Treia (Mc), 20 luglio 2012. Frutta al Paese il 5,4% della ricchezza prodotta, equivalente a quasi 76 miliardi di euro, e dà lavoro a un milione e quattrocentomila persone, ovvero al 5,6% del totale degli occupati del Paese. Superiore, ad esempio, al settore primario, oppure a quello della meccanica. E allargando lo sguardo dalle imprese che producono cultura in senso stretto – ovvero industrie culturali, industrie creative, patrimonio storico-artistico e architettonico, performing arts e arti visive – a tutta la ‘filiera della cultura’, ossia ai settori attivati dalla cultura, il valore aggiunto prodotto dalla cultura schizza dal 5,4 al 15% del totale dell’economia nazionale e impiega ben 4 milioni e mezzo di persone, equivalenti al 18,1% degli occupati a livello nazionale.
Sacrificata spesso sull’altare della riduzione del debito pubblico, la cultura dimostra non solo di poter ‘sfamare’ il paese, ma di ‘far mangiare’ già oggi quasi un quinto degli occupati italiani. Eccola la risposta a chi sostiene che la cultura non produce PIL, ecco la via italiana per combattere la crisi: è quanto emerge dal “L’Italia che verrà: Rapporto 2012 sull’Industria culturale in Italia” elaborato da Symbola e Unioncamere con la collaborazione e il sostegno dell’Assessorato alla cultura della Regione Marche presentato oggi a Treia, durante la prima giornata del Seminario estivo della fondazione.
Si tratta del primo rapporto in Italia a quantificare il peso della cultura nell’economia nazionale. Con risultati, spiegano Symbola e Unioncamere, “che smentiscono chi la descrive come un settore non strategico e rivolto al passato, e la inquadrano invece come fattore trainante e di rilancio per molta parte dell’economia italiana, sicuramente una delle leve per ridare ossigeno ad un Paese messo a dura prova dalla perdurante crisi”. Basti guardare la tendenza del quadriennio 2007-2011: la crescita nominale del valore aggiunto delle imprese del settore della cultura è stata dello 0,9% annuo, più del doppio rispetto all’economia italiana nel suo complesso (+0,4% annuo). Dato che si riflette anche sulla caparbia tenuta occupazionale dell’industria culturale, nonostante la crisi: nel medesimo periodo gli occupati nel settore sono cresciuti dello 0,8% annuo, a fronte della flessione dello 0,4% annuo subita a livello complessivo.
Ancora: il saldo della bilancia commerciale del sistema produttivo culturale nel 2011 ha registrato un attivo per 20,3 miliardi di euro che ha permesso alla cultura di contribuire alla ripresa, seppur contenuta,
del PIL tra il 2010 e la prima parte del 2011. A livello di economia complessiva, invece, la bilancia indicava -24,6 miliardi. L’export di cultura vale oltre 38 miliardi di euro e rappresenta il 10% dell’export complessivo nazionale; l’import è pari a 17,8 miliardi di euro e costituisce il 4,4% del totale. Interessante anche la capacità attrattiva della cultura sul turismo: fatta cento la spesa turistica sul territorio italiano nel 2011, la componente attivata dalle industrie culturali è quantificabile nel 33,6% del totale, equivalente a 23,3 miliardi di euro.

Una definizione ‘trasversale’ e ‘profonda’ di cultura. Il cuore della ricerca sta nel non limitare il campo d’osservazione ai settori tradizionali della cultura e dei beni storico-artistici, ma andare a guardare quanto contano cultura e creatività nel complesso delle attività economiche italiane, nei centri di ricerca delle grandi industrie come nelle botteghe artigiane, o negli studi professionali. Attraverso la classificazione in 4 macro settori: industrie culturali, industrie creative (architettura, comunicazione e branding, artigianato, design, made in Italy), patrimonio storico-artistico architettonico, e, infine, performing art e arti visive. Al corpo centrale della ricerca, inoltre, è stata affiancata anche un’indagine su tutta la filiera delle industrie culturali italiane, ovvero quei settori che non svolgono attività culturali, ma che sono altresì attivati dalla cultura. Una filiera articolata e diversificata, della quale fanno parte: attività formative, produzioni agricole tipiche, attività del commercio al dettaglio collegate alle produzioni dell’industria culturale, turismo, trasporti, attività edilizie, attività quali la ricerca e lo sviluppo sperimentale nel campo delle scienze sociali e umanistiche. Allargando lo sguardo alla filiera delle industrie culturali, come anticipato in apertura, il valore aggiunto prodotto dalla cultura cresce dal 5,4 al 15% del totale dell’economia nazionale e lievita anche l’occupazione, il settore allargato infatti impiega ben 4 milioni e mezzo di persone, equivalenti al 18,1% degli occupati a livello nazionale. Monitorato anche il turismo alimentato dalla cultura.
Il rapporto Unioncamere e Fondazione Symbola – realizzato con la supervisione del Prof. Pierluigi Sacco e con il coinvolgimento di oltre 20 esperti che hanno dato un contributo importante per individuare le esperienze più avanzate e le tendenze emergenti di ogni settore -, è quindi un viaggio tra cultura, creatività, tradizione, innovazione, genio, ingegno e saper fare che passa per un milione e mezzo di realtà e va dal biocarburante di seconda generazione del Piemonte alle sartorie tradizionali di Ginosa di Puglia, dalla Brianza del mobile all’occhialeria di Belluno; dall’Emilia dei motori alle ceramiche di Deruta, dall’arredo casa del Friuli Venezia Giulia al cashmere dell’Umbria; dall’Abruzzo dell’alta sartoria e della pasta alle calzature marchigiane fino a Napoli, dove si concentrano le migliori sartorie di capospalla del mondo; dalla Toscana del vino e del marmo di Carrara, del tessile di Prato e della nautica di Lucca, alla nascente filiera dell’animazione fortemente votata all’export.

Geografia della cultura tricolore. Questo intreccio tra bellezza, cultura, innovazione, saperi artigiani e manifattura che ha saputo rilanciare il made in Italy e restituire all’economia italiana una prospettiva al di là della crisi ha fatto di Arezzo la propria capitale. Qui, infatti, il valore aggiunto della cultura è il più alto d’Italia: l’8,4% del totale prodotto dalla provincia (la media italiana è del 5,4%). Seconde classificate a pari merito Pordenone e Milano con l’8%, terze ex equo Pesaro e Urbino e Vicenza col 7,9%. Seguono la provincia di Roma con il 7,6%, quella di Treviso al 7,5%, Macerata e Pisa, entrambe al 6,9%, e Verona con il 6,8%. Dal punto di vista dell’incidenza dell’occupazione del sistema produttivo culturale sul totale dell’economia è sempre Arezzo la provincia con le migliori performace. Nella provincia toscana infatti dell’incidenza dell’occupazione culturale rispetto al totale dell’economia è del 9,8%. Ma subito dopo Arezzo troviamo la provincia di Pesaro e Urbino, con un’incidenza del 9,5%, quindi quella di Vicenza al 9,1%. Seguono Pordenone, Treviso e Pisa, rispettivamente con l’8,6 l’8,5 e il 7,9%. E ancora Milano (7,8%), Macerata (7,7%), Firenze (7,6%), Monza e della Brianza (7,4%).

In una classifica per macroaree geografiche, è il Centro a fare la parte del leone con il 6,1% de valore aggiunto. Seguono da vicino e Nord-Ovest, che dall’industria culturale crea il 5,9% della propria ricchezza, e il Nord-Est, che sempre dal settore delle produzioni culturali vede arrivare il 5,5% del valore aggiunto. Il Mezzogiorno fa invece la parte della cenerentola, con appena il 3,8%.

Quanto alle Regioni, in testa alla classifica per incidenza del valore aggiunto della cultura sul totale dell’economia c’è il Lazio (6,8%) seguito a stretto giro da Marche, Veneto e Lombardia (tutte e tre le regioni attestate sulla soglia del 6,3%), e quindi dal Piemonte (5,8%). Mentre per il Lazio e la Lombardia sono le industrie culturali a prevalere, nel caso di Marche e Veneto sono le attività più tipiche del made in Italy (industrie creative e manifatturiere) a fornire un contributo fondamentale. Considerando, invece, l’incidenza dell’occupazione delle industrie culturali sul totale dell’economia la classifica regionale subisce quale variazione: il Veneto è in testa a quota 7%, seguito dalle Marche (6,9%), dal Friuli Venezia Giulia (6,4%), e dal Lazio e dalla Toscana (entrambe al 6,3%).

“L’Italia deve fare l’Italia – commenta Ermete Realacci, presidente di Symbola- Fondazione per le qualità italiane –, È necessario fronteggiare la crisi finanziaria e il debito pubblico senza lasciare indietro nessuno, ma per risanare l’economia serve un’idea di futuro. Non possiamo che puntare su innovazione, ricerca, green economy, e incrociarle con la forza del made in Italy, con la qualità, con la bellezza. La cultura è l’infrastruttura immateriale fondamentale di questa sfida”.

“In risposta alle sfide dell’economia si sta affermando progressivamente un nuovo modello di sviluppo – aggiunge Ferruccio Dardanello, Presidente di Unioncamere -, in cui è crescente l’interesse verso la valenza strategica della cultura e della creatività quali fattori decisivi per una nuova politica dell’innovazione, della qualità, del benessere e della sostenibilità. Le imprese figlie di quei ‘saperi’ propri del nostro territorio sono le protagoniste di questo modello. Esse, attraverso i loro prodotti, contribuiscono alla diffusione dei valori e significati che caratterizzano la società italiana e, per questa via, alla ricchezza del Paese”.

I settori, i trend. Sono mass-media, architettura, made in Italy, design e performing arts il motore propulsore della stagione culturale italiana 2011. Se la dinamica migliore riguarda performing arts e arti visive, cresciute dell’1,3% in termini di valore aggiunto e del 3,6% in termini di occupazione, le industrie creative (architettura, design, Made in Italy e comunicazione e branding) contribuiscono per il 47,1% del valore aggiunto prodotto dal macrosettore ‘cultura’. Risultati analoghi per le industrie culturali (mass-media, musica, videogiochi) che rappresentano il 46,5% della ricchezza della cultura. Decisamente più contenuto il prodotto delle imprese legate al patrimonio storico-artistico, che incide per l’1,4% del valore aggiunto del settore.