Il made in Italy è oggi una sfida comune del sistema Italia: la sua valorizzazione, la sua difesa, è non solo una scelta obbligata, ma una scelta strategica per il nostro futuro. Esso è, infatti, non solo espressione di un’indicazione geografica, ma anche e soprattutto di un sistema di valori, un marchio di qualità dell’Italia nel mondo, che va difeso dal diffondersi di forme di competizione illegale e sleale che rischiano di eroderne la forza e il prestigio.
In un tempo segnato dalla crisi economica e finanziaria, il made in si è dimostrato un’importante risorsa della nostra economia. Nel 2008, solo nei macrosettori delle 4A (Abbigliamento, Arredo e sistema casa, Agroalimentare e Automazione), è stato generato un valore aggiunto di circa 138 miliardi di euro e questo anche grazie agli oltre mille prodotti in cui l’Italia primeggia e che rappresentano in valore il 50% dei 290 miliardi di euro di esportazione realizzati nel 2009. Uno straordinario esempio che rafforza la scelta, fatta dalla maggior parte delle imprese italiane, di spostare sempre pi la competizione sul terreno della qualità e dell’innovazione. E oggi la sensibilità sociale e quella ambientale sono due componenti fondamentali di un made in Italy capace di misurarsi, e in qualche modo anticipare, le stesse sfide della green economy e anche per questo, sulle sfide future che dovrà sostenere, sulla sua missione e sulle strategie per meglio difenderlo, diffonderlo e promuoverlo è necessario costruire un comune punto di vista, una convergenza tra le imprese, le istituzioni e la società, per condividere e promuovere insieme le chiavi interpretative dell’economia del futuro: la green economy, la scommessa della qualità, l’innovazione.
È quanto si legge nel documento congiunto realizzato dalle Fondazione Farefuturo e Symbola in occasione del convegno “Il Futuro made in Italy. Le regole, la missione, la sfida”, svoltosi oggi a Roma e a cui hanno partecipato, oltre al Segretario generale di Farefuturo, Adolfo URSO e il Presidente di Symbola, Ermete REALACCI, rappresentanti delle istituzioni, imprese e associazioni e di categoria.
Dobbiamo condurre con determinazione una battaglia di sistema – ha dichiarato il Segretario Generale della Fondazione Farefuturo Adolfo URSO – per tutelare e promuovere il Made in Italy, testimonianza di cultura della persona e di eccellenza produttiva. Oggi dobbiamo affiancare agli strumenti finanziari e promozionali una rinnovata azione a livello globale per regole pi certe e accesso ai mercati pi equo. Soprattutto a livello europeo dobbiamo batterci per la tracciabilità dell’origine dei prodotti e per la trasparenza nelle decisioni relative alla difesa antidumping – ha proseguito Urso – sapendo che sempre pi la competizione globale metterà il made in Italy dinanzi a minacce asimmetriche ma anche a grandi opportunità di mercati che si aprono.
Affrontare la crisi difendendo la coesione sociale, i lavoratori che perdono il posto di lavoro, le famiglie a reddito pi basso, garantire il credito piccole e medie imprese, dichiara Ermete REALACCI, presidente di Symbola. Ma anche capire quali sono le chiavi per l’economia del futuro. Oggi pi che mai la scommessa della qualità, dell’innovazione, della ricerca, la sfida della green economy rappresentano la strada per garantire competitività alle imprese italiane, rafforzandone il loro legame con il territorio. Il rispetto di standard avanzati, il contrasto a forme di dumping sociale e ambientale, la lotta contro la contraffazione, le nuove frontiere della responsabilità sociale d’impresa, sono oggi anche strumenti per competere. Il Made in Italy, la sua valorizzazione, la sua difesa, è per questo una scelta non solo obbligata, ma forte e strategica. Una sfida comune del sistema Paese. Essere attenti all’ambiente conviene, essere giusti conviene, essere lungimiranti conviene: fare l’Italia conviene.
Nel documento, che analizza una serie di questioni in merito al made in Italy e alla sua tutela, dalla lotta alla contraffazione alla concorrenza sleale e asimmetrica, dall’obbligo di etichettatura di origine alla protezione della proprietà intellettuale, si afferma che per tutelare e promuovere il made in Italy è necessario intervenire su pi livelli. A partire dall’ambito internazionale, dove sono necessarie azioni di difesa comuni finalizzate a garantire la reciprocità di accesso ai rispettivi mercati, l’obbligatorietà dell’indicazione del paese d’origine per tutte le merci importate nell’Unione Europea, e pi severi controlli doganali. Misure, a cui – si legge – dovrebbero aggiungersi dei meccanismi virtuosi di regolamentazione, quali l’introduzioni di social fee a favore della tutela dei lavoratori o e di enviromental fee a tutela dell’ambiente, permettendo cosù ai Paesi dumpers di evolvere verso forme pi sostenibili e regolamentate di produzione.
A livello nazionale, – prosegue il dcumento – tutelare il made in Italy vuol dire innanzitutto agire a monte, ossia investire sul talento, sulla formazione, sulla ricerca, sull’innovazione e agire sui processi, rafforzandone l’orientamento alla qualità. Tutelare il made in italy vuol dire anche, in questo momento di crisi, mantenere la coesione sociale, pensare al futuro dei lavoratori che perdono il posto, alle famiglie a reddito pi basso, garantire il credito a piccole e medie imprese. Nello stesso tempo, – si legge – vanno anche studiate misure d’attacco che consentano alle imprese italiane, attraverso una loro maggiore internazionalizzazione e una pi forte presenza nella distribuzione, di cogliere le opportunità offerte dai nuovi mercati in crescita, nonché di realizzare un maggiore sforzo nella ricerca e nell’innovazione per poter accrescere la competitività del sistema produttivo e la gamma di prodotti offerti sul mercato. Misure, quindi, in grado di confrontarsi e sfidare la concorrenza esterna, grazie all’adozione di adeguate politiche tendenti a rimuovere, in tempi ragionevoli, le inefficienze del sistema Paese – dalla burocrazia agli alti costi dell’energia, dal congestionamento dei trasporti ad altre carenze infrastrutturali – che continuano a pesare sulle imprese italiane.
Vediamo nel dettaglio quali sono le strategie evidenziate dal documento per la difesa e la promozione del made in Italy.
STRATEGIE A LIVELLO EUROPEO E GLOBALE
• L’Unione Europea deve farsi promotrice dell’obbligo di indicazione del paese di provenienza sui prodotti importati nella UE. E’ in corso a Bruxelles il negoziato sul “Made in”: la Commissione Europea è prossima a trasmettere al Parlamento europeo lo schema di provvedimento. Sarà importante innanzitutto che il nostro Paese si faccia valere in sede UE affinché venga recuperato lo schema originario che il Commissario pro-tempore Peter Mandelson elabor» (e fu approvato dal Collegio dei Commissari nel 2005) e non la versione fortemente riduttiva elaborata successivamente da Catherine Ashton, detentrice del portafogli trade fra il 2008 ed il 2009. Poiché il Parlamento europeo è ad oggi titolare di nuove funzioni secondo le procedure di Lisbona si potrebbe in tale sede provvedere ad un arricchimento del testo non solo per tipologie di prodotto ma anche per “tipologie di made in” normando in maniera univoca e compulsory l’indicazione d’origine nazionale intra UE (made in Italy). Ci» renderebbe inoltre pi agevole dare un segnale di chiarezza rispetto ai progetti di legge in itinere a livello nazionale (per i quali è comunque auspicabile una notifica preventiva presso gli organismi europei per evitare ricorsi e vacuum legislativi)
• L’Unione Europea deve rafforzare lo strumento di difesa contro la concorrenza sleale ed il dumping: rispetto al Reg. (CE) 384/96 grazie alle modifiche introdotte su proposta italiana con il Regolamento 461 dell’ 8 marzo 2004 è pi semplice avviare le procedure. Su questo è importante che il neocommissario Karel De Gucht – sin qui piuttosto cauto – confermi lo schema in cui prevalente è il riscontro oggettivo di dumping (indagine della Commissione su prezzo di vendita, pregiudizio a carico dei produttori europei, nesso fra i due elementi e valutazione benefici) rispetto al giudizio – volatile e non tecnico – del Consiglio.
• L’Unione Europea deve far ripartire il negoziato in sede OMC ed introdurre con forza il capitolo degli ostacoli non tariffari (ONT): molti paesi in via di sviluppo o di nuova industrializzazione, continuano a mantenere elevati dazi sulle importazioni e, soprattutto, significative barriere non tariffarie che rendono estremamente difficile per le imprese europee (ed in particolare le piccole e micro imprese italiane) esportare in quei mercati. Sarà importante far partire “il II tempo dell’OMC” proprio sul tema pi caro alle PMI italiane;
• L’Unione Europea deve farsi promotrice della proposta di istituzione della cosiddetta “social fee” (ed “environmental fee”). I problemi sociali e della competizione asimmetrica si intrecciano: produzioni in deroga ad ogni norma sociale, il “sovra-impiego” di lavoratori sottoqualificati e non tutelati, nonché la scarsa cura dell’impatto ambientale, impediscono una diffusione omogenea dei diritti della persona, rendono vana ogni policy globale a livello sociale e realizzano una concorrenza fra prodotti “disomogenei”. In poche parole c’è un problema di social-dumping che anche l’OMC fatica ad affrontare. L’Ue deve proporre di istituire a livello globale (OMC appunto) non una tassa o un dazio, facilmente fraintendibili, ma una “fee” a favore della tutela dei lavoratori dei PVS affinché comincino a fare proprie quelle conquiste sociali che le nostre industrie, i nostri lavoratori, imprenditori e governanti hanno saputo acquisire alla società occidentale negli scorsi 50 anni. Si tratta di calcolare un’aliquota dell’IVA di competenza, per ogni prodotto importato dai paesi “con standard sociali critici” in un certo Paese europeo. Queste somme, pagate direttamente dai produttori-esportatori (ma che verranno ragionevolmente “ricaricate” sul consumatore finale), confluiranno in un fondo OMC-OIL (Organizzazione Internazionale del lavoro) competente per l’adeguamento in loco delle norme sociali e di qualità del lavoro. Da un lato il prodotto avrà un prezzo pi congruo, diminuendo il gap di competitività eccessivo esistente oggi in alcuni settori, dall’altro migliorerà il sistema di tutela sociale dell’apparato produttivo dei PVS a beneficio delle crescita della qualità della vita.
STRATEGIE A LIVELLO NAZIONALE
• È necessario produrre uno sforzo eccezionale nella lotta alla contraffazione: maggiori strumenti per l’Agenzia delle Dogane e per le forze dell’ordine impegnate nel sequestro e distruzione della merce contraffatta; un maggiore coinvolgimento degli enti locali, ai fini dell’accertamento delle nuove violazioni, prevedendo una sorta di responsabilità oggettiva per le amministrazioni che non conducono sul proprio territorio la lotta alla contraffazione.
• E’ necessario poi intensificare i controlli, elevare i livelli di efficacia delle iniziative giudiziarie, assicurando tempi celeri dei processi e certezza delle sanzioni e comunicare i “numeri” del falso, promuovendo adeguate informazioni presso i consumatori.
• E’ necessario creare sistemi di monitoraggio e di aggregazione dei dati integrati e coordinati. Attualmente numerose e analoghe informazioni vengono raccolte da canali differenti, con modalità differenti e spesso senza organicità, in particolare nel settore agroalimentare . La disarticolazione dei flussi di informazione è legata, a monte, alla frammentarietà del sistema complessivo, dei controlli. Il sistema investe sia i prodotti (nazionali o importati) destinanti al mercato interno che quelli destinati alle esportazioni. A livello centrale opera, come organo responsabile, il Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali, attraverso uffici centrali e periferici. La responsabilità a livello territoriale fa capo invece alle regioni e provincie autonome, e alle loro strutture . Nell’ambito specifico della lotta alle sofisticazioni alimentari la competenza ( a livello regionale o interprovinciale), su tutto il territorio nazionale, è dei NAS (Nuclei Anti Sofisticazione) del Comando Carabinieri per la Tutela della Salute.