La crisi Covid è l’occasione per affrontare nodi che da troppo tempo bloccano la crescita italiana e rilanciare una politica industriale più sostenibile e competitiva. Perché queste affermazioni, da tutti condivise, abbiano ricadute concrete, ci debbono essere precise scelte di policy. Tra queste vi è lo sviluppo delle filiere produttive creative, quell’insieme di settori che in altri ordinamenti si chiamano “Industrie creative” e che vanno dall’audiovisivo alla musica, dalla comunicazione all’editoria, dal design alla pubblicità, dall’architettura ai videogiochi, dalla moda al teatro. Settori che, tranne qualche eccezione, sono stati colpiti dalle misure di contenimento degli ultimi mesi: a partire dall’annullamento del più grande evento del design, il Salone del Mobile, e di tutte le manifestazioni e gli eventi live. E che per le loro fragilità strutturali dalla difficoltà di accesso al credito per la dimensione limitata delle imprese all’insufficiente managerializzazione rischiano di essere penalizzati in questo passaggio. Proprio per sostenere e rilanciare questo comparto è necessario un deciso intervento pubblico. In Italia più che altrove. Per molte ragioni. Per la ricchezza diretta prodotta secondo le stime 95,8 mld di Euro, il 6,1% del Pil, grazie al lavoro di 1,5 milioni di addetti. Ma, soprattutto, per la ricchezza attivata indirettamente. Pensiamo a quanto la creatività pesi sul brand Italia e influisca sul valore del Made in Italy, alla rilevanza del turismo culturale, che vale circa il 39% della spesa turistica italiana. E, in prospettiva, al potenziale legato all’integrazione tra industrie manifatturiere, filiere creative e tecnologie digitali. Così un recente studio di Symbola e Deloitte conferma la correlazione positiva tra investimenti in design e una crescita di fatturato ed export stimata attorno allo-15%; il “fusion effect” studiato dal think tankNesta descrive la maggiore competitività delle imprese che portano insieme tecnologia e creatività. Ci sono già stati interventi che segnalano una maggiore comprensione di questo “valore industriale” e della sua importanza per il nostro tessuto di impresa.