Realizzato in collaborazione con Duccio Bianchi [1], socio fondatore di Ambiente Italia
Questo contributo fa parte del decimo rapporto GreenItaly, realizzato da Fondazione Symbola e Unioncamere, in collaborazione con CONAINovamont e Ecopneus.

 

L’Italia è un vero leader europeo nel riciclo dei rifiuti e nell’economia circolare. Tre indicatori chiave – il tasso di riciclo dei rifiuti, l’uso di materia seconda nell’economia, la produttività e il consumo procapite di risorse – descrivono univocamente l’Italia come il più “circolare” tra i grandi Paesi europei. O, più correttamente, come il grande Paese europeo meglio posizionato e con i migliori pre-requisiti per diventare un leader dell’economia circolare.
È usuale pensare che questi buoni risultati dipendano dalla storica povertà di materie prime e risorse energetiche dell’Italia. È così solo in parte. L’analisi dei dati ci mostra chiaramente che non si tratta solo di una eredità storica. Forti miglioramenti sono stati registrati proprio negli ultimi 10-15 anni, dopo un precedente decennio di stagnazione, ad esempio sotto il profilo dell’efficienza energetica. Queste buone prestazioni non dipendono neanche, se non per parte minore (ad esempio per una forte contrazione dell’attività edilizia), dalla lunga recessione.
Al contrario. Sia nel campo del riciclo e della circolarità dell’economia, sia nella crescita dell’energia rinnovabile e nella forte ripresa del risparmio ed efficienza energetica, è proprio durante questa lunga recessione che sono maturati o si sono attivati comportamenti, investimenti e anche talune politiche pubbliche che hanno determinato questa trasformazione ecologica dell’economia italiana. È però vero che negli anni più recenti, anche per il venir meno di alcuni incentivi, si è registrata una stagnazione.

 

Produttività d’uso delle risorse e consumo di materia
Per ogni kg di risorsa consumata, l’Italia genera – a parità di potere d’acquisto (pps) – 3,6 € di Pil, contro una media europea di 2,3 € e valori di 2,5 della Germania o di 2,9 della Francia. La produttività è più elevata nel Regno Unito (3,9 €/kg), per ragioni anche connesse alla struttura economica meno industriale. Pur essendo un Paese con livelli di efficienza già superiori alla media europea nel 2000, l’Italia è uno dei Paesi europei che ha conosciuto il maggior progresso di produttività: +114% tra il 2019 e il 2000 e +78% tra il 2019 e il 2008 [2].
Pur essendo il secondo Paese manifatturiero, l’Italia è il Paese europeo con il più basso consumo procapite di materia (quasi dimezzato tra il 2000 ed oggi) ed ha la maggiore produttività delle risorse dopo la Gran Bretagna (che ha però un’economia più legata alla finanza).
Il consumo procapite di materia dell’Italia (8,1 tonnellate per abitante) è inferiore del 40% alla media europea, è inferiore del 45% rispetto all’altro grande Paese industrializzato europeo, la Germania (14,8). Questi bassi livelli di consumo non sono l’effetto della crisi economica. La produttività di risorse – cioè il rapporto tra consumo di materia e PIL – dell’Italia è ai vertici europei e ha conosciuto uno dei miglioramenti più marcati tra tutti i Paesi europei.
Questi dati ci raccontano una economia con una elevata efficienza d’uso delle risorse, l’elemento chiave della sostenibilità e della transizione ad una economia circolare. E sotto questo profilo l’Italia risulta uno dei Paesi leader in Europa in termini di dematerializzazione dell’economia.

 

Tasso di riciclo
L’Italia, ci dicono i dati aggiornati al 2018 di Eurostat, è il Paese europeo con la più alta percentuale di riciclo sulla totalità dei rifiuti (urbani, industriali ecc.). Con il 79%   di rifiuti totali avviati a riciclo (riempimenti esclusi) presenta una incidenza doppia rispetto alla media europea (solo il 39%) e ben superiore rispetto a tutti gli altri grandi Paesi europei: la Francia è al 56%, il Regno Unito al 50%, la Germania al 43%. Non solo. L’Italia è anche uno dei pochi Paesi europei che dal 2010 al 2018 – nonostante un tasso di riciclo già elevato – ha comunque migliorato le sue prestazioni (+8,7%).

In termini quantitativi assoluti, la quantità avviata a riciclo dall’Italia, oltre 61 milioni di tonnellate, è inferiore solo al valore della Germania (circa 74 milioni di tonnellate) e di gran lunga superiore a quello degli altri grandi Paesi europei (40 milioni in Francia, 35 milioni in Regno Unito). In particolare è da notare che l’Italia ha in termini assoluti la più alta quantità di avvio a riciclo dei materiali riciclabili tradizionali (carta, plastica, vetro, metalli, legno, tessili) che sommano a 29,4 milioni di tonnellate (rispetto ai 25,7 milioni di tonnellate della Germania).
Nonostante una incidenza del recupero energetico e incenerimento pari a circa il 14% (contro una media europea di circa il 21%), l’Italia presenta una incidenza di discarica ben inferiore alla media europea e a quella di tutti i grandi Paesi, con l’eccezione della Germania.

 

Tasso di utilizzo della materia seconda nell’economia
Un ulteriore e forse più specifico indicatore del tasso di “circolarità dell’economia” è fornito dalla misura del tasso di utilizzo di materia seconda [3]. Questa misura, che riguarda tutti gli usi, non solo quelli industriali, segnala ancora una volta come l’Italia sia uno dei Paesi leader europei. Con il 17,7% di materia seconda sui consumi totali di materia (che includono, lo ricordiamo, anche i materiali energetici, fattori molto rilevanti per Francia e Regno Unito), l’Italia ha una prestazione largamente superiore alla media europea, e tra i grandi Paesi è seconda, di poco, solo alla Gran Bretagna.
È interessante osservare che tra il 2010 e il 2017 il tasso di circolarità dell’economia italiana è aumentato in maniera molto consistente del 48%, un incremento quasi unico tra i Paesi europei (la media europea è + 6%), anche se già nel 2010 l’Italia aveva un buon tasso di circolarità.
Nello specifico della produzione industriale, il tasso di circolarità dell’economia italiana è molto elevato, superiore al 50%.

 

L’Italia è un vero leader europeo nel riciclo dei rifiuti e nell’economia circolare. È usuale pensare che questi buoni risultati dipendano dalla storica povertà di materie prime e risorse energetiche dell’Italia. È così solo in parte. Forti miglioramenti sono stati registrati proprio negli ultimi 10-15 anni.

 

 

Eco-efficienza ed eco-tendenza dell’Italia nel contesto europeo

L’approccio delle imprese nei confronti della sostenibilità ambientale ha registrato una netta trasformazione nel corso degli ultimi dieci anni. Dopo una prima fase in cui la tutela dell’ambiente era percepita come un onere, si è affacciato uno stadio successivo innescato dalla constatazione che includere la sostenibilità nelle strategie aziendali consente di acquisire un vantaggio competitivo. Il business sviluppato in un’ottica green viene considerato più affidabile dai mercati internazionali in quanto associato a una visione strategica di più ampio respiro; inoltre, la sostenibilità ambientale si traduce in una maggiore efficienza del processo produttivo e quindi in una contrazione dei costi unitari di produzione. Il nuovo atteggiamento delle imprese, del resto, è accompagnato da un cambiamento nella percezione dei consumatori, nonché da un impegno più deciso dei policy maker e da una crescente consapevolezza da parte dell’intera collettività.
La conferma del mutamento di prospettiva si può trovare nelle reazioni alla nuova recessione che ci troviamo ad affrontare. Se prima della pandemia molti segnali provenienti dal mondo economico indicavano la sostenibilità come una nuova importante frontiera per le imprese (si pensi al documento della Business Roundtable americana e agli appuntamenti di Davos), le scelte compiute dall’Europa con il Recovery Fund vanno nella medesima direzione, attribuendo agli investimenti ambientali un ruolo primario anche nella spesa per l’inversione del ciclo recessivo.
Per meglio comprendere il grado di pervasività e i risultati cui ha finora condotto questa evoluzione nelle logiche produttive, il presente rapporto ricorre, in linea con le precedenti edizioni, a un indicatore sintetico di eco-efficienza dei sistemi produttivi europei. L’indicatore è realizzato tramite un modello di tipo I-P-O (Input-Process-Output), in cui l’impatto ambientale è misurato in termini di efficienza nell’impiego di energia e di materiali (Input), di produzione di rifiuti (Process) e di emissioni inquinanti (Output). Tali grandezze, ciascuna rapportata alla produzione aggregata del Paese, sono sintetizzate in un unico indicatore che, in un’ottica comparativa, è relativizzato alla media europea. Si ottiene, in tal modo, una misura sintetica del livello relativo di sostenibilità dei vari sistemi produttivi.
Ebbene, la graduatoria dei Paesi europei in termini di eco-efficienza relativa al 2018 attesta la posizione di prima linea delle imprese italiane nel percorso verso la sostenibilità ambientale: fatto cento il grado di eco-efficienza dell’Europa complessivamente considerata, l’Italia registra un valore di 143,9, significativo non solo per il marcato distacco rispetto alla media, ma anche perché superiore alle altre grandi economie europee: se il Regno Unito si attesta su un valore sostanzialmente equivalente (143,6), Francia (125,2), Germania (115,4) e Spagna (113,9) seguono a una distanza non trascurabile.

Chiaramente, occorre ricordare che ciascuna delle grandezze alla base dell’indicatore composito è considerata per unità di prodotto nazionale e la graduatoria deve essere letta tenendo conto che una struttura economica fortemente concentrata sul terziario tenderà a riflettersi, a parità di condizioni, in una maggiore eco-efficienza; le economie a forte vocazione manifatturiera, invece, risulteranno avere un impatto ambientale inevitabilmente più elevato. Tali considerazioni appaiono rilevanti per interpretare il collocamento del Regno Unito (fortemente specializzato nei servizi) rispetto agli altri big player europei e, soprattutto, spiegano le prime due posizioni della classifica, occupate, rispettivamente, da Lussemburgo e Irlanda. I due paesi, infatti, sono da considerarsi come degli outliers per via delle particolari condizioni economiche che li caratterizzano. La terza posizione occupata dall’Italia assume così un rilievo ancora maggiore.
Peraltro, durante l’ultimo decennio, la green attitude del sistema produttivo italiano ha mostrato evidenti segni di miglioramento, sia in termini assoluti sia nel confronto con le altre economie europee. Da questo punto di vista, è utile fare riferimento all’indicatore di eco-tendenza, che sintetizza appunto la dinamica delle performance ambientali, sempre in chiave comparativa. Emerge innanzitutto che, fatto cento il valore di eco-efficienza dell’anno base (il 2008), la maggior parte dei Paesi europei mostra un netto miglioramento, particolarmente marcato nel caso di alcuni dei Paesi che dieci anni fa mostravano un impatto ambientale più intenso e che, comunque, non sono ancora riusciti a colmare il gap di sostenibilità (come Bulgaria, Romania ed Estonia). Per altri (come la Polonia) le performance poco incoraggianti rilevate nel contesto statico risultano confermate anche in un’ottica dinamica. Rispetto al posizionamento dei paesi dell’est Europa, ad ogni modo, occorre tener presente il ruolo delle delocalizzazioni, a seguito delle quali le fasi a maggiore impatto ambientale del processo produttivo tendono ad essere concentrate nei Paesi con abbondanza di manodopera a basso costo.
L’Italia si colloca in decima posizione, con un valore di 104,4. Tra le grandi economie del continente, soltanto il Regno Unito riesce a far meglio, con un incremento di 12 punti superiore rispetto a quello mediamente registrato in Europa. Germania, Spagna e Francia si collocano rispettivamente dodicesima, quattordicesima e sedicesima, con indici compresi tra 102,9 e 100,2.
Il livello di impatto ambientale mostrato nel 2018 e la dinamica registrata nell’arco del decennio collocano l’Italia nel quadrante dei Paesi ad elevate eco-efficienza e eco-tendenza (in alto a destra nel grafico seguente). Le altre grandi economie europee occupano lo stesso quadrante, ma a nord-est della Penisola troviamo soltanto Irlanda e Lussemburgo.

 

 

 

Andando ad analizzare più nel dettaglio la dinamica dell’ultimo decennio, vediamo che il primato dell’Italia rispetto alle altre grandi economie europee si è mantenuto per l’intero periodo, con l’eccezione del sorpasso del Regno Unito nel 2015, poi rapidamente riassorbito. Proprio il Regno Unito mostra l’andamento caratterizzato da maggiore variabilità (anche a causa delle oscillazioni del cambio) e con un trend di crescita più pronunciato di quello delle altre quattro economie. La Francia mostra una sostanziale stazionarietà lungo l’intero decennio, mentre Germania e Spagna, se si trascura il triennio 2012-2014, mostrano una dinamica molto simile.

Tornando all’Italia, emerge come i suoi progressi (da 137,8 a 143,9) siano da ascrivere interamente alla prima metà del periodo, durante la quale il rialzo è di ben 14 punti e mezzo. A partire dal 2014, invece, il trend è di lieve discesa, con un solo rimbalzo nel 2017, più che compensato comunque dal risultato del 2018. Un tale trend, sebbene possa essere in parte giustificato da cambiamenti strutturali, sembrerebbe indicare che negli ultimi anni le imprese italiane, pur mantenendo performance migliori della grande maggioranza dei Paesi europei, hanno abbassato la guardia rispetto all’obiettivo della sostenibilità ambientale. È allora opportuno disaggregare il risultato complessivo per indagare quale sia la nostra performance, sia in termini comparativi sia in termini dinamici, rispetto a ciascuno degli indicatori presi in considerazione.
Dal punto di vista della eco-tendenza, si evince che a trainare i progressi dell’Italia sono stati i miglioramenti in termini di impiego di materie prime (-43,8%), che del resto rappresentano il campo di maggiore guadagno di efficienza anche per l’Europa complessivamente considerata (-28,3%) nonché per l’insieme delle cinque maggiori economie (34,9%). Ad ogni modo, nel caso della Penisola, il contributo di questa componente alla tendenza generale è evidentemente più marcato della media. Al secondo posto per entità della variazione registrata durante il decennio troviamo invece la variabile di Output, con le emissioni di agenti inquinanti che si sono ridotte, complessivamente, del 27,2% (del 28,5% per l’Europa e del 30% per i big player). Meno pronunciato ma comunque significativo è il calo dei consumi energetici, che sia nella media del continente sia nel nostro Paese si sono ridotti di quasi un quinto (del 19,5% in Europa e del 18,6% in Italia). È sulla quantità di rifiuti generati per milione di euro prodotto che i miglioramenti sono stati meno determinanti. La riduzione è stata del 9,7% in Europa, del 13,1% per le cinque maggiori economie e di appena il 5,9% per l’Italia. Se da un lato è quindi evidente che sulla componente Process gli sforzi vanno intensificati anche a livello europeo, dall’altro la performance meno incoraggiante dell’Italia può essere compresa meglio soltanto guardando più nel dettaglio non solo la dinamica complessiva ma anche il valore assoluto di questo indicatore.

Pur essendo il secondo Paese manifatturiero, l’Italia è il paese europeo con il più basso consumo procapite di materia (quasi dimezzato tra il 2000 ed oggi) ed ha la maggiore produttività delle risorse dopo la Gran Bretagna (che ha però un’economia più legata alla finanza).

 

Ebbene, mentre risulta confermata la scarsa entità della riduzione nell’ammontare di rifiuti prodotti (si passa in dieci anni da 44,9 a 42,3 tonnellate per milione di euro), emerge al tempo stesso che la performance italiana nel 2008 era ampiamente migliore non solo della media europea ma anche di quella delle altre grandi economie e, soprattutto, che a distanza di dieci anni il primato del Belpaese risulta confermato. Il distacco rispetto ai Paesi di riferimento chiaramente si è assottigliato (soprattutto nel caso della Spagna, che nel 2018 si attesta a 48,7 tonnellate di rifiuti) ma comunque per ciascun milione di euro prodotto generiamo quasi la metà (il 46% in meno) dei rifiuti generati mediamente in Europa.
Passando ad analizzare gli indicatori di Input, si osserva che l’impiego di energia del sistema produttivo italiano è passato dalle 30,8 tonnellate di olio equivalente per milione di euro prodotto del 2008 alle 25,1 tonnellate del 2018. Nello stesso periodo l’Europa passa da 35,4 a 28,5, con un impatto ambientale evidentemente superiore a quello della Penisola, ma con un distacco meno pronunciato rispetto a quello rilevabile in riferimento agli altri indicatori. Del resto, la graduatoria a cinque mostra performance piuttosto uniformi, con l’Italia che nel 2008 condivideva sostanzialmente il primato di efficienza con il Regno Unito e che ha solo leggermente perso terreno nel corso del decennio, attestandosi in seconda posizione.

Con riferimento all’altro indicatore di Input, l’Italia passa dall’impiego di 493,4 tonnellate di materia per ogni milione di euro di output del 2008 alle 285,7 tonnellate del 2018. Come già evidenziato, è proprio sotto questo profilo che si sono concretizzati i maggiori avanzamenti nella direzione della sostenibilità per quanto riguarda la Penisola. Nell’arco degli stessi dieci anni in Europa il consumo di materie prime si è ridotto in misura più contenuta, passando da 623,1 a 447 tonnellate. Anche in questo caso, il primato di efficienza spetta, tra i big, al Regno Unito, ma nell’ultimo decennio l’Italia ha superato la Francia (arrivando a conquistare la seconda posizione) ed ha accorciato la distanza rispetto al risultato inglese.

Infine, dal punto di vista dell’indicatore di Output, si rileva che le emissioni generate dal nostro sistema produttivo sono passate, in dieci anni, da 133,2 a 96,9 tonnellate di Co2 equivalente per milione di euro prodotto. Una contrazione di oltre un quarto, appena inferiore a quella europea (da 170,2 a 121,7 tonnellate di Co2) e a quella della media delle grandi economie (da 146 a 102,2), trainata dall’ottima performance del Regno Unito.
Quest’ultimo, con 90,1 tonnellate di emissioni, riesce a scansarci dalla seconda posizione nella graduatoria a cinque, mentre la Francia, attestandosi a 79,4, conferma il suo posto in vetta alla classifica.
Avendo analizzato con maggiore dettaglio ciascuno degli indicatori presi in considerazione, da un lato la misura di impatto ambientale restituita dall’indicatore di sintesi diventa più propriamente interpretabile, dall’altro risulta confermata la performance complessivamente molto soddisfacente dell’Italia, sia in termini comparativi sia in un’ottica dinamica. È fondamentale che il nostro sistema produttivo approfitti degli sforzi necessari per rilanciare l’economia dopo la pandemia per consolidare il suo vantaggio di sostenibilità.

 

 

1. Il testo si basa in maniera significativa su D. Bianchi “Economia circolare in Italia”, Edizioni ambiente 2018, realizzato da Ambiente Italia srl per conto di Cap, Cial, Comieco, Conai, Corepla, Ricrea.

2. Per l’Italia il miglioramento non appare principalmente connesso a fenomeni di de-industrializzazione e delocalizzazione, quanto invece dovuto alla forte riduzione del consumo di minerali non metallici (effetto in primo luogo della riduzione della produzione edilizia), dei metalli (effetto sia del maggiore riciclo che della contrazione della produzione di acciaio) e dei combustibili (effetto della crescita delle rinnovabili).

3. Più esattamente è un rapporto tra i rifiuti interni riciclati e il consumo di materia