Questo contributo fa parte dell’Undicesimo rapporto IO SONO CULTURA realizzato da Fondazione Symbola, Unioncamere e Regione Marche in collaborazione con l’Istituto per il Credito Sportivo.

Realizzato in collaborazione con Marco Enrico Giacomelli – Direttore responsabile di Artribune Magazine – e Massimiliano Tonelli – Direttore Artribune. 

 

Nel report dello scorso anno sottolineavamo come il futuro scenario post-pandemico non dovesse configurarsi come restaurazione di un “prima” che presentava importanti criticità, bensì come occasione per dare vita a una rinnovata prospettiva che fosse al contempo realistica e visionaria.

 

Ulteriors“, curata da Dennis Kardon. Mostra in VSpace, © Massimo De Carlo, 2021.

Benché nel momento attuale (inizi estate 2021) non si possa parlare globalmente di situazione post-pandemica (basti pensare alla drammatica situazione sanitaria in Sudamerica, continente che rappresenta un mercato non indifferente per l’arte contemporanea), è altresì vero che la condizione europea pare stabilizzata e dunque alcune somme si possono iniziare a tirare.

Il primo dato, che concerne gran parte degli attori della filiera dell’arte contemporanea nazionale e internazionale, è l’opportunità sostanzialmente perduta di percorrere consapevolmente nuove strade digitali.

Dopo un’iniziale bulimia di eventi a distanza – sia dal lato della produzione/offerta sia da quello del consumo/domanda – si è assistito, con il secondo lockdown decretato nell’autunno 2020, a un silenzio quasi generalizzato, nell’attesa protratta e piuttosto passiva che si tornasse a una presunta “normalità”.  La prova che si tratta di un’occasione perduta risiede nel fatto che sono proseguite e/o si sono rivelate efficaci quelle iniziative che erano state avviate prima del lockdown di marzo 2020 o che comunque erano già nell’orizzonte delle possibilità; iniziative, cioè, basate su un interesse solido, ragionato, di prospettiva per la comunicazione digitale, non meramente strumentale ed emergenziale.

Fra le best practice da citare nell’ambito delle gallerie private, innanzitutto lo spazio per mostre virtuali VSpace di Massimo De Carlo[1]: non una mera online viewing room ma a tutti gli effetti una delle sedi della galleria, che si affianca agli spazi fisici di Milano, Londra, Hong Kong e Parigi, con una propria programmazione specifica, costituita da mostre curate dagli artisti rappresentati dalla galleria stessa. A dimostrazione che si tratta di un approccio spendibile non soltanto nel comparto più spiccatamente ed esclusivamente contemporaneo, da citare l’esempio della galleria Mazzoleni, con sedi a Torino e Londra. Pur trattando arte sia moderna che contemporanea, in maniera molto tempestiva si è mossa sui canali digitali – che, è bene dirlo, erano già attivati e presidiati – agendo su un doppio binario: da un lato sfruttando le potenzialità delle online viewing room, creando mostre digitali che non necessariamente ricalcavano in maniera pedissequa l’offerta espositiva fisica; dall’altro, attivando sui canali social operazioni esclusive come #MazzoleniDiary (una mostra in progress durata dieci settimane, comunicata sui profili Facebook e Instagram della galleria, nonché sulla piattaforma digitale Artsy) e #MazzoleniBrunch (appuntamento domenicale che si è sviluppato sui medesimi canali di #MazzoleniDiary e che si arricchiva dell’intervento diretto in streaming degli artisti di volta in volta protagonisti), al fine di mantenere attivo il rapporto con il pubblico[2].

Sul fronte delle fiere d’arte moderna e contemporanea, e restando con lo sguardo rivolto all’Italia, da segnalare il progetto Playlist di Arte Fiera Bologna[3], tenutosi a gennaio 2021 nei medesimi giorni in cui si sarebbe dovuta svolgere la fiera tradizionale. Una scelta intelligente e coraggiosa, quella del direttore Simone Menegoi, il quale, anziché proporre una fiera virtuale, il cui esito fallimentare si era già palesato nei mesi precedenti (Art Basel Hong Kong sarà probabilmente una worst practice che resterà negli annali), ha proposto un palinsesto inclusivo e per così dire laterale, declinando l’offerta – rigorosamente gratuita – in cinque modalità: una visita virtuale fra opere esposte durante l’edizione 2020 della fiera, curata dall’artista Stefano Arienti e realizzata in collaborazione con Istituzione Bologna Musei e MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna; una serie di contenuti filmici proposti dalla Fondazione Cineteca di Bologna; un programma di letture coordinato dalla casa editrice mantovana Corraini Editore; le conversazioni “a distanza” organizzate insieme alla rivista d’arte contemporanea Flash Art; il racconto delle mostre allestite in quel momento nelle sedi delle gallerie che avrebbero dovuto essere presenti in fiera. Un bouquet estremamente ricco e variegato, che ha imboccato una molteplicità di strade all’insegna delle collaborazioni e della contaminazione anche tra diversi comparti della filiera culturale e creativa, tenendosi ben alla larga da quella apparentemente più semplice ma meno efficace.

Resta comunque complessa la contingenza del mercato primario, che ancora sconta le perdite di fatturato conseguenti al blocco forzoso delle attività e alla cancellazione delle fiere.

Spiragli positivi, pur nella difficoltà, si ravvisano tuttavia in due fenomeni piuttosto inediti nel comparto.

In primo luogo una matrice di comunità che ha dato vita o ha consolidato le pratiche di collaborazione e networking: un paio d’anni fa avevamo segnalato, ad esempio, il fenomeno degli stand condivisi alle fiere, a cui si sono affiancate iniziative solidaristiche di player importanti (da Massimo De Carlo alla galleria statunitense David Zwirner) che hanno messo a disposizione delle realtà più piccole le proprie piattaforme online. In secondo luogo, ma nella medesima direzione comunitaria, l’ondata di rivendicazioni collettive da parte dei lavoratori e delle lavoratrici della cultura e delle arti visive.

 

R-set, Who’s Art for? Art Workers against Exploitation, Postmedia Books, Milano 2019.

 

Un ecosistema fondamentale, quello delle professioni dell’arte, che si è unito in reti di artisti, curatori, assistenti di galleria, freelancer e dipendenti dei musei in tutto il mondo, per condividere esperienze e rifondare costruzioni e prospettive per il futuro.

Ultima nata in ordine di tempo in Italia, ma già con forte impatto e seguito, è AWI – Art Workers Italia, associazione che agisce per rendere il settore “più equo, inclusivo, sostenibile e trasparente; […] per il riconoscimento del lavoro e la sua regolamentazione[4].

Proprio attraverso il rispetto delle competenze e delle professionalità si potrebbe leggere la situazione in prospettiva. La riduzione della precarietà andrebbe infatti coniugata con una riflessione e soprattutto un’azione concreta, da parte di tutti gli attori coinvolti nel comparto, per consolidare seriamente la componente umana che si occupa del digitale. Gli ultimi vent’anni hanno infatti dimostrato senza alcuna ombra di dubbio che le nostre vite sono ormai già strutturate in maniera phygital e, dunque, l’attenzione alla componente digitale non può ridursi alla mimesis del mondo fisico e nemmeno a una banale utilizzazione degli strumenti digitali in chiave promozionale.

Per superare questa impasse, che grava ancora su moltissimi soggetti pubblici e privati, è necessario un ripensamento radicale sia delle figure professionali necessarie all’interno delle strutture, sia della filiera produttiva, in un’ottica di co-progettazione che non releghi il digitale (così come l’educational) a un ruolo ausiliario e a valle dei processi decisionali.

Segnali contrastanti giungono anche da chi costituisce, per dirla con semplicità, il primo e l’ultimo anello nella catena di distribuzione dei contenuti culturali. Il pubblico ha dimostrato, in maniera spesso inattesa, il profondo desiderio di una narrativa legata all’arte, di uno storytelling alternativo e costruttivo, spesso concretizzatosi nell’accelerazione e nel successo di moltissime iniziative legate alla didattica, intesa non solo e non tanto come laboratori per i più giovani, bensì in una forma più tradizionale quale quella delle “lezioni” di storia dell’arte, eventualmente contemporanea. Ottimi esempi di divulgazione di alto profilo si vanno moltiplicando, dalla GAM di Torino al Guggenheim di Venezia, passano per la Fondazione Feltrinelli di Milano, con riscontri a livello numerico e qualitativo che in pochi avrebbero immaginato.

Per quanto concerne gli artisti, purtroppo va segnalata, salvo rare e puntuali eccezioni, un’assordante e generalizzata latitanza, della loro voce e della loro opera, nell’interpretare un periodo storico fra i più drammatici e globali della modernità. Rari e spesso didascalici sono stati gli interventi da parte dei protagonisti del sistema dell’arte, quando invece erano (e sono) proprio i punti di vista degli artisti, intesi nel senso più inclusivo, quelli che in occasioni analoghe, nel corso della storia, hanno saputo illuminare in maniera inedita e “laterale” la drammaticità del presente, senza per questo ridursi a meri cronachisti del proprio tempo. È comprensibile che i tempi di sedimentazione, proprio per l’eccezionalità della situazione che abbiamo vissuto, siano più lunghi del solito, ma resta il dato di un certo immobilismo o di una certa ombelicalità, come se le due uniche reazioni possibili fossero un’attesa silenziosa o un riflusso domestico.

Costante resta la constatazione della scarsa rilevanza del settore agli occhi della politica nazionale: le rare iniziative attuate nello scorso biennio, pur meritorie (dall’Art bonus all’attività dell’Art Council), erano nettamente squilibrate rispetto, ad esempio, a una fiscalità oltremodo punitiva. Complice l’emergenza sanitaria, la situazione è addirittura peggiorata: durante la pandemia si è assistito alla scarsissima incidenza del Ministero della Cultura (MiC) sulle decisioni relative alle variegate forme di lockdown: la polemica intorno alla chiusura di musei, spazi d’arte e gallerie private ha intrecciato ragioni anche molto differenti tra loro, che spaziavano da posizioni più spiccatamente corporative fino, all’estremo opposto, a una cautela addirittura eccessiva dal punto di vista sanitario ed epidemiologico. Non è naturalmente questo il luogo per discutere la validità o meno di ognuna di queste posizioni, ma spicca in questo senso la quasi totale assenza di una voce chiara da parte del MiC. Quando poi si è trattato di azioni concrete, in maniera piuttosto inaudita abbiamo assistito molto recentemente, da un lato, a richieste velleitarie da parte dell’Associazione Nazionale Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea (ANGAMC)[5] – una riduzione dell’aliquota IVA che ben difficilmente sarà accolta dal Governo –; dall’altro, al lancio, da parte del Ministero, di ItsArt, piattaforma online propagandata come “Netflix della cultura” ma, almeno al momento, con un palinsesto ridottissimo e prezzi decisamente fuori mercato.

L’attenzione del Ministero per il settore e il potere contrattuale di quest’ultimo nei confronti del primo sarà il tema fondamentale dei prossimi mesi. In gioco ci sono infatti 6,675 miliardi di euro, la cifra destinata alla cultura dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza nel quadro del progetto europeo Next Generation EU. Il settore culturale nel suo complesso – e dunque anche quello dell’arte contemporanea – può ripartire anche grazie a un oculato utilizzo di questo strumento. Il Ministero è riuscito ad aggiudicarsi un budget rilevante, più alto rispetto alle quote parte che ministeri omologhi di altri Paesi europei hanno ottenuto dal proprio governo; ora sta al comparto dell’arte contemporanea fare un lavoro simile, al fine di drenare le risorse necessarie per ripartire con una visione aggiornata e propositiva[6].

 

Beeple, “Everydays. The First 5000 Days“, 2021. Courtesy Beeple.

 

Inevitabile, infine, accennare alla next big thing del mondo dell’arte contemporanea, ovvero i NFT – Non Fungible Tokens, fenomeno non privo di ambiguità.

Qui i punti che restano da chiarire sono molteplici: la già celeberrima vendita effettuata dall’artista digitale statunitense Beeple[7] va inserita in una storia già avviata, poiché rappresenta una tappa importante ma inserita in un percorso, quello del mercato delle opere digitali, che non è nato con quella stessa vendita; in secondo luogo, va chiarita la distinzione fra NFT e criptovaluta, poiché la prima espressione indica la tipologia di opera in vendita (potremmo quasi dire che l’NFT è un medium a sé stante) mentre la seconda indica la valuta eventualmente utilizzata per effettuare l’acquisto. Naturalmente i due elementi possono essere congiunti (l’acquisto di NFT in criptovaluta) ma anche disgiunti, ovvero si possono acquistare beni d’ogni genere con le criptovalute, e d’altro canto i NFT possono essere acquistati con valuta tradizionale. Non da ultimo, emerge sempre più chiaramente il dispendio energetico in termini di impatto ambientale che comporta l’emissione e la “manutenzione” di un NFT. Il futuro degli NFT per ora è tutt’altro che scritto: potrebbe tradursi in una bolla di breve durata, come fu ad esempio per il social Second Life, oppure diventare davvero un medium (e uno strumento di mercato) diffuso capillarmente; per citare una recente story pubblicata da Francesco Bonami su Instagram, il destino degli NFT potrebbe essere quello del borsello o quello del cellulare.

 

 

[1]Cfr. Nina Azzarello, Massimo De Carlo launches virtual space with the John Armleder and Rob Pruitt show, in Designboom, 14 aprile 2020, https://www.designboom.com/art/massimo-de-carlo-virtual-space-john-armleder-rob-pruitt-04-15-2020/.

[2]Cfr. Marco Enrico Giacomelli, Essere galleristi in Italia e all’estero. Parola a Davide e Luigi Mazzoleni, in Artribune.com, 12 aprile 2021, https://www.artribune.com/professioni-e-professionisti/who-is-who/2021/04/intervista-galleria-mazzoleni/.

[3]Cfr. Giulia Ronchi, Playlist: il nuovo progetto culturale, gratuito e inclusivo di Arte Fiera Bologna, in Artribune, 20 gennaio 2021, https://www.artribune.com/arti-visive/arte-contemporanea/2021/01/playlist-inuovo-progetto-arte-fiera-bologna/.

[4]Cfr. Giovanni Comoglio, Art Workers Italia: “Combattiamo l’invisibilità dei lavoratori nell’arte contemporanea”, in Domus, 1° agosto 2020, https://www.domusweb.it/it/arte/2020/06/05/art-workers-italia-not-an-artwork-but-art-work.html.

[5]Come se non fosse già scarso potere di lobbying esercitato dalle gallerie d’arte contemporanea, all’ANGAMC si sovrappone dalla primavera del 2020 un’altra associazione, Italics, che riunisce oltre sessanta operatori del settore, capitanati da realtà di spicco come Galleria Continua, Gagosian, Alfonso Artiaco, Massimo De Carlo, Galleria dello Scudo, kaufmann repetto, Massimo Minini, Franco Noero e Carlo Orsi.

[6]Pur con budget sensibilmente diversi, un ruolo di rilancio potrebbe svolgerlo anche il Bonus 110%, qualora riuscisse a innescare una dinamica simile a quella che avrebbe dovuto generare la famigerata Legge del 2%, varata ottant’anni fa ma rarissimamente applicata. Un coinvolgimento degli artisti – termine da intendere in senso ampio e inclusivo – nei lavori volti a efficientare gli edifici in ottica di risparmio energetico e resistenza antisismica sarebbe fondamentale certo per gli artisti stessi e la filiera a cui danno avvio, ma ancor più per cambiare le sembianze di ampie porzioni dello spazio pubblico, restituendo la dovuta attenzione ai temi del visivo.

[7]I 69 milioni di dollari battuti per l’opera di Beeple hanno naturalmente fatto scalpore. Accanto a questi fenomeni esiste però un florido panorama che coinvolge anche operatori italiani. Cfr. ad esempio Giulia Ronchi, Anche i giovani artisti italiani entrano nel mondo degli NFTs grazie a una mostra collettiva, in Artribune, 25 marzo 2021, https://www.artribune.com/progettazione/new-media/2021/03/artisti-italiani-nfts-mostra-collettiva/.