Nel rapporto della fondazione Symbola e Unioncamere la fotografia della crisi: arti perfomative e patrimonio i segmenti più penalizzati, crescono i videogiochi. Milano capitale per ricchezza prodotta, mentre il sud soffre (ma anche la Toscana). Il ministro Franceschini: “L’investimento nel settore è una delle priorità per lo sviluppo sostenibile dell’Italia dei prossimi anni”
Un periodo difficilissimo, per la filiera culturale italiana, termine che include vari segmenti (dall’architettura e design, all’editoria, alle arti performative, all’ideazione e creazione di videogiochi): la ricchezza prodotta dalla filiera, infatti, si è ridotta nel 2020 del -8,1%, contro il -7,2% medio nazionale, e anche l’occupazione è scesa notevolmente, con una variazione del -3,5% (-2,1% per l’intera economia italiana).
È il macro dato che emerge dall’ampio rapporto Io sono cultura, giunto all’undicesima edizione, realizzato dalla Fondazione Symbola e da Unioncamere (insieme a Regione Marche e Credito Sportivo) per quantificare il peso della cultura e della creatività nell’economia nazionale, ma non l’unico: la fotografia che esce dal rapporto, pur non nascondendo il momento di difficoltà estrema, mostra anche una nuova consapevolezza, che potrebbe in futuro dare i suoi frutti: il sistema paese sembra finalmente prendere coscienza delle ramificazioni positive che investire sulla cultura può creare a lungo termine: i grandi eventi come il G20 della Cultura sono l’epifenomeno di un cambio di passo.
Nonostante la crisi, infatti, se si quantifica l’impatto del sistema produttivo culturale e creativo del 2020, si arriva alla cifra di 84,6 miliardi di euro, che corrispondono al 5,7% del valore aggiunto italiano; la filiera offre lavoro a più di un milione e mezzo di persone (5,9% dell’occupazione complessiva). E nonostante la flessione, il comparto creativo viene riconosciuto come “specializzazione produttiva nazionale”: viene calcolata una capacità moltiplicativa pari all’ 1,8 per cento (per un euro prodotto se ne generano 1,8 nel resto dell’economia) che sale a 2,0 per il patrimonio storico e artistico e a 2,2 per le industrie creative. L’intera filiera culturale costituita ha quindi un valore aggiunto di 239,8 miliardi di euro (84,6 miliardi + 155,2 miliardi).
Il rapporto – illustrato in conferenza stampa, tra gli altri, da Ermete Realacci che presiede la Fondazione Symbola, e dal presidente di Unioncamere, Andrea Prete – è stato commentato anche dal ministro della Cultura Dario Franceschini, che ha sottolineato non solo come nel corso del decennio sia cambiata la percezione generale del settore culturale come volano economico della nazione, ma anche come il sostegno pubblico possa fare la differenza nei momenti di crisi: “Gli investimenti in cultura in Italia non sono soltanto un adempimento di un dovere costituzionale, ma anche una grande opportunità di sviluppo economico e di crescita sostenibile. Rispetto a una marginalità rassegnata via via nel tempo si è acquisita una nuova centralità degli investimenti in cultura” ha detto il ministro commentato i dati, e ha aggiunto: “Le grandi crisi portano grandi problemi ma creano nuove opportunità. Sono convinto che sia arrivato a molti decisori politici, lontani dai temi della cultura, il messaggio di cosa voglia dire un’Italia senza cultura. Lo scenario vissuto durante il lockdown, quando abbiamo visto le nostre città coi cinema, musei, teatri e i parchi chiusi, senza musica nelle piazze, né i concerti d’estate, ha fatto comprendere cosa significhi in termini di minor attrattività per tutto il Paese. Questo ha portato alla consapevolezza che l’investimento in cultura è una delle priorità dell’Italia e la scelta fatta dal Governo di investire 7 miliardi del PNRR in questo settore ne è la dimostrazione”.
Se è vero che la crisi può rivelarsi anche un’opportunità, o perlomeno rendere più evidenti strade da percorrere nel prossimo futuro, il rapporto Io sono Cultura evidenzia che alcuni comparti creativi hanno reagito meglio di altri: le attività di videogiochi e software hanno addirittura aumentato la ricchezza prodotta del 4,2%, mentre il settore più colpito – per via delle chiusure praticamente continuative – è quello delle arti performative che perde addirittura il 26,3 per cento (e ciò che viene considerato patrimonio artistico, musei e monumenti, il 19 per cento).