Non c’era da aspettarsi grandi risultati dalla Cop27 che si è da poco conclusa a Sharm el-Sheikh. Purtroppo. Lo stato delle relazioni internazionali, aggravato dall’aggressione della Russia all’Ucraina e la debolezza dell’Onu non facevano prevedere decisioni adeguate a fronteggiare la crisi climatica. È oggi comunque positivo che si siano ribaditi gli impegni della Cop26 di Glasgow e soprattutto si sia dato vita ad un fondo di sostegno per aiutare i Paesi più colpiti e più deboli ad affrontare i mutamenti climatici in atto. È per questo ancor più importante che la spinta economica, tecnologica, istituzionale venga ora dai sistemi più forti, e divenga una chiave per pensare il futuro. È una missione che può svolgere l’Europa, il cui ruolo è stato fondamentale anche nella Cop27. La partita si sposta ora dalle trattative diplomatiche nelle sedi internazionali all’economia reale e alla società. E servono nuovi protagonisti. Per il Manifesto di Assisi promosso dalla Fondazione Symbola e dal Sacro Convento: “Affrontare con coraggio la crisi climatica non è solo necessario ma rappresenta una grande occasione per rendere la nostra economia e la nostra società più a misura d’uomo e per questo capaci di futuro”. Una conferma viene da quanto è in movimento nel nostro Paese. Il rapporto Green Italy, giunto alla 134 edizione e realizzato da Fondazione Symbola e Unioncamere, evidenzia con numeri e storie come green economy e sostenibilità rafforzino nelle imprese la competitività e la capacità di rispondere alle crisi: è la scelta fatta dall’Europa che punta su coesione, transizione verde e digitale, per affrontare le sfide che abbiamo davanti, con una nuova economia. Un percorso che deve essere accelerato anche per far fronte all’aumento dei prezzi dell’energia e delle materie prime, ai colli di bottiglia lungo le catene di approvvigionamento che vanno dalle interruzioni logistiche alla carenza di attrezzature e manodopera, esasperati dalle conseguenze dell’invasione dell’Ucraina. Uno dei temi più delicati per l’Italia è proprio quello delle fonti rinnovabili, dove stiamo pagando, anche in bolletta, i ritardi del passato, a fronte di una tendenza che si rafforza nel mondo: la potenza netta rinnovabile è aumentata nel 2021 rispetto l’anno precedente circa 290 GW mentre ad esempio la potenza netta nucleare che si è ridotta di 3 GW. Risultati però ancora insufficienti per raggiungere i target di decarbonizzazione fissati. In Italia, viviamo un paradosso: da un lato la disponibilità degli operatori economici ad investire, a fine agosto le richieste di connessione alla rete di Tema erano pari a 28o GW, quattro volte gli obiettivi che l’Italia si è data al 203o; dall’altra l’estrema lentezza della amministrazione pubblica. Pensiamo al ritardo nell’emanazione dei decreti attuativi sulle comunità energetiche rinnovabili o ai tempi autorizzativi e alle opposizioni locali che rallentano l’istallazione di impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili. Nel 2021 è stata istallata solo una potenza pari a 1.351 MW, un dato lontano dal target definito dal Governo pari a 7o GW da installare entro i12030 (8o GW sono possibili per Elettricità Futura) e che se raggiunto permetterebbe di risparmiare oltre 26 milioni di m3 di gas. Valore sostanzialmente pari alle quantità che il nostro Paese ha importato dalla Russia negli ultimi 12 mesi. Sempre nel 2021 l’Olanda, che ha una superficie pari a quella di Sicilia e Calabria e un’insolazione molto minore, ha installato 3000 MW di fotovoltaico e l’Italia 800. Abbiamo un problema. Anche se ci sono segni di cambio di passo, con un aumento di installazioni nei primi mesi di quest’anno o sul fronte tecnologico, ad esempio con lo sviluppo a Catania per iniziativa dell’Enel del più grande impianto per le produzioni di pannelli fotovoltaici d’Europa con una capacità produttiva a regime di 3 GW all’anno, che darà lavoro oltre a mille dipendenti diretti e altrettanti dell’indotto. Il meglio dei cromosomi italiani Ma il nostro Paese dà il meglio di sé quando incrocia i suoi cromosomi antichi, la sua identità con un modo tutto italiano di fare economia: che tiene insieme innovazione e tradizione, coesione sociale, nuove tecnologie e bellezza, capacità di parlare al mondo senza perdere legami con territori e comunità, flessibilità produttiva e competitività. Quando insomma l’Italia fa l’Italia e dà forza alla sostenibilità e alla green economy in tutte le nostre filiere produttive. E in particolare a quelle più importanti del Made in Italy. È un percorso legato più alla nostra antropologia produttiva che a leggi e politiche, che dà forza alle nostre imprese. È stato a lungo in voga un manta che copriva la resistenza dei vecchi interessi: “L’ambiente è importante ma non dobbiamo danneggiare l’economia”. Oggi è vero il contrario, a fronte anche dell’evidenza degli effetti della crisi climatica, chi non si mette in movimento verso un futuro più a misura d’uomo danneggia le imprese e la società. Secondo il rapporto Green Italy 2022, sono 531.000 le aziende che nel quinquennio 2017-2021 hanno deciso di investire in tecnologie e prodotti green: il 37.6 per cento, con una percentuale che sale al 42.5 nell’industria manifatturiera, due imprese su 5. Una percentuale in aumento del 5o per cento rispetto alla rilevazione precedente (2014-2018). Guardando alle performance economiche si comprendono meglio le ragioni che spingono le imprese a investire in prodotti e tecnologie verdi oltre alla crescente sensibilità dell’opinione pubblica. Le imprese eco-investitrici sono infatti più dinamiche sui mercati esteri rispetto a quelle che non investono (i135 per cento delle prime prevedono un aumento nelle esportazioni contro un +26 di quelle che non hanno investito) percentualmente aumentano di più il fatturato (49 a 39) e le assunzioni (23 a 16). Sotto il profilo dell’occupazione, alla fine del 2021 gli occupati in green jobs rappresentavano il 13,7 per cento degli occupati totali, 3.096mila unità. Nel 2022 si stima che le attivazioni di contratti green siano state superiori a 1.600mila unità pari al 34,5 per cento della totalità dei contratti (+443mila unità in più, con una crescita del 38,3 per cento). Certificazione di spirito sostenibile Sono dati spesso sottovalutati che ci fanno capire alcune radici della forza e dei primati del Made in Italy. L’Italia si conferma ad esempio leader sul fronte del recupero di materia, un campo in cui (povera di materie prime) da tempo primeggia utilizzando quella grande fonte di energia rinnovabile e non inquinante che è l’intelligenza umana. Lo certifica l’ultima rilevazione dell’Eurostat in cui si evidenzia un ulteriore rafforzamento della capacità nell’avvio a riciclo dei rifiuti totali raggiungendo il record dell’83 per cento (2020) un tasso ben superiore alle altre grandi economie europee, Germania (69), Francia (64) e Spagna (65) e alla media Ue (53,8). Un risultato che determina una riduzione annuale delle emissioni pari a 23 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio e a 63 milioni di tonnellate equivalenti di CO2. Anche la filiera dell’arredo-casa, uno dei punti di forza del nostro export, è attiva sul terreno della sostenibilità: il 95 per cento del legno viene riciclato per produrre pannelli per l’arredo, mentre il 67 delle imprese utilizza materie prime seconde e 1’8i legno prodotto in modo sostenibile e di recente” i è dotata di un piano per accelerare la transizione ecologica. Siamo capaci di individuare i nostri limiti, senza affrontarli, ma non di valorizzare i nostri punti di forza. Anche in terreni difficili. Penso a due acciaierie (socie di Symbola). Feralpi già prima dell’ultima crisi ha investito 120 milioni di euro per produrre energia col fotovoltaico, oggi molto meno costoso. O Arvedi, la più grande acciaieria italiana, già forte per la sua spinta all’innovazione e il rapporto con comunità e territorio sancito anche dal sostegno del museo del violino di Cremona, che sta per diventare la prima acciaieria al mondo a zero emissioni nette di CO2. Pensate se fosse accaduto in Francia o in Germania. Ma sono tanti i settori in cui possiamo portare esperienze utili e vincenti: dalla chimica verde all’agricoltura di qualità legata al territorio, dalla meccatronica all’aerospazio. Sono storie che ci raccontano di un’Italia che, seppur messa a dura prova dalle crisi, riesce a competere puntando su sostenibilità, coesione e bellezza, ma ci dicono anche, come ricorda il Manifesto di Assisi, che non c’è nulla di sbagliato in Italia che non possa essere corretto con quanto di giusto c’è in Italia. Avremmo bisogno anche noi di un bambino nato a Bisacquino, un piccolo paese in provincia di Palermo, che fu costretto ad emigrare in America in cerca di fortuna e che seppe raccontare l’America come nessun altro: quel bambino divenne Frank Capra e sapeva che per vincere nella tempesta non bisogna essere dilettanti del bla bla, ma professionisti del futuro e della speranza.