Dagli scarti tessili nascono scatole, sedie, tavoli Giulia De Rosei 34 anni, a capo di una start up che segue le aziende della moda nel riciclo e riuso degli avanzi Fino a tre anni fa faceva la controller in un’azienda: laureata in Economia internazionale e Direzione aziendale, aveva stipendio buono, posto sicuro, il futuro in cassaforte. «Ma non ero soddisfatta. Dentro di me sognavo di lavorare come consulente sulla sostenibilità, per lasciare un pianeta migliore ai miei due figli. Così, decisi di partire per una vacanza in Giappone, che nei miei pensieri doveva essere anche una sorta di viaggio mentale, per riflettere su di me, sui miei veri desideri, sul mio lavoro, sul futuro… Lì incrociai l’incredibile e suggestiva arte del packaging, eseguita con una cura solerte, direi quasi maniacale e quando. Le maestre del riuso sostenibile  ritorno in Italia, mi trovai a gettare via la confezione in polistirolo del gelato, mi venne un flash, realizzando che da noi non c’era niente di alternativo a quel contenitore. A parte cercare di vivere un mese senza plastica, un’impresa folle!, con altrettanta solerzia cominciai così a riflettere su come produrre qualcosa che riempisse quel vuoto». Una prova chimica alla volta, con il supporto di un ingegnere del prodotto, comincia a considerare, e poi ad avere la prova, che le fibre tessili hanno un ampio potenziale di poter generare i contenitori termici che ha in mente, ma i costi di produzione, rispetto al polistirolo, erano troppo alti. «Così, continuando a studiare, misi a fuoco quel modello produttivo che oggi è cuore della mia start up: realizzare contenitori e, in genere, nuovi prodotti riciclando gli scarti tessili industriali e i vestiti usati». E, del resto, in Europa vengono scartate ogni anno 5,8 milioni di tonnellate di prodotto tessile. Oggi il processo produttivo è brevettato e la sua start up, a cui ha dato il nome di Nazena, che in Giappone significa Perché no?!, lavora con diverse aziende della moda italiana a cui offre l’opportunità di costruire la loro sostenibilità in maniera innovativa. «Praticamente, Nazena ritira i loro scarti industriali, li processa per farli tornare alla forma di fiocco e quindi lavora la fibra con speciali collanti naturali trasformandola in pannelli da cui, infine, ricava oggetti che poi offre alle stesse aziende. Realizziamo appendini per abiti, scatole, etichette, confezioni ed espositori per la gioielleria, ma anche pannelli da rivestimento fonoassorbenti e stiamo mettendo a fuoco il design 66 di diversi altri prodotti, come scrivanie e sedie. I nostri prodotti sono l’emblema di quanto si possa recuperare senza attingere a risorse vergini. Per le aziende, il processo offre plurime convenienze: anzitutto, non pagano lo smaltimento dei rifiuti tessili perché li ritiriamo noi, risparmiano sull’approvvigionamento di nuove materie prime, migliorano il punteggio di Life Cycle Assessment (analizza gli impatti ambientali dei prodotti, dall’estrazione delle materie prime fino al fine vita, ndr) e hanno concrete storie di sostenibilità da raccontare ai propri clienti. Devo dire che, attraverso la collaborazione con noi, diventano anche molto più proattive: del resto, quando le incontriamo, esploriamo insieme a loro le caratteristiche del materiale di scarto che ci cedono e, sempre insieme a loro, progettiamo i prodotti che a loro servono e che noi andremo a realizzare appunto con i loro scarti». La piattaforma che “scorta” i rifiuti alla loro seconda vita Camilla Colucci 28 anni, founder e Ceo di Circularity, punto di incontro per le imprese che valorizzano l’usato come materia prima La convinzione della napoletana Camilla Colucci, fondatrice e Ceo di Circularity, è che le aziende possano diventare il motore della transizione ecologica e che perché ciò accada devono cambiare radicalmente approccio: quello che fino a oggi hanno considerato scarto, devono considerarlo risorsa. Infatti la start up che ha fondato a Milano, Circularity appunto, è una piattaforma digitale georeferenziata che mette in contatto aziende che nella lavorazione producono residui da smaltire in discarica con altre aziende per le quali quegli stessi Camilla Colucci, 28 anni, founder e Ceo di Circularity. scarti possono diventare materia utile da immettere in un nuovo processo produttivo. A oggi 25mila imprese si sono già iscritte alla piattaforma, 500 e più sono le tipologie di materiali trattati, dal Tetra Pak al tessuto fino al sottoprodotto alimentare, e Forbes ha inserito questa giovane donna, che è in qualche modo figlia d’arte il padre è un nome di riferimento nel campo dell’efficienza energetica e gestione dei rifiuti tra gli under 30 più promettenti nel settore green. «Il progetto sta funzionando molto bene, perché risolve più problemi a più tipologie di aziende» racconta Colucci, che cita le app Booking e Tinder per fare comprendere subito che la forza di Circularity sono gli abbinamenti che l’algoritmo compie connettendo tutti gli attori potenzialmente in campo nel processo circolare. Sono quattro, ciascuno con una convenienza garantita dalla piattaforma: «Chi produce lo scarto industriale e se ne deve liberare; i trasportatori che vanno a prenderlo; gli impianti che lo trattano e lo recuperano; l’azienda che chiude il cerchio usando proprio quel prodotto per una nuova lavorazione, anziché materia prima vergine. A giovarsene, alla fine, è l’intero sistema». Il business è immenso, anche perché il team di Circularity, che è giovanissimo, ha multiple competenze attraverso le quali guida le imprese che non lo hanno ancora fatto, a compiere il salto per ottimizzare. Le maestre del riuso sostenibile e l’uso dei materiali e modificare il processo produttivo in un’ottica di circolarità. Nel 2021 Circularity ha triplicato il fatturato: «In soli tre anni di effettiva attività abbiamo gettato le basi per diventare un riferimento dell’economia circolare in Italia. Oggi le imprese si trovano a gestire un cambiamento epocale dei modelli e dei processi, con una normativa che sta cambiando e che le pone di fronte a nuove responsabilità». In questa ottica, si spiegano i nuovi obiettivi della piattaforma: «Puntiamo a qualificarci come market piace, affinché le imprese oltre a incontrarsi possano vendere i materiali. Procederemo a tracciare il percorso che quello che era uno scarto compie dal momento in cui l’impresa se ne disfa sino alla destinazione finale. Così misureremo l’impatto di ogni transizione». Trovare un senso alla meravigliosa abbondanza Daniela Ducato 62 anni, imprenditrice che fa della rigenerazione il presupposto dei nuovi modelli di sviluppo economico Nel mondo così come lo vede lei lo scarto non ha modo d’esistere, come succede in natura, dove tutto torna, in continue rigenerazioni. Per come la pensa lei, lo scarto è la costruzione malata di chi ha occhi che non vedono il tesoro che si nasconde in quello che buttiamo. «Siamo circondati da eccedenze, che sono un’immensa, meravigliosa abbondanza, ma non la vediamo, incapaci come siamo di coglierne il valore: sprechiamo, dissipiamo di tutto, beni, risorse, intelligenze. Dobbiamo prenderne coscienza e trovare Danicia Ducato, 62 anni, ,irtv e nd t r [ce , Cavaliere della Repubblica per l’innovazione nel campo dell’economia circolare. 68 un senso a queste eccedenze». A parlare è Daniela Ducato, 62 anni, di Guspini, sud Sardegna unico Comune al mondo ad avere un’area industriale pesticide free (libera da pesticidi, ndr) e con vie che hanno tutte nomi di donne. È una freelance che da tempo accompagna scuole, enti e aziende nazionali, multinazionali e quotate in Borsa in percorsi innovativi di sostenibilità. Attraverso il suo pazientissimo lavoro di ascolto e relazione, è tra le donne che stanno contribuendo a costruire nuovi modelli economici e sociali dove residui, eccedenze, sottoprodotti vengono risparmiati. E dove ciò che è rifiuto per qualcuno, diventa una nuova potenzialità per un altro. Pluripremiata in Italia e all’estero per la sua attività, le è stato attribuito anche il titolo di Cavaliere della Repubblica Italiana dal Presidente Sergio Mattarella, che l’ha definita “Campionessa mondiale di innovazione, orgoglio della nostra Italia migliore” per aver mostrato come gli scarti vegetali e animali possono trasformarsi in biomateriali rinnovabili. Daniela Ducato ha, infatti, ideato il brand Edizero Architecture for Peace, un protocollo di regole basate sugli “zero”: zero sfruttamento di risorse e di economie, zero contenuto di acqua, zero saccheggio di terre e zero saccheggio di mari (in inglese land grabbing e ocean grabbing) da parte delle grandi economie, ma anche zero spreco di denaro pubblico e privato. «A partire da questo protocollo, mi adopero per creare alleanze di qualità tra i soggetti più vari dalla società civile al mondo della ricerca, alle imprese e dunque a creare innovazione sostenibile». L’ultimo progetto di recupero è nato dalla sinergia tra Fondazione Territorio Italia, che Daniela Ducato presiede, la Cooperativa Mitilicoltori Spezzini e Made in Carcere, una no profit che mira a offrire una seconda opportunità alle persone. «Abbiamo lavorato per ricavare uno speciale filo da mare da un rifiuto naturale, ovvero il filamento attraverso il quale le cozze si tengono aggrappate alle rocce e mediante il quale l’acqua marina viene purificata dall’anidride carbonica. Questo filamento nella lavorazione dei mitili viene buttato. Con il processo messo a punto, viene invece trasformato per realizzare decori per tessuti e bottoni». Lo spreco, secondo Daniela Ducato, è anche immateriale: «Per esempio, produciamo una messe praticamente infinita di ricerche, che poi finiscono dimenticate. Perché non creare una biblioteca digitale che le metta a disposizione della collettività? Ora portiamo tutti sulle labbra l’innovazione, ma la parola non ha senso se non ha alla base una nuova visione. La Terra sta male perché abbiamo voluto possederla, ritenendo assolutamente normale farlo. E ora che l’abbiamo distrutta, attraverso lo stesso atteggiamento padronale pretendiamo di salvarla. Ma la Terra non ha bisogno di noi, ha tutte le risorse per salvarsi da sola e, anzi, sarà forse lei a salvare tutti quanti noi. Dobbiamo uscir