Ci eravamo trovati nell’effimera parentesi estiva a ragionare con la Fondazione Symbola dell’Italia di domani partendo da comunità, territori e innovazione quali parole chiave contro paure e solitudini da pandemia. Si stava virtualmente a Treia (sede del seminario annuale) dentro un racconto di speranza e di mobilitazione operosa nelle accelerazioni di una metamorfosi che individua da sempre nell’emergenza climatica l’orizzonte di senso e la bussola di riferimento del nostro fare animazione culturale e lobby “buona”. Una direzione di senso per uscire dal gioco dei quattro cantoni delle emergenze: climatica, sanitaria, economica, sociale. Poi è arrivato l’autunno a ricordare a tutti noi, drammaticamente, che la partita è lunga e il gioco molto più complesso. L’inesorabile, quanto previsto, ritorno del virus è tornato a dettare l’agenda a tutti i livelli, costringendo società, economia, istituzioni e media a riprendere il codice bellicista di primavera. Segno, questo, del permanere di un atteggiamento orientato alla pericolosa rimozione, anziché a quella necessaria metabolizzazione sociale e antropologica capace di trasformare la paura del presente in fiducia nel futuro. Ed è un po’ in quest’ottica che voglio collocare la mia personale lettura del rapporto Green Italy (Symbola–Unioncamere), giunto quest’anno alla sua undicesima edizione.
Una lettura che suscita speranza, rafforza alcune convinzioni, ma suggerisce anche qualche prudenza. Nel corso degli anni il rapporto ha registrato la crescita costante di imprese e di occupazione green sempre più intrecciate con l’avanzante economia della conoscenza a base urbana. Crescita qualitativa e quantitativa stimolata anche grazie al sopraggiunto interesse di alcuni importanti player nazionali dell’energia e delle reti, che andavano virando in modo deciso sul versante della sostenibilità, all’evoluzione di importanti consorzi per il recupero e il riciclo di materie prime, alla capacità di ciò che rimaneva della gloriosa chimica italiana di spingere sull’eco-innovazione.
Questa evoluzione è stata puntualmente registrata da Green Italy, sino a quest’ultimo biennio in cui ci si è resi conti che fosse necessario intrecciare al tema ambientale quello del contrasto alla società dello scarto, dunque non solo economia ma anche società e comunità. Questo allargamento dello sguardo ha portato di lì a poco al Manifesto di Assisi, per il quale ho coniato il termine “realismo mistico”, che testimoniava l’evoluzione del “popolo dei sussurri” degli anni oo in un nodo culturale importante, sempre più ampio e deciso a sostenere la svolta ecologica, anche come base di ridefinizione del senso della cittadinanza. Arriviamo così al 2020 delle accelerazioni indotte dalla pandemia in cui le imprese, le filiere e i sistemi produttivi green si confermano più capaci di riadattarsi alle turbolenze, anche perché, come rilevato dal report, hanno saputo in questi anni mettere a frutto il passaggio al 4.0, hanno incorporato saperi e competenze, hanno qualificato gli occupati, pur segnalando il grande deficit del paese nelle politiche attive del lavoro.