Con 34 mila aziende che offrono lavoro a quasi 65 mila addetti e la capacità di generare un valore aggiunto che supera i 3 miliardi di euro, l’Italia mantiene una posizione di prim’ordine nel design, prima in assoluto in Europa proprio per numero di aziende e terza per giro d’affari dietro a Regno Unito e Germania. E Milano difende bene il suo ruolo di capitalecon il 14% del totale degli addetti.

Ma su fatturato e crescita pesa l’eccessiva frammentazione, con un numero ancora troppo alto (53,4%) di imprese piccole e piccolissime, spesso costituite da singoli professionisti. E’ la fotografia scattata dal Rapporto Symbola, realizzato con Deloitte e POLI.design, che disegna luci ed ombre di un settore comunque ricco di opportunità per la crescita complessiva del Paese.

Proprio sul design, fa notare il presidente di Symbola Ermete Realacci, l’Europa che guarda alla green economy e allo sviluppo sostenibile conta moltissimo. Anzi, l’Italia, dice, “può candidarsi ad essere punto di riferimento per il nuovo Bauhaus, per il Green New Deal proposto dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen“. Per aiutare la transizione verso un mondo più verde e sostenibile, il design può fare molto, si sostiene nel Rapporto, a partire da “una riflessione profonda sul significato della sua missione” che dovrebbe portarlo a fare quello che dagli anni del boom non è stato fatto, a porre un argine critico ai modelli consumistici dell’economia lineare, per tornare a disegnare prodotti “durevoli, riparabili, ricondizionabili e riutilizzabili”.

Ma se è vero che proprio questo settore bandiera della creatività Made in Italy può aiutare a vincere le sfide del mondo post covid e a risintonizzarsi con le trasformazioni radicali che i tempi imporrebbero alla nostra società, lavorando anche sulla formazione, obiettivo dello studio è anche accrescere la consapevolezza del valore del design per la competitività del sistema produttivo nazionale. Tanto più che le imprese che nel 2019 hanno investito in design e green economy sono risultate poi più competitive in termini di fatturato, addetti ed export. In Europa, viene fatto notare, il settore conta 217 mila imprese, un sistema comunitario nel quale l’Italia con le sue 34 mila aziende rappresenta il 15,5% .

Sebbene questo primato sia appunto depotenziato dall’eccessiva frammentazione: è per questo, spiegano i ricercatori, che nonostante un primato in termini di numero di aziende, Germania e Regno Unito registrano un livello di occupazione e un volume d’affari più alti. In Italia, il divario tra microimprese e grandi aziende è profondo e le imprese con fatturato superiore a 5 milioni di euro hanno un’incidenza occupazionale solo dell’8,4%. Un sistema che proprio in tutte le sue articolazioni deve puntare a crescere in termini dimensionali e accompagnando il rilancio del sistema produttivo nazionale oggi in profonda crisi, sottolinea ancora Realacci con Pierluigi Pienza di Deloitte e Francesco Zurlo di Poli design.

D’altronde, tra le imprese manifatturiere con almeno 5 addetti, quelle che investono sul design inserendo nel proprio organico designer o attraverso rapporti di subfornitura, mostrano più spesso performance positive. E la competitività si accentua se si considera il connubio con la green economy: le imprese che investono in tecnologie green, puntando simultaneamente sul design, hanno un vantaggio di 22,6 punti percentuali in termini di addetti, 25,1 punti in termini di fatturato e 13,5 punti sulle esportazioni. Una fotografia dell’esistente che è anche un appello, perché le imprese che investono nel design, sottolineano Realacci, Pienza e Zurlo, “sono ancora troppo poche e troppo poche sono quelle che utilizzano il design in ogni aspetto della loro attività, non solo quindi a valle dei processi per dare forma a prodotti e servizi”.