Per definizione le imprese creative-driven sono quelle realtà capaci di allineare aspetti di business ad una proposta culturale e/o creativa, ridefinendo e talvolta valorizzando un proprio vantaggio competitivo. Un fenomeno possibile grazie all’interazione, efficace, tra attori con diverse capacità e competenze (in primis creative) ma anche per merito di organizzazioni ricettive, perché guidate da leader altrettanto creativi e visionari. Oltre i confini dell’organizzazione rileviamo, non nuova ma inedita per modalità e protagonisti, una tensione creativa dentro l’ecosistema produttivo, nelle costellazioni del valore che supportano le imprese. In questo quadro la produzione creative-driven si concretizza in modi diversi, talvolta complementari: tramite output produttivi/distributivi originali o tramite processi organizzativi che adottano, a livello sistemico, un mindset creativo. Da una parte, innovazione e creatività, tipiche espressioni delle imprese di successo del made in Italy, vanno oltre il focus tradizionale sul prodotto/servizio, per verticalizzarsi, dentro l’organizzazione e nelle filiere di tali settori; dall’altra, si osserva il lento movimento orizzontale della creatività, come asset strategico, in settori che, talvolta con pregiudizio, abbiamo spesso percepito estranei a tale sfera. In questo quadro, un possibile modello di lettura tende ad individuare tre traiettorie significative, non certo esaustive, dei fenomeni accennati.
Una prima traiettoria, più tradizionale, è quella che marca la dimensione simbolica e culturale del processo creative-driven. Una dimensione che intercetta il pubblico sulla base di un pattern narrativo, talvolta “aperto” che consenta al lettore/consumatore, coinvolto nella narrazione, di cogliere aspetti particolarmente significativi per sé, corrispondenti a valori, comportamenti, modelli di senso. Sono narrazioni che si basano su elementi distintivi legati all’identità della marca e alle caratteristiche del prodotto, aspetti autentici, pena: la perdita di senso verso il pubblico di riferimento. Queste narrazioni si portano dietro multi-valori, rispondendo non più (solo) a bisogni funzionali ma ad esigenze emotive, riflessive, di autorealizzazione.
B&B Italia, ad esempio, propone una rinnovata immagine di sé grazie ad un progetto di comunicazione sistemica e integrata per il cinquantesimo anno dalla fondazione (2016). Communication R-evolution, presenta 3 progetti speciali, integrati e multimediali: un film documentario, un libro, una mostra alla Triennale di Milano. La narrazione pone l’azienda tra gli interpreti più significativi della cultura italiana legata all’abitare ma anche al ruolo della tecnologia nei processi di innovazione e costruzione di valore (Pierino Busnelli, fondatore dell’azienda, sarà tra i primi ad intuire le potenzialità del poliuretano, esplorandone applicazioni industriali e possibilità espressive). L’obiettivo è coinvolgere, sul piano della cultura, i prescrittori – architetti e interior designer di tutto il mondo – individuando su questo piano il collante di “senso” tra i vari attori in gioco. Nel 2017, in occasione dell’ultima design week, l’azienda ha rinnovato la propria offerta culturale, in occasione dei venti anni di un noto divano, focalizzando sull’idea di timeless e durata e invitando lo scrittore Peter Handke, autore di un libello sul tema, a condividere, nuovamente con un film, il valore oggetto della riflessione. Una strategia avallata da Andrea Bonomi, a capo di Investindustrial, che ha acquisito nel 2015 l’azienda, lasciando alla direzione Giorgio Busnelli, figlio del fondatore, e favorendo il passaggio da una strategia product-oriented ad una più sistemica e, appunto, capace di far dialogare business e cultura.
Su un piano simile, sempre riferendoci al settore dell’arredo – per definizione naturalmente creative driven – il caso di Lago industrie. La visione di Daniele Lago, seconda generazione di imprenditori veneti, è da sempre quello di costruire una comunità di stakeholder interessati ad una moderna cultura del living, attraverso la realizzazione di una rete che tende a comprendere anche i consumatori finali. Lago tematizza in occasione di ogni Salone le proprie storie. Per il salone del mobile del 2017, controcorrente rispetto ad un immaginario mondiale di personaggi “duri” – Trump in primis – sceglie la “gentilezza” come tema portante e la fa interpretare a donne famose e attive in diversi campi dell’arte, della cultura, delle scienze. La scelta diventa un messaggio, ma va anche ad alimentare il catalogo aziendale, che adotta le stanze interpretate dalle donne invitate, con il portato di senso (differenze stilistiche, complementarietà dei prodotti, mood complessivo), che riesce a trasferire.
Nino Negri scarta rispetto al trantran tradizionale (la solita nota agenzia di branding), per il lancio di un nuovo vino: SCIUR. Il prodotto narra dell’attenzione ad un territorio delicato – i muretti a secco dei vitigni della Valtellina – e tiene conto di tutti gli aspetti di potenziale impatto ambientale lungo tutta la filiera. Total Tool, un noto studio di design strategico, catalizza la creatività di dieci studentesse – tutte straniere – del Politecnico di Milano, per rendere sistemica l’intuizione dell’enologo Casimiro Maule: i touchpoint concretizzano il sistema vino, dalle iniziative di protezione ambientale a tutela dei luoghi di coltura, alle scelte del packaging, passando per il naming (SCIUR significa Sostenibile, Concreto, Innovativo, Unico, Responsabile).
La seconda traiettoria fa riferimento ad un’organizzazione che, attraverso ogni suo membro, si attiva creativamente per rispondere, in tempo utile, alle sollecitazioni dell’ambiente sociale e competitivo. È un cambiamento importante che modifica gli assetti organizzativi dell’impresa ma anche le sue basi culturali. La più rilevante espressione di questo fenomeno fa riferimento al modello dell’’olocrazia’, un sistema che vede compresenti diversi sottosistemi auto-organizzati, finalizzati al raggiungimento di obiettivi condivisi, sulla base di piattaforme di senso e valoriali comuni. Aspetti che richiedono differenti modelli di leadership, capaci di attivare coinvolgimento, ma anche spazi funzionali e belli, visual design a supporto della filosofia e dei valori aziendali, strumenti di facilitazione dei processi organizzativi, evidenze fisiche rappresentative dell’identità aziendale. Gli americani spesso banalizzano questo fenomeno associandolo al tema del “design thinking”, che è, naturalmente, espressione di creatività, anche se ben strutturata in routine e metodologie. L’obiettivo è stimolare “design mindfulness”, come dice Tom Peters, rendendo la dimensione creativa un connotato silente e tacito dell’organizzazione.
L’esperienza dell’Università di Modena e Reggio Emilia (Unimore) è significativa in tal senso. Azioni di sensibilizzazione, in alcuni casi di evangelizzazione ad un approccio creativo, sono messi in atto attraverso un programma “embedded” dentro le organizzazioni. In un tempo limitato a tre mesi, talvolta sei, coinvolgendo gli studenti, si vuole trasferire ad attori chiave dell’organizzazione un diverso set mentale nell’affrontare i problemi e trovare soluzioni. Barilla, ad esempio, ha realizzato uno spazio riconoscibile e dedicato al design thinking, in un’area industriale preesistente, dove gruppi di lavoro possono sperimentare e cercare nuove soluzioni innovative. L’area è disegnata per essere appropriabile da parte dei vari componenti, facilita lo scambio e consente attività diverse grazie ad un sistema flessibile di arredi. L’organizzazione creativa si riconosce spesso in spazi dedicati, chiamati in gergo “war room”, luoghi che rendono riconoscibile la dimensione pratica che implica, sempre, un approccio creativo. Un tema chiave è quello sperimentale: la creatività si realizza nella prototipazione rapida delle idee, o nella pretotipazione, secondo la felice definizione di Alberto Savoia, ingegnere italiano in California, alla Google.
L’azienda Loccioni, grazie alla visione di Enrico il fondatore, rende la dimensione culturale/creativa, chiave del successo imprenditoriale. Nata come azienda focalizzata sull’impiantistica elettrica e sull’automazione industriale, nel tempo si trasforma in una società capace di offrire soluzioni tecnologiche avanzate e personalizzate ai propri clienti industriali, in diversi settori. Caratterizzata da una struttura organizzativa orizzontale, trova nella proposta di Isao Hosoe, designer italo-giapponese, un modello di riferimento funzionale. Loccioni, infatti, è una Play Factory: il gioco, che si esplica attraverso l’utilizzo di strumenti, spazi, modelli relazionali, facilita l’emergere di soluzioni grazie a piattaforme di senso che favoriscono il dialogo tra competenze, tra consulenti e clienti, tra i vari attori della filiera. Loccioni si distingue anche per il contributo dato al territorio, attraverso delle azioni di qualificazione ambientale e engagement delle comunità locali, o nella proposta innovativa che riguarda, negli ultimi anni, il rapporto con la scuola, proponendo modelli innovativi nei programmi di alternanza scuola/lavoro (come nel progetto “l’impresa per tutte le età”).
Hive è un progetto di Intesa San Paolo, finalizzato a sostenere un modo di lavorare agile, quello che motiva le persone e le pone, naturalmente, in una condizione di focalizzazione creativa sui problemi. Hive fa questo cambiando i lay out dell’ufficio, ripensando i processi di relazione tra le persone, riprogettando i touchpoint della relazione tra azienda e dipendenti. Stimolando, grazie a dispositivi organizzativi e fisici, le capacità creative di ognuno. È un’idea di Roberto Battaglia, a capo delle risorse umane corporate, già artefice di un programma, nella Corporate University del gruppo, chiamato LED (learning experience design), catalizzatore, anche tramite un processo di co-design, di condizioni motivazionali positive verso gli indispensabili processi di apprendimento continuo di un’impresa contemporanea, oltre che di soluzioni ottimali relative ai processi (e ai luoghi) della formazione.
Il trasferimento di competenze creative (e la contaminazione che ne consegue), è ben presente nelle società di consulenza che inglobano design. È il caso di Deloitte Digital, che ha al suo interno un numero significativo di designer e ha comprato Doblin Group, design firm di Chicago. Oppure Accenture, in particolare la sezione digital, che ha assorbito l’inglese Fjord. O lo stesso gruppo Intesa San Paolo che ha una relazione organica e continuativa con gli esperti di service design di Experientia. Pensiero di business e pensiero creativo sono molto diversi tra loro: da una parte una dimensione razionale, analitica, un approccio intellettuale, che si contrappone, lato creativi, ad un approccio interpretativo, emergente e fortemente sensibile al contesto, che sembra essere uno strumento più efficace, oggi, in mercati complessi e in continuo cambiamento.
Una terza traiettoria riguarda la creatività dentro le filiere. Un tema ricorrente dentro il modello del distretto industriale che ha caratterizzato il nostro sistema produttivo ma che oggi, anche alla luce di una riorganizzazione produttiva sul territorio, si manifesta in modo differente. Un esempio significativo è quello delle case editoriali nella relazione con il fenomeno delle mostre d’arte e cultura. Se il modello, un tempo, vedeva un sistema di attori che ruotava attorno al museo o alla galleria d’arte, in genere committente del catalogo realizzato da un curatore, oggi le cose sembrano cambiate. L’editore, da mero fornitore, si trasforma in proponente proattivo di mostre e iniziative culturali, seguendo tutti gli aspetti di produzione, non solo del libro, ma della mostra stessa, della curatela, del sistema di merchandising correlato. Imprese come Silvana Editoriale, Skira, Electa e altre, diventano, in qualche modo, concept provider per musei e gallerie d’arte, sviluppando un quoziente creativo inedito.
La cosa non è nuova, nel tessile ad esempio sono i fornitori di tessuti che rilevano e trasformano in input i trend, tuttavia questo fenomeno si allarga ad ambiti produttivi e industriali differenti. In un settore lontano da mostre, cataloghi, tessuti e decorazioni, come quello del packaging, l’azienda che conosciamo per i “tetraedri” più famosi al mondo, Tetrapak, dalla sua sede di Modena, propone un processo di value chain discovery ai propri clienti, integrando capacità creativa nella propria organizzazione, per applicarla alla filiera della produzione alimentare, promuovendo nuovi formati di drink e cibo in sintonia con bisogni emergenti e/o nascosti dei consumatori.
Aziende attive nella ricerca e nella produzione di componenti elettronici si dotano di quoziente creativo nuovo per dare idee ad imprese clienti, spesso bloccate in routine di innovazione inefficaci. ST Microelectronics, leader nella produzione di componenti elettroniche (come gli accelerometri che consentono la rotazione dello schermo dei nostri telefoni cellulari), si attiva – a partire dalla Brianza, dove ha il suo quartier generale – per dimostrare i nuovi significati della smart-itudine a settori maturi, come quello, ad esempio, dell’arredamento. Ancora più specifico il lavoro di Fluid-O-Tech, che con centro “creativo” dedicato, F-Lab, si occupa di trasferire creativamente tecnologie legate alla “fluidica”, la tecnica dei fluidi, a settori apparentemente lontani da questi ambiti. O ancora, nella filiera dei servizi creativi (design e branding), Eligo che interviene creativamente nella riconfigurazione del valore delle filiere, mettendo insieme competenze artigianali e brand famosi, cercando affinità (e non conflittualità) tra gli stessi, proponendo narrazioni innovative e capaci di apportare valore agli attori in gioco coinvolti.
La strada sembra segnata. Ovviamente le barriere alla diffusione di questo approccio sono molte. Il corto raggio della visione di alcuni imprenditori (la creatività richiede tempo), la scarsa propensione al rischio, legata ad una funzione manageriale sempre più orientata a logiche di sfruttamento e meno esplorative, l’assenza di politiche realmente efficaci sono solo alcune di tali barriere. Ma il problema più grande è culturale: la creatività dentro l’organizzazione fa paura perché è scarto, distorsione, deviazione. Michel Serres, parlando delle strategie che danno senso alla nostra vita oggi, usa una metafora significativa: un mancino zoppo. La creatività è, appunto, il mancino zoppo di cui l’innovazione oggi sembra avere sempre più bisogno.