Ci viene incontro anche l’Agenda 2030, approvata dalle Nazioni Unite nel 2015 dopo decenni di altre tappe epocali sul piano dell’ecosistema mondiale, a partire dagli anni Settanta. Passaggi che tuttavia non hanno inciso come avrebbero dovuto. Nonostante numerose dichiarazioni d’intenti e proclami, i risultati non sono ancora stati raggiunti e gli effetti legati al cambiamento climatico si manifestano senza sosta e ovunque. Negli obiettivi da raggiungere non senza fatiche e rinunce, stavolta virando in maniera ottimistica verso il successo, l’Agenda chiarisce l’oggetto della sostenibilità ed esplicita il carattere tridimensionale della stessa: ambientale, economico, sociale. Il sociologo Francesco Morace e la giornalista Marzia Tomasin si sono messi di buona lena e consumando le suole hanno raccolto le esperienze concrete di 26 imprese illuminate che stanno percorrendo la strada della sostenibilità. Imprese che hanno messo in campo il loro know-how per migliorare l’aria che respiriamo, per abbracciare filosofie innovative e di speranza, per perseguire uno sviluppo economico compatibile con la necessità di proteggere l’ambiente e le persone. Imprenditori che, oltre alle conoscenze specifiche, stanno dimostrando quel coraggio che porta fiducia. In una parola sola, intraprendenza. Sanno che «si può fare» e lo stanno facendo. Concretamente. È così che è nato «L’alfabeto della sostenibilità» (edizioni Egea, pag. 254, euro 30), sottotitolo «26 modi per essere sostenibili», con un contributo di Stefania Farina e postfazione di Ermete Realacci. Perché se è vero che ognuno di noi deve assumersi le proprie responsabilità, è anche vero che un ruolo fondamentale lo giocano le aziende, titolari di spazi che ospitano milioni di persone. Ed è proprio su una metafora ludica che puntano Morace e Tomasin, paragonando le 26 imprese studiate ad altrettanti ruoli del gioco degli scacchi. Per una comune posta in gioco. Se solo trenta o quarant’anni fa la sostenibilità era un argomento di nicchia, finalmente stiamo vedendo una luce fioca in fondo al tunnel. Bisogna riconoscere che negli ultimi anni ha avuto un’accelerazione e per questo dobbiamo mantenere tirata quella corda, a patto di posizionarci tutti dallo stesso lato, senza più trasformarlo in un tiro alla fune. L’esempio da seguire ci arriva da imprese, le 26 raccontate nel libro, che hanno saputo tracciare, se non addirittura re-inventare, un solco in grado di sostenere il futuro della Terra. Tra di loro ce ne sono due parmigiane. La Chiesi e la Davines. E c’è da andarne orgogliosi, perché rappresentano, su questa scacchiera, il ruolo del cavallo. Cioè il pezzo più particolare, possedendo quella flessibilità che lo rende forte, unico pezzo dal movimento non convenzionale, che può saltarne altri. Potremmo definirlo il più atletico, il meglio performante. Gli inizi della Chiesi risalgono al 1935, grazie a Giacomo Chiesi, che si avvale solo di un ufficio e di un alambicco, a cui aggiunge una spolverata del suo spirito di intraprendenza. Non possiamo qui sintetizzare la storia dell’azienda, anche perché lo fa benissimo il saggio, è bene però ricordare che è la prima B Corp farmaceutica italiana, cioè la prima a rispettare determinati standard per garantire un impatto positivo sui propri dipendenti, sulla società e sull’ambiente, conciliando l’economia e il profitto con l’etica, la sostenibilità e il benessere. Prendersi cura degli altri, quindi, non solo coi prodotti, ma compiendo quel salto paradigmatico che il cavallo fa negli scacchi e gli permette di vedere e valutare prospettive diverse. Ed è sempre nella stessa casa che nasce Chiesi Foundation, attiva nella cooperazione internazionale sanitaria per il diritto alla salute dei popoli più bisognosi e in particolare per quanto riguarda la salute neonatale e respiratoria. Ecco spiegato il motivo di quel «concretamente». Fare seguire alle parole i fatti, a dimostrazione che bisogna agire in prima linea. Con impegno tangibile, inoltre, nell’identificare ed eliminare impatti negativi sull’ambiente, riducendo le emissioni. Dimostrato anche con un Manifesto condiviso che in pochi punti sintetizza chiaramente i valori di Chiesi e che ognuno dovrebbe fare proprio. Davines ha una storia più recente, essendo nata all’inizio degli anni Ottanta. Una narrazione più breve già ricca di passi importanti sul piano industriale e su quello della sostenibilità: l’approvazione di una Carta Etica, il percorso di decarbonizzazione, la Carta per la ricerca sul packaging, la certificazione B Corp nel 2016, la trasformazione in Società Benefit, le filiere tracciate. Un’azienda che si occupa di prodotti per la cura del corpo e che prima di fare questo, però, ricorda che è necessario accordare la natura della donna e dell’uomo con la Natura. E anche per questo, ad esempio, non testa prodotti e ingredienti sugli animali, né chiede a terzi di farlo, perché spiega- no alla Davines «i testi sugli animali non si sposano con i nostri valori». Il loro sito può considerarsi anche il loro Manifesto, navigare per credere. Proprio a Parma ha creato il primo centro di formazione e ricerca in Europa per l’agricoltura biologica rigenerativa, andando oltre la cosmetica, rendicontando la propria impronta carbonica, monitorandola e riducendola, piantando centinaia di alberi in giro per il mondo. La prefazione di Enrico Giovannini arricchisce il volume ed è lo stesso professore a evidenziare come «le persone che sono a capo di istituzioni e imprese fanno la differenza, come dimostra ampiamente questo libro con riferimento alle imprese». Imprenditori e imprenditrici che fanno leva sulle giovani generazioni, alle quali affidiamo il futuro: senza infrangere regole, ma imparando a immaginarne e a metterne in pratica di nuove.