assunzioni programmate da tutte le imprese dell’industria e servizi (con dipendenti) per il 2013 proviene proprio dalle aziende che investono nella sostenibilità (sempre con riferimento alle imprese che hanno investito nel 2008-2012 e/o investiranno nel 2013): in valori assoluti si tratta di circa 216.500 assunzioni sul totale delle 563.400 previste.
Occupazione/green jobs. Oggi nell’intera economa italiana (sia privata che pubblica) gli occupati “verdi” – i cosiddetti green jobs – sono 3.056,3 mila, corrispondenti al 13,3% dell’occupazione complessiva nazionale. Accanto a questi possiamo annoverare altre 3 milioni e 700 mila figure ‘attivabili’ dalla green economy: occupati con le carte in regola per lavorare in settori e filiere green. Ben 90 assunzioni totali previste dalle imprese industriali e dei servizi (con dipendenti) per quest’anno di green jobs in senso stretto su 100 hanno carattere non stagionale, contro appena 62 su 100 per le figure non green. Tra le assunzioni non stagionali, l’incidenza delle assunzioni a tempo indeterminato è del 52% per i green jobs e scende al 40,5% per le figure non connesse al settore green.
I giovani. Il 42% del totale delle assunzioni under 30 programmate quest’anno verrà fatto proprio da quel 22% di aziende che fanno investimenti green. Perché ben 36 assunzioni non stagionali su 100 (36,1%) previste nel 2013 dalle imprese eco-investitrici sono rivolte a giovani under 30, laddove nel caso delle imprese che non investono il rapporto scende a circa 30 su 100 (30,5%).
Valore aggiunto. Il valore aggiunto, in termini nominali, prodotto nel 2012 dalla green economy (calcolato a partire dallo stock dei green jobs) è pari a 100.762,3 milioni di euro, pari al 10,6% del totale della ricchezza prodotta, dal quale è stata esclusa la componente imputabile al sommerso. Quota che nell’industria in senso stretto arriva al 13,4%, addirittura al 16,2% nell’agricoltura, silvicoltura e pesca e al 24,2% nel caso delle costruzioni.
Geografia degli eco-investimenti
La green Italy è diffusa in modo piuttosto uniforme lungo tutto lo Stivale. Tuttavia, vista la diversa concentrazione delle imprese nelle diverse regioni del Paese, trova nel Nord il suo punto di forza: quasi 170 mila delle nostre 328mila imprese green, ossia il 52% del totale, si trovano al Nord, di cui 94mila nel Nord-Ovest (28,7%) e circa 75.600 nel Nord-Est (23,1%). Un’altra buona fetta di imprese verdi si trovano al Meridione, ben 93.500 (28,5%), mentre nel Centro si fermano a 64.800 (19,8%).
Analogamente scendendo a livello delle singole regioni, spicca il numero di imprese lombarde che hanno fatto o faranno ecoinvestimenti: più di 60mila, ovvero il 18% delle imprese green di tutto il Paese. Nulla da stupirsi, dunque, se è la Lombardia a guidare la classifica regionale per numero delle imprese che tra il 2008 e il 2013 hanno investito o investiranno in prodotti e tecnologie verdi. Segue il Veneto con 30.670 imprese che puntano sull’eco-efficienza (9,4%), terza posizione a pari merito davanti all’Emilia-Romagna e il Lazio, dove sono presenti, in ciascun territorio, poco più di 28mila imprese (8,6%). Seguono Piemonte, Campania, Toscana e Puglia, rispettivamente con 23.690, 22.540, 21.440 e 20mila imprese attente alle loro performance ambientali. E quindi troviamo la Sicilia, a quota 19.760, e le Marche, che si attestano a 9.830 imprese green. Passando dalle Regioni alle Province, Roma non rinuncia al suo ruolo di Capitale e guida la classifica provinciale per numero di imprese investitrici nell’eco-efficienza con 20.450 imprese green (pari al 6,2% del totale nazionale delle imprese verdi). Sul podio anche Milano, seconda a quota 18.400 imprese (pari al 5,6% del totale nazionale), e Torino, terza con 11.090 imprese (3,4%).
Le green valleys italiane: geografia dei green jobs
I territori più ricchi e ‘affamati’ di competenze verdi sono quelli a maggiore presenza di imprese eco-investitrici: il 35,6% del totale nazionale delle assunzioni non stagionali di green jobs in senso stretto previste dalle imprese industriali e dei servizi (con dipendenti) per il 2013 si concentra infatti nel Nord-Ovest, con 16.600 assunzioni, grazie soprattutto alla Lombardia, dove se ne contano quasi 11.600, e al più contenuto contributo del Piemonte, regione dalla quale arrivano oltre 3.500 assunzioni di green jobs in senso stretto (quarta regione della graduatoria assoluta) che corrispondo ad un apprezzabile 7,9% del totale nazionale.
Ma anche il Nord-Est e il Mezzogiorno fanno segnare una presenza importante per domanda di green job: il Mezzogiorno vanta 11mila assunzioni green, mentre il Nord-Est sfiora quota 11mila. In entrambi i casi si parla di circa il 23/24% del corrispondente fabbisogno complessivo nazionale. Per il Nord-Est spicca l’Emilia-Romagna, con quasi 5mila assunzioni (seconda regione per valori assoluti) che corrispondo ad un decimo (10,4%) del totale nazionale, e il Veneto (circa 3.600 assunzioni; 7,7% del totale Italia). Per il Mezzogiorno, invece, si distingue la Campania, dove sono previste per il 2013 quasi 3.500 assunzioni di green jobs in senso stretto (7,3% del totale nazionale), seguita dalla Sicilia (2.500; 5,4%) e dalla Puglia (1.300; 2,8%). Completa il quadro dei nostri ‘distretti verdi’ il Centro, dove si concentra il 17,4% della domanda nazionale di green jobs in senso stretto (8.100 assunzioni).
Sul podio delle province per valore assoluto delle assunzioni non stagionali di green jobs in senso stretto previste dalle imprese nel 2013 troviamo Milano, al primo posto grazie a 6mila assunzioni di queste figure (12,9% del totale nazionale), Roma (3.400; 7,3%) e Torino (2.300; 5%).
Agricoltura, dove la competitività va a braccetto con qualità e sostenibilità
La nostra agricoltura è una delle più competitive a livello europeo con primati nel valore aggiunto per ettaro (2.181 euro/ha, il triplo di quello del Regno Unito, il doppio della Spagna, quasi il doppio della Francia, 1 volta e mezza di quello tedesco), occupati agricoli ad ettaro (10,1 ogni ogni 100 ha, il triplo rispetto a Francia, Germania e Spagna, quasi 6 volte quello del Regno Unito), export nel mondo e sicurezza alimentare.
Riguardo a questo ultimo aspetto, basti pensare che il settore agricolo italiano vanta il minor numero di prodotti agroalimentari con residui chimici oltre il limite (0,3%), inferiori di 5 volte a quelli della media europea (1,5% di irregolarità) e di 26 volte a quelli extracomunitari (7,9%). Risultati importanti, raggiunti anche grazie alla scommessa sulla qualità e sulla sostenibilità. Quasi la metà (49,1%) delle imprese con produzione prevalente agricola con dipendenti, infatti, negli ultimi tre anni (2010-2012) ha adottato metodi e tecnologie per la riduzione dei consumi di energia ed acqua. Si tocca la punta del 63% nel settore delle coltivazioni di serra e dei vivai, dove il consumo di acqua ed energia è piuttosto elevato.
Start-up. Delle circa 117mila ‘vere’ nuove imprese (iscrizioni al Registro delle imprese che non siano frutto di trasformazioni, scorpori, separazioni o filiazioni) nate nel primo semestre 2013, quasi 33mila, il 28%, hanno investito in prodotti e tecnologie green nei primi mesi di vita del 2013 e/o prevede di investire nei successivi 12 mesi. Si tratta di una quota molto rilevante, se si pensa che nel corrispondente semestre del 2012 tale incidenza era pari a quasi la metà. Le start-up che fin dall’inizio della loro storia aziendale adottano approcci “green” creano maggiori spazi per assunzioni addizionali di personale: il 21,3% delle start-up nate nel primo semestre del 2013 che realizzano eco-investimenti prevede un aumento del personale nei successivi 12 mesi, quando nel caso di quelle che non investono la quota scende al 12,9%.
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