Realizzato in collaborazione con Antonio Taormina – Università di Bologna.
Questo contributo fa parte della rubrica #iosonocultura, parte del Decimo rapporto IO SONO CULTURA realizzato da Fondazione Symbola, Unioncamere e Regione Marche in collaborazione con l’Istituto per il Credito Sportivo.
Nel decennio conclusosi nel 2019 Io sono cultura ha dedicato particolare attenzione, nell’affrontare le performing arts, alle dinamiche istituzionali, all’evoluzione delle forme di gestione, alle innovazioni nella relazione tra offerta e domanda.
A tale arco temporale, che ha visto le ricadute della crisi economica globale avviata nel 2008 e rilevanti cambiamenti sul versante normativo, ha fatto seguito un accadimento imprevisto e imprevedibile, la pandemia Covid-19, che ha comportato per il settore il blocco totale delle attività.
Superati i primi anni dello scorso decennio, segnati dagli impatti della crisi scoppiata del 2008 – dal calo dei finanziamenti pubblici alla contrazione dei consumi – il settore è stato interessato, sul versante legislativo, da provvedimenti che ne hanno in buona parte ridisegnato le geografie. Ci riferiamo in particolare al decreto ministeriale del 2014 “Nuovi criteri” e al quasi omologo decreto del 2017[1], anno in cui è stata altresì approvata la nuova legge sullo spettacolo a firma del ministro Dario Franceschini, conosciuta come “Codice dello spettacolo”[2]. Una legge attesa da molti anni, per molti versi innovativa, che attraverso successivi decreti legislativi avrebbe dovuto avviare il riordino delle fondazioni lirico-sinfoniche e degli altri ambiti dello spettacolo dal vivo. Usiamo il condizionale poiché, anche a causa di un cambio di governo di poco successivo alla pubblicazione della legge, quei decreti non sono stati emanati. A tale proposito, va rilevato che nell’ultimo decennio si sono succedute tre legislature e ben sei ministri della cultura; il ministro attualmente in carica, Dario Franceschini, è al suo secondo mandato.
Alla fine del 2019, lo spettacolo dal vivo italiano, dopo l’alternarsi di fasi alterne, era dunque alla ricerca di un assestamento, ma il diffondersi della pandemia Covid-19 all’inizio del 2020 e il rapido susseguirsi degli eventi hanno portato nel mese di marzo alla chiusura di tutte le sale di spettacolo e di fatto alla cessazione delle attività di palcoscenico. Gli equilibri (pur complessi) preesistenti, sono venuti meno: il settore si è trovato repentinamente ad affrontare una situazione inedita, paragonabile, a quanto è dato sapere (fatte le dedite proporzioni), a quella ereditata dall’ultimo dopoguerra.
L’enfatico imperativo “The show must go on”, tuttora riecheggiante nel mondo dello spettacolo, partiva dall’assunto di una convenzione: i performer, che avevano il “dovere” di garantire l’esecuzione dello spettacolo e il pubblico che aveva il “diritto” di fruirne, e tutto questo a prescindere dalle sorti e dalle vicissitudini dei singoli. Si partiva dal presupposto che il perpetuarsi e il futuro dello spettacolo fossero scontati e inappellabili. Di fronte alla realtà di questa pandemia, di fatto imprevedibile (tralasciamo le opinioni contrastanti in materia), il citato motto ha perso ogni fondatezza.
A seguito delle disposizioni che hanno vietato lo svolgimento delle attività, gli organi di rappresentanza delle imprese e dei lavoratori, ma anche coordinamenti costituiti ad hoc, espressione di singoli settori professionali, e istituti di ricerca hanno fornito prime stime e valutazioni sulle conseguenti ricadute economiche e occupazionali. Tra i principali danni subiti vanno annoverati i mancati incassi da biglietti e abbonamenti, con inevitabili conseguenze dal punto di visto finanziario per l’assenza di liquidità delle imprese, l’annullamento di tournée in Italia e all’estero, sino alla cancellazione di produzioni già programmate o, addirittura, in fase di allestimento. I professionisti maggiormente colpiti sono gli artisti e le maestranze tecniche i cui rapporti di lavoro sono regolati da contratti prevalentemente a termine, così come le altre figure legate all’esecuzione dello spettacolo, si pensi agli autori teatrali o ai compositori che percepiscono proventi dei diritti d’autore derivanti dall’esecuzione delle loro opere.
A conclusione dell’emergenza (la cui onda lunga non si può ancora demarcare), i danni saranno verosimilmente di ampia portata e di fatto non potranno essere calcolati se non per difetto; stiamo parlando di una filiera complessa il cui indotto abbraccia molti altri comparti, dal turismo ai trasporti, sino alla formazione. Ma trattiamo anche di una componente fondamentale per la vita del Paese, in termini di benessere delle persone, di valori identitari, di coesione sociale, dunque di impatti non quantificabili, così come non lo sono gli effetti legati alla mancata acquisizione di strumenti critici e cognitivi.
Per contenere le ricadute economiche dell’emergenza Covid-19 sul mondo dello spettacolo, il Governo italiano ha approntato ammortizzatori sociali e adottato diversi provvedimenti a favore delle imprese.
Tra le misure più rilevanti, emerge l’introduzione di un bonus di 600 Euro a favore dei lavoratori iscritti al Fondo pensioni Lavoratori dello spettacolo non titolari di rapporti di lavoro alla data dell’entrata in vigore del decreto Cura Italia[3]; il provvedimento, dapprima limitato al mese di marzo, è stato esteso ai mesi di aprile e maggio a seguito del successivo decreto Rilancio[4]. È stato altresì istituito un fondo emergenza spettacolo, cinema e audiovisivo di complessivi 245 ml di Euro (che potrà essere incrementato di altri 50 ml di Euro per il 2021), di cui 20 ml di Euro a sostegno delle organizzazioni che operano nel settore non ammesse a finanziamenti tramite il FUS Fondo Unico dello Spettacolo. Ulteriori misure straordinarie sono state poi previste in merito all’utilizzo e alla rendicontazione dei contributi del FUS, assegnati, per quanto concerne le Fondazioni Lirico –Sinfoniche e gli altri comparti dello spettacolo dal vivo.
Altre disposizioni, che sarebbe qui lungo elencare, sono stati previste dagli enti territoriali. Complessivamente, oltre a dare ristoro ai diversi soggetti del sistema, si tende ad arginare il rischio di chiusura delle imprese (che ovviamente non riguarda solo questo campo dell’economia). Aggiungiamo che il settore è in massima parte costituito da imprese di piccole e medie dimensioni e che per molte di esse la figura del proprietario di fatto coincide con quella del dipendente, con tutto quanto ne consegue.
Assumono centralità, in questo frangente, i temi legati della domanda, laddove la disponibilità alla partecipazione effettiva, stante la ricaduta psicologica dell’emergenza – un fenomeno evidenziato dalla stessa OMS Organizzazione Mondiale della Sanità – ma anche le modalità di fruizione adottate dopo il lockdown (seppure temporanee) e la minore capacità di spesa delle famiglie, porteranno plausibilmente ad un calo degli spettatori[5]. Lo spettacolo dal vivo assume nella sua stessa definizione una consistenza semantica che non ammetterebbe deroghe, la partecipazione ad uno spettacolo in un luogo deputato e la relazione tra l’interprete e il pubblico contrastano in maniera evidente con lo stile di vita dettato dall’emergenza iniziale e dalla fase successiva. Non di meno, per consentire ai cittadini di continuare ad usufruire di questo servizio e per mantenere la relazione con il pubblico, a livello internazionale, così come in Italia, molte istituzioni culturali hanno dato vita a vere e proprie programmazioni in streaming – ad accesso gratuito – talvolta proponendo opere registrate, talvolta esecuzioni ad hoc avvalendosi delle tecnologie più avanzate, dal Metropolitan Opera House di New York, al National Theatre di Londra, ai Berliner Philharmoniker. Numerose sono state le iniziative proposte nel nostro Paese riconducibili alle attività citate, in molti casi arricchite da prove aperte, letture, seminari, incontri, dando vita a innovative buone pratiche.
Citiamo, tra le tante proposte, i video creati ad hoc dalla Fondazione Teatro della Toscana presenti sul canale Youtube dedicato Firenze TV (interpretati da artisti come Stefano Accorsi, Pierfrancesco Favino, Gabriele Lavia, Glauco Mauri), il “cartellone digitale” del Teatro Stabile del Veneto denominato Una poltrona sul sofà, il progetto ERTonAIR di Emilia-Romagna Teatro Fondazione “non un palcoscenico, né un archivio di video teatrali, ma un piccolo spazio di sconfinamento virtuale, di libertà e di interazione on line”. Ma anche l’iniziativa 100 Racconti in tempo di peste di Sergio Maifredi e Corrado D’Elia con il Teatro Pubblico Ligure, che quotidianamente ha proposto online narrazioni e interventi di personaggi di primo piano del teatro e della cultura. E ancora, il concorso di scrittura teatrale, aperto a professionisti e non, Prove generali di solitudine, proposto dalla compagnia Carrozzeria Orfeo con il sostegno della Fondazione Cariplo e importanti istituzioni teatrali. Tentativo riuscito della “videocreazione coreografica in quarantena” 1 meter CLOSER della Fondazione Nazionale della Danza – Aterballetto, di portare fuori dal teatro la performance realizzando uno spettacolo pensato per la fruizione da remoto. Senza mai incontrarsi (eccetto le coppie conviventi), i danzatori hanno dato vita a una coreografia che ha debuttato su Rai5 lo scorso 29 aprile, Giornata Internazionale della Danza. La Lirica è stata altresì ampiamente rappresentata dalle stagioni online programmate dalle principali Fondazioni Lirico-Sinfoniche, a partire dai 30 spettacoli del Teatro alla Scala proposti su RaiPlay e Rai5. Un capitolo a parte lo meritano i Festival estivi alle prese con le norme di sicurezza sociale dettate dalle diverse istituzioni. È comunque condivisa da artisti e organizzazioni la volontà di dare continuità ai progetti, adattando gli spazi alle nuove esigenze, alternando proposte online e palcoscenico, taluni procrastinando le date canoniche. Non mancheranno dunque all’appuntamento, tra gli altri, il Festival di Spoleto, Ravenna Festival, Il Festival di Santarcangelo, Napoli Teatro Festival.
L’epidemia, nella sua drammaticità, ha messo in luce la determinazione e la perseveranza di coloro che lavorano nel mondo dello spettacolo dal vivo, il loro senso di appartenenza che spesso va ben oltre la scelta di svolgere una professione.
Le nuove soluzioni adottate – peraltro condivise a livello internazionale – hanno da subito ampliato il dibattito, sino ad ora relegato ad un ambito relativamente circoscritto di studiosi e operatori, sulle interrelazioni tra il mondo digitale e il palcoscenico.
E se c’è chi vede nello streaming un mezzo per rimarcare il ruolo della cultura, altri paventano la visione di un futuro virtuale che andrà gradualmente a sostituire lo spettacolo dal vivo come oggi lo intendiamo, un futuro votato (almeno in parte) alle ibridazioni dei linguaggi, non escludendo la definizione di nuove estetiche. Una prospettiva secondo taluni in linea con il progetto di dare vita ad una “Netflix della cultura” annunciato dal Ministro Franceschini, il quale sostiene viceversa che la funzione della nascente piattaforma sarà di supporto all’attuale sistema della domanda e dell’offerta.
L’emergenza ha accelerato processi importanti. Si pensi all’acquisizione di competenze digitali legate all’adozione dello smart working, che per alcune attività potrebbe trasformarsi in prassi, e all’utilizzo diffuso di social media e piattaforme, attuabile anche in passato ma scarsamente praticato, che ha facilitato modalità di incontro e relazione tra le diverse componenti del sistema.
Ma l’accelerazione riguarda anche l’esigenza (da più parti espressa) di rivedere l’impianto normativo. Da una parte si afferma la volontà di riprendere e portare a compimento, con gli opportuni correttivi, percorsi di riforma già avviati (primo tra questi il già citato “Codice dello spettacolo”), dall’altra (ispirandosi anche a sistemi in vigore in altri paesi europei) si ipotizzano nuovi modelli di riferimento. Emerge la volontà comune di attivare processi innovativi nelle modalità di progettazione, tenendo conto che lo scenario è mutato in conseguenza del Coronavirus e che il 2020 rappresenterà d’ora in poi uno spartiacque. Anche per le performing arts nulla sarà più come prima.
[1] Ci si riferisce al decreto ministeriale 1 luglio 2014 “Nuovi criteri e modalità per l’erogazione, l’anticipazione e la liquidazione dei contributi allo spettacolo dal vivo, a valere sul Fondo unico per lo Spettacolo di cui alla Legge 30 aprile 1985, n.163”. Il successivo omologo è il decreto ministeriale 27 luglio 2017; apporta alcune variazioni al precedente, una delle più rilevanti riguarda le modalità di valutazione.
[2] Legge 22 novembre 2017 “Disposizioni in materia di spettacolo e deleghe al Governo per il riordino della materia”; dispone la redazione del Codice dello Spettacolo, inteso come testo normativo unico.
[3] Il personale dipendente, secondo gli ultimi dati disponibili sul settore, riferiti al 2018, elaborati da Fondazione Symbola e Unioncamere, corrispondeva al 43,5% del totale.
[4] Per avere un quadro complessivo degli interventi statali si vedano il decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, recante “Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19”, convertito, con modificazioni, dalla Legge 24 aprile 2020, n. 27 (Decreto Cura Italia); il decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19, recante “Misure urgenti per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da COVID-19” convertito con modificazioni dalla L. 22 maggio 2020, n. 35 ; il decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34 “Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all’economia, nonché di politiche sociali connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19” (Decreto Rilancio)
[5] Sulla ritorno alla partecipazione culturale è stata realizzata l’interessante ricerca di Agostino Riitano “La cultura dove ci porterà?”.