La sostenibilità, oltre ad esser necessaria per affrontare la crisi climatica, riduce gli indici di rischiosità delle imprese, stimola innovazione e imprenditorialità e rende più competitive le filiere produttive.
Lo rivelano i dati del Rapporto GreenItaly 2022, realizzato da Fondazione Symbola e Unioncamere, con la collaborazione del Centro Studi Tagliacarne e pubblicato a novembre.
Allo studio hanno collaborato, tra gli altri, Conai, Novamont, Ecopneus con il contributo di oltre 40 esperti.
Dal rapporto emerge chiaramente come green economy e sostenibilità rafforzino nelle imprese la competitività e la capacità di rispondere alle crisi, confermando l’impostazione del Next Generation Eu che punta su coesione, transizione verde e digitale, per affrontare le sfide che abbiamo davanti e rafforzare la nostra economia.
Un percorso che oggi deve essere accelerato per far fronte all’aumento dei prezzi dell’energia e delle materie prime, ai colli di bottiglia lungo le catene di approvvigionamento che vanno dalle interruzioni logistiche alla carenza di attrezzature e manodopera, esasperati dalle conseguenze dell’invasione russa dell’Ucraina. Fattori che stanno mettendo a dura prova la ripresa dopo la pandemia dell’economia italiana ed europea.
“C’è un’Italia che fa della transizione verde un’opportunità per rafforzare l’economia e la società”, ha dichiarato Ermete Realacci, presidente di Fondazione Symbola, “e coinvolge già oggi due imprese manifatturiere su cinque. Esiste già oggi un’Italia pronta alla sfida della crisi climatica: nel Rapporto Greenitaly 2022 si coglie un’accelerazione verso un’economia più a misura d’uomo che punta sulla sostenibilità, sull’innovazione, sulle comunità e sui territori. Siamo, ad esempio, una superpotenza europea dell’economia circolare e questo ci rende più competitivi e capaci di futuro”.
Aziende e occupazione green. Sono oltre 531 mila le aziende che nel quinquennio 2017-2021 hanno investito in tecnologie e prodotti green: più di una impresa su tre a livello complessivo (531.170 unità, pari al 37,6%), due su cinque nell’industria manifatturiera (98.870 unità, pari al 42,5%). Sono i settori delle costruzioni (+78%) e quello dei servizi (+52%) a trainare, seguono la manifattura (+38%) e le public utilities (+14%).
Sui mercati esteri le imprese eco-investitrici risultano più performanti rispetto a quelle che non investono (il 35% delle prime prevede un aumento nelle esportazioni nel 2022 a fronte di un più ridotto 26% di quelle che non hanno investito), percentualmente aumentano di più il fatturato (49% contro 39%) e le assunzioni (23% contro 16%).
I dati riportati dal documento rivelano che nel 2021 le attivazioni di contratti green sono state pari al 34,5% del totale. A fine 2020 gli occupati che svolgevano una professione green rappresentavano il 13,7% degli occupati totali, di cui il 32,9% al Nord-Ovest, il 23,9% nel Nord-Est, il 22,2% nel Mezzogiorno e 21% al Centro.
Economia circolare. I dati Eurostat confermano l’Italia leader sul fronte del recupero di materia, un campo in cui il Paese, povero di materie prime, da tempo primeggia. Il report evidenzia un ulteriore rafforzamento della capacità nell’avvio a riciclo dei rifiuti totali raggiungendo il record dell’83,4% (2020); un tasso ben superiore alle altri grandi economie europee, Germania (70%), Francia (64,5%) e Spagna (65,3%), e alla media Ue (53,8%). Un risultato che determina una riduzione annuale delle emissioni pari a 23 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio e a 63 milioni di tonnellate equivalenti di CO2.
Cresce nel 2020-2021 anche l’impiego di materia seconda nei settori industriali italiani, specialmente nel comparto cartario. A sottolineare il potenziale dell’Italia nella valorizzazione di materia a fine vita, anche il quarto posto al mondo come produttore di biogas – da frazione organica, fanghi di depurazione e settore agricolo – dopo Germania, Cina e Stati Uniti.
I settori produttivi. Nella sezione Geografie del rapporto GreenItaly vengono prese in esame le performance settoriali. Nella filiera agroalimentare l’Italia ha diminuito le vendite di prodotti fitosanitari del 19%, ed è leader nel biologico europeo, con un’incidenza sulla superficie agricola utilizzata del 17,4% (2021). Inoltre, è italiano il distretto biologico più grande d’Europa.
Anche l’edilizia gode di una forte spinta alla sostenibilità: gli incentivi fiscali e bonus statali hanno fatto registrare una crescita degli investimenti (+25%) in riqualificazione del patrimonio abitativo nel 2021.
La filiera arredo-casa, si conferma fortemente attiva sul tema: il 95% del legno viene riciclato per produrre pannelli per l’arredo, mentre il 67% delle imprese utilizza materie prime seconde e l’81% legno prodotto in modo sostenibile e recentemente si è dotata di un piano per accelerare nella transizione ecologica.
Il settore della meccanica, secondo in Europa per occupati, sta facendo i conti con il rischio di approvvigionamento delle materie prime critiche che rende l’Italia fortemente dipendente dall’estero. La filiera dell’automotive punta all’elettrificazione dei mezzi di trasporto per allinearsi alla decisione europea sul bando ai motori endotermici dal 2035. Una sfida importante per il settore italiano la cui produzione di vetture elettriche e ibride ha superato il 40% della produzione complessiva nazionale nel 2021. L’Italia è anche al lavoro per sviluppare una filiera dedicata a mezzi di trasporto pubblici elettrici o alimentati ad idrogeno.
Energie rinnovabili. Il Rapporto offre un’analisi sulla diffusione delle rinnovabili nel mondo. Il loro peso nel 2021 è pari al 28,3% della produzione totale di energia elettrica, con eolico e solare quintuplicati in dieci anni. In Italia – nel 2021 – il 36% dei consumi elettrici è stato soddisfatto da fonti rinnovabili, con una produzione di circa 113,8 TWh. Risultati però ancora insufficienti per raggiungere il target europeo al 2030. L’Italia vive un paradosso: da un lato la disponibilità degli operatori economici ad investire, basti pensare che a fine agosto le richieste di connessione alla rete di Terna erano pari a 280 GW (quattro volte gli obiettivi che l’Italia si è data al 2030); dall’altra l’estrema lentezza dell’amministrazione pubblica. La realtà dei fatti è che l’Italia ha marciato al ritmo di poco più di 1 GW l’anno, a fronte di 7-8 GW che dovrebbe installare per raggiungere i traguardi stabiliti.