Estratto del capitolo “Nuovi equilibri e contraddizioni nella lenta ripresa del settore musicale” di Io sono Cultura

Quelli tra metà 2021 e metà 2022 sono stati mesi di lenta transizione per il settore musicale: un anno parzialmente positivo per il comparto live e tutto sommato in crescita per il comparto discografico. In entrambi i casi però non sembra possibile parlare di una fase di pieno assestamento; in entrambi i casi, l’onda lunga della crisi economica, esplosa a causa dell’emergenza pandemica, sembra aver evidenziato e aumentato una sorta di consapevolezza collettiva, soprattutto di categoria, che necessita di strategie e scelte economicamente e socialmente più sostenibili, volte a tutelare i lavoratori della filiera e i suoi consumatori.
Nel settore dello spettacolo, l’attività che ha sofferto di più durante i due anni di restrizioni è stata proprio quella dei concerti, con perdite che nel 2021 sono risultate più contenute rispetto all’anno precedente, ma comunque sensibili fino a marzo 2022,

trovando nel mese di maggio – con la fine delle limitazioni – un momento di sostanziale recupero (in attesa di dati e report Siae del 2021, ma come confermano alcune testimonianze autorevoli del settore). Le diverse realtà e associazioni di categoria, nate o rafforzatesi nel corso del 2020 per tutelare i lavoratori del settore – la piattaforma La Musica che Gira, il network Bauli in Piazza, i coordinamenti MEI come StaGe! e Indies, ma anche Assomusica, Note Legali, Keep On Live e i Professionisti dello spettacolo-emergenza continua – sono state mediaticamente molto meno esposte nel corso dell’ultimo anno, ma sempre attive dietro le quinte. E infatti, un risultato incoraggiante dal punto di vista legislativo è giunto a maggio 2022, con l’approvazione in Senato dell’emendamento per l’istituzione dell’indennità di discontinuità, il cui importo – e categorie che potranno accedervi – sarà definito in seconda battuta dal Governo.

All’interno di questo quadro, va fatto un discorso diverso per la produzione musicale. Lo stretto legame che unisce la produzione alla fruizione, le uscite discografiche ai tour (maggior fonte di sostentamento per gli artisti e per l’ampia filiera), ha spinto vari artisti a rimandare la pubblicazione dei propri album tra fine 2021 e inizio 2022, quindi alla vigilia della ripresa dell’attività live. Nel frattempo, il mercato discografico italiano, secondo i dati Deloitte per FIMI, è cresciuto complessivamente del 34% nei primi sei mesi del 2021, forte dell’affermazione del segmento premium streaming. I ricavi da abbonamenti sono infatti aumentati del 41%, confermando la tendenza iniziata a inizio pandemia, con un forte spostamento dei consumatori verso i servizi in abbonamento. In generale, tutto il 2021 segna un balzo in avanti significativo, con un tasso di crescita del 27,8% per gli streaming, che ha riportato l’Italia nella top ten mondiale con oltre 332 milioni di euro di ricavi e una crescita degli abbonamenti alle piattaforme streaming come Spotify, Amazon ed Apple Music del 35,6%. YouTube resta la prima piattaforma in Italia per ascolto di musica in modalità free ad-supported. Tra free e premium, tutto il segmento audio e video streaming è cresciuto del 24,6%, arrivando a 208 milioni di euro di ricavi. La filiera musicale, infatti, ha adottato un’ampia fascia di tecnologie per la distribuzione dei propri contenuti, registrando nella fascia compresa tra i 16 e i 24 anni il maggio numero di consumatori. Dopo un 2020 complesso in termini di accesso e distribuzione, anche le vendite del supporto fisico sono tornate a crescere: si rileva un particolare successo del vinile, con un incremento del 189% e diventando il supporto di punta per la distribuzione musicale, precedendo addirittura il CD, che ha comunque visto una crescita del 52%.

Ma nonostante lo sviluppo dello streaming e il boom del vinile, nell’ultimo anno sono emersi significativi cortocircuiti del mercato. Nel primo caso, se lo streaming avanza, crescono le proteste per i bassi compensi delle piattaforme come Spotify, Apple, Tidal, Amazon, Deezer, Youtube – che, in aggiunta, penalizzano gli artisti emergenti con un tetto di streaming minimo relativamente alto per accedere ai compensi. E infatti, nell’ultimo anno si sono riscontrate diverse contestazioni a livello globale: dalle associazioni come Umaw (Union of Musicians and Allied Workers), che a metà marzo 2021 è scesa in campo per richiedere l’abolizione dell’attuale sistema di ripartizione dei guadagni di Spotify (la società svedese tiene per sé il 30% dei ricavi degli abbonamenti e divide con gli artisti il restante introito in proporzione al numero di ascolti), al cantante canadese Neil Young, che a seguito di un caso di disinformazione su The Joe Rogan Experience  ha richiesto la rimozione della propria musica sulla piattaforma. A seguirlo, la cantautrice Joni Mitchell e i colleghi David Crosby, Graham Nash e Stephen Stills. Nel giro di tre giorni, Spotify ha così perso 2 miliardi di dollari di capitalizzazione (circa un miliardo e 900mila euro).

Continua a leggere il capitolo da p. 214 a 218 su”Io Sono Cultura 2022″, la ricerca realizzata con UnioncamereRegione Marche, in collaborazione con l’Istituto per il Credito Sportivo