Realizzato in collaborazione con Marco Frey. Presidente del Comitato scientifico di Symbola. Professore ordinario di Economia e gestione delle imprese, direttore del gruppo di ricerca sulla sostenibilità (SuM) della Scuola Universitaria Superiore Sant’Anna di Pisa; docente allo IUSS di Pavia e all’Università Cattolica di Milano; presidente della Fondazione Global Compact Italia.
Questo contributo fa parte del decimo rapporto GreenItaly, realizzato da Fondazione Symbola e Unioncamere, in collaborazione con CONAI, Novamont e Ecopneus.
Il quadro globale e l’Agenda 2030
É ormai trascorso un terzo del quindicennio che – da quel 25 settembre 2015 in cui le Nazioni Unite hanno approvato l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile – ci conduce al 2030, e non si può che evidenziare la lunga distanza ancora da percorrere nei confronti del 17 obiettivi di sviluppo sostenibile (SDGs). il Rapporto ONU sulla sostenibilità del 2019 [2] ha evidenziato che, nonostante i progressi conseguiti in molteplici aree, vi è oggi la necessità di azioni e politiche più rapide e ambiziose per realizzare la trasformazione economica e sociale necessaria al raggiungimento degli SDGs.
A richiedere interventi più urgenti sono soprattutto la lotta contro il cambiamento climatico e alle disuguaglianze: nel primo caso, gli effetti catastrofici e irreversibili che si verificheranno – e in parte già si manifestano – in assenza di una riduzione delle emissioni di gas serra renderanno inabitabili molte parti del mondo, colpendo in particolar modo i Paesi e le persone più vulnerabili; d’altra parte, le diseguaglianze, la povertà, la fame e le malattie sono in crescita in numerosi Paesi.
A tal fine, il Rapporto evidenzia alcune linee strategiche che possono determinare progressi significativi, quali, ad esempio, lo sviluppo della finanza sostenibile, l’ammodernamento delle istituzioni, un’efficace cooperazione internazionale nella prospettiva multilaterale, un miglior uso dei dati statistici e la valorizzazione della scienza, della tecnologia e dell’innovazione, con una maggior attenzione alla trasformazione digitale.
Più recentemente nella relazione “Progress towards the Sustainable Development Goals” [3] il segretario generale dell’ONU Guterres ha ribadito l’urgenza di aumentare drasticamente il ritmo e la portata degli sforzi da compiere nel prossimo decennio per realizzare gli SDGs.
Se fino al 2019 i Goal 1 (sconfiggere la povertà), 3 (salute e benessere), 7 (energia pulita e accessibile) hanno fatto registrare progressi importanti, molti Goal non hanno evidenziato miglioramenti e alcuni hanno persino invertito la rotta: cresce il numero di persone che soffrono la fame (Goal 2); il cambiamento climatico si sta verificando con ritmi più veloci del previsto (Goal 13) e crescono le disuguaglianze all’interno dei Paesi (Goal 10).
Desta poi particolare preoccupazione l’impatto della pandemia da Covid-19. Pur iniziando come una emergenza sanitaria, quella scatenata dal coronavirus è diventata la peggiore crisi sociale ed economica dal dopoguerra in poi.
In occasione della presentazione del Rapporto 2020 sullo Human Development Achim Steiner, Direttore dell’UNDP ha dichiarato che “la distruzione ha assunto proporzioni su scala mondiale e in modo sincronizzato senza precedenti tanto da dovere aggiornare l’indice di sviluppo umano che per la prima volta da 30 anni sta regredendo, Dobbiamo ripensare ai nostri modelli economici e sociali. Ogni crisi porta con sé una opportunità che i leader globali devono cogliere”. L’indice di sviluppo umano, che è un indicatore composito costituito da variabili economiche (come il PIL procapite) e sociali (quali il livello educativo e della salute) non era decresciuto a livello globale neanche negli anni della crisi finanziaria del 2008. Nel 2020 è viceversa prevista una decrescita consistente per l’azione congiunta di tutti i parametri che lo compongono.
Tornando all’Agenda 2030, gli obiettivi più a carattere economico: l’8, il 9, l’11 e il 12, hanno subito una battuta di arresto, dopo che nei Paesi occidentali avevano visto una fase di graduale miglioramento.
Gli obiettivi più ambientali presentano dati altalenanti. Il Goal 14 (vita sott’acqua), nonostante il raddoppio delle aree marine protette rispetto al 2010, registra un aumento dell’acidità degli oceani del 10-30% rispetto al periodo 2015-2019. La percentuale di aree forestali (SDG 15) è scesa dal 31,9% della superficie totale nel 2000 al 31,2% nel 2020, con una perdita netta di quasi 100 milioni di ettari di foreste. Le aree protette non sono concentrate in contesti fondamentali per la biodiversità e le specie rimangono minacciate di estinzione. Infine il Goal 16 evidenzia che milioni di persone sono state private della loro sicurezza, dei diritti umani e dall’accesso alla giustizia. Nel 2018, il numero di persone in fuga da guerre, persecuzioni e conflitti ha superato i 70 milioni, il livello più alto registrato dall’UNHCR in quasi 70 anni. A ciò si è aggiunta la pandemia da Covid-19, che può portare ad un aumento dei disordini sociali che minerebbe la capacità di raggiungere i target fissati.
Il quadro mondiale si presenta quindi come particolarmente critico e sino alla fine della pandemia non sarà facile comprendere quali saranno i tempi e le condizioni per recuperare il terremo perso nel perseguimento degli obiettivi dell’Agenda 2030, che continua a rappresentare a livello globale il riferimento principale per orientare la ripartenza in modo sostenibile, valorizzando gli ambiti essenziale per la transizione verso uno sviluppo economico e sociale più resiliente, inclusivo e in armonia con la natura.
Le rilevanti ricadute socio-economiche della crisi in corso hanno fatto sì che i principali sforzi dei diversi Paesi si siano concentrati sull’emergenza occupazione e sociale, spesso trascurando gli investimenti più di lungo periodo in una prospettiva green.
L’Unione Europea (UE), grazie anche alla spinta della nuova presidenza costituisce un esempio di maggiore lungimiranza ed è stata capace negli ultimi mesi di mantenere una forte coerenza con le linee strategiche definite con il Green Deal alla fine del 2019. Sono numerosi e significativi i documenti strategici e di pianificazioni realizzati o in programma nel prossimo biennio che articolano questa visione strategica e che descriveremo sinteticamente nelle prossime pagine.
La nostra convinzione infatti è che l’UE stia in questo momento provando a fare un importante salto di qualità nella transizione verso la sostenibilità, facendo leva sull’eccezionale sforzo di investimento che la ripresa post-pandemica richiede. Questa transizione si articola in diverse dimensioni che vedono il pilastro ambientale della sostenibilità al centro delle interazioni con l’economia e con il pilastro sociale: la transizione verso la decarbonizzazione (SDG13 dell’Agenda 2030), verso l’economia circolare (SDG12), la transizione alimentare (SDG2), quella verso un diverso rapporto con la natura ed ecosistemi più resilienti (SDG 14 e 15), verso un sistema economico, produttivo ed abitativo ad inquinamento zero (SDG8 e SDG 11), la transizione energetica e infrastrutturale orientata alla rinnovabilità e sostenibilità (SDG7 e SDG 9). Tutto ciò con le connesse ricadute sociali ed economiche che coinvolgono tutti gli altri obiettivi dell’Agenda 2030.
L’Europa al centro delle politiche Green
L’Europa ha iniziato il 2019 con uno degli ultimi atti della Presidenza Junker che ha presentato il 30 gennaio il documento “Verso un’Europa sostenibile entro il 2030”, in cui si misura proprio con l’Agenda 2030.
In tal documento si evidenzia come gli SDGs grazie alla loro universalità hanno la potenzialità di risolvere le spinte sociali disgregative sia all’interno che all’esterno dell’Unione e inducono “a lavorare in un’ottica internazionale, incitando i paesi, l’industria e le persone a unirsi in questa missione”. La capacità di visione sistemica crea le condizioni per costruire la convergenza delle politiche sociali, ambientali ed economiche, in quanto “La crescita ‘verde’ avvantaggia tutti, i produttori come i consumatori”.
E ciò si deve realizzare nel quadro della coerenza delle politiche interne ed esterne. “Dobbiamo fare in modo di non esportare la nostra impronta ecologica o creare povertà, disuguaglianze e instabilità in altre parti del mondo. In quanto europei siamo del tutto consapevoli che gli impatti negativi che si manifestano altrove avranno a loro volta un effetto boomerang per la nostra economia e la nostra società”. A ciò seguiva la considerazione che una leadership europea nella transizione verso un’economia verde e inclusiva, dando un forte impulso alla definizione di regole internazionali è necessaria per conseguire un forte vantaggio competitivo sul mercato globale.
Fin qui le dichiarazioni di principio, è poi spettato alla nuova presidente della Commissione Europea (CE), Ursula Von del Leyen, dare un reale impulso strategico a questi orientamenti generali, segnando l’inizio del suo mandato con la presentazione l’11 dicembre del Green New Deal.
Al momento della presentazione le sue dichiarazioni furono: “Il Green Deal europeo è la nostra nuova strategia di crescita, per restituire più di quanto togliamo, trasformando il nostro modo di vivere e lavorare, di produrre e consumare… Tutti possiamo essere coinvolti nella transizione e tutti possiamo trarre vantaggio dalle opportunità. Aiuteremo la nostra economia a essere un leader globale muovendoci per primi e velocemente.
Siamo determinati ad avere successo per il bene di questo pianeta e della vita su di esso – per il patrimonio naturale dell’Europa, per la biodiversità, per le nostre foreste e per i nostri mari. Mostrando al resto del mondo come essere sostenibili e competitivi, possiamo convincere altri paesi muoversi con noi”.
Con il Green Deal infatti la Ce si propone di posizionare l’UE come leader mondiale, anche attraverso un Patto per il Clima che sarà presentato nel corso del 2020, e si articola in 8 obiettivi, il primo dei quali riguarda ancora una volta il clima. Questi obiettivi li approfondiremo successivamente uno per uno, salvo quelli più connessi all’energia che considereremo congiuntamente, in quanto verranno sviluppati nel capitolo successivo.
Gli obiettivi sono supportati da cinque misure trasversali:
- Perseguire i finanziamenti e gli investimenti verdi, garantendo una transizione giusta, con un piano di investimenti per un’Europa sostenibile che comprenda:
- un meccanismo e un Fondo per una transizione giusta, concentrato sulle regioni e sui settori più dipendenti dalle fontifossili;
- una strategia rinnovata in materia di finanza sostenibile per indirizzare i flussi finanziari e di capitale privato verso gli investimenti verdi ed evitare gli attivi non recuperabili. E trasformando la BEI nella nuova banca dell’UE per il clima, prevedendo che il 50% delle sue operazioni siano dedicate all’azione per il clima entro il 2025;
- “Inverdire” i bilanci nazionali e inviare i giusti segnali di prezzo, riorientando gli investimenti pubblici, i consumi e la tassazione verso le priorità verdi, abbandonando le sovvenzioni dannose, definendo con gli stati membri riforme fiscali ben concepite che possano stimolare la crescita economica, migliorare la resilienza agli shock climatici, contribuire a una società più equa e sostenere una transizione giusta;
- Stimolare la ricerca e l’innovazione attraverso Horizon Europe e altre azioni sinergiche a livello europeo e degli Stati membri, coinvolgendo un’ampia gamma di portatori d’interessi tra cui regioni, cittadini, imprese, chiamando in causa tutti i settori e le discipline in un impegno di sistema;
- Fare leva sull’istruzione e la formazione, definendo un quadro europeo delle competenze che aiuti a coltivare conoscenze, abilità e attitudini connesse ai cambiamenti climatici e allo sviluppo sostenibile, utilizzando e aggiornando strumenti quali il Fondo sociale europeo Plus, l’agenda per le competenze e la garanzia per i giovani;
- valutare preventivamente gl’impatti ambientali, utilizzando gli strumenti di cui la Commissione dispone per legiferare meglio basandosi sulle consultazioni pubbliche, sulle previsioni degli effetti ambientali, sociali ed economici, includendo nelle relazioni che accompagnano tutte le proposte legislative e gli atti delegati una sezione specifica che illustra come viene garantito il rispetto di tale principio.
Il 14 gennaio 2020 è stato quindi presentato il Piano di investimenti connesso al Green Deal, finalizzato oltre che alla messa in campo diretta di risorse comunitarie, nella creazione di un quadro favorevole per facilitare gli investimenti pubblici e privati necessari per la transizione verso un’economia climaticamente neutrale, verde, competitiva e inclusiva. Il Piano si basa su tre dimensioni:
- Finanziamento: mobilitare almeno 1.000 miliardi di euro di investimenti sostenibili nel prossimo decennio, attribuendo un ruolo chiave alla Banca Europea per gli Investimenti che aumenterà la quota che riservata ai progetti sostenibili dal 25 al 50%. Nel complesso la CE ha previsto di destinare circa un quarto del nuovo budget pluriennale a progetti sostenibili.
- Abilitazione: fornire incentivi per sbloccare e reindirizzare gli investimenti pubblici e privati, mettendo la finanza sostenibile al centro del sistema finanziario e facilitando gli investimenti sostenibili da parte delle autorità pubbliche.
- Supporto: la Commissione fornirà supporto alle autorità pubbliche e ai promotori di progetti nella pianificazione, ideazione e realizzazione di progetti sostenibili.
Al tempo stesso è stato messo in campo il meccanismo per una transizione giusta (JTM), uno strumento chiave per garantire che la transizione verso la decarbonizzazione avvenga in modo equo, senza lasciare indietro nessuno. Il meccanismo fornisce un sostegno mirato per aiutare a mobilitare almeno 100 miliardi di euro nel periodo 2021- 2027 per alleviare l’impatto socioeconomico della transizione, aiutando i lavoratori e le comunità che dipendono dalla catena del valore dei combustibili fossili.
Successivamente poi si è avuta la crisi pandemica a livello internazionale che ha condizionato tutte le scelte di policy. In Europa fortunatamente il forte orientamento strategico definito con il Green Deal ha di fatto indirizzato le scelte di allocazione e condizionerà le modalità di erogazione degli ingenti fondi per la ripartenza.
Il 27 maggio con la Comunicazione “Il bilancio dell’UE come motore del piano per la ripresa europea” (COM(2020), 442 final), la CE, rispondendo alle necessità straordinarie di finanziare la ripresa economica dei paesi membri dell’UE colpiti dalla crisi del Covid-19, ha proposto l’introduzione di uno strumento europeo di emergenza per la ripresa (“Next Generation EU”) del valore di 750 miliardi di EURO, in aggiunta a un quadro finanziario pluriennale (QFP) rinforzato per il periodo 2021-2027 di 1100 miliardi di euro. La novità del fondo Next Generation EU è la possibilità per gli stati di poter beneficiare di un meccanismo di finanziamento temporaneo che consente un aumento ingente e tempestivo della spesa senza accrescere i debiti nazionali. Per la prima volta l’UE diventa il garante dell’indebitamento dei Paesi membri, riuscendo così a contenere in misura significativa anche il costo dell’indebitamento.
All’interno della crisi più grave che abbia interessato l’economia globale ed europea negli ultimi settantacinque anni, si tratta quindi di una grande opportunità per accelerare la transizione verso un’economia più green e circolare.
Veniamo ora ad analizzare come il Green Deal (e la connessa Next Generation UE) si articola nelle politiche sulle dimensioni chiave della green economy.
Partiremo dalle politiche prioritarie che caratterizzano il Green Deal Europeo, ovvero la la lotta al cambiamento climatico e l’economia circolare, per poi analizzare le politiche sul sistema alimentare, sulla biodiversità, sull’inquinamento, con un cenno finale su quelle inerenti l’energia e i trasporti che saranno analizzate nel prossimo capitolo.
La sfida per l’Europa, chiara anche prima dell’emergenza sanitaria e incarnata nella nuova presidenza, è quella di riuscire a esercitare un maggior ruolo internazionale all’egida della transizione alla green, circular e decarbonised economy, ricostruendo il senso della coesione degli Stati membri, dopo gli effetti della Brexit e dei neonazionalismi.
Il cambiamento climatico
Il 2019 è stato il secondo anno più caldo in assoluto e la fine del decennio più caldo, dal 2010 al 2019. Con una temperatura media globale di 1,1°C al di sopra dei livelli preindustriali la sfida globale del clima si presenta particolarmente urgente.
Al fine marzo 2020 sono 185 i Paesi più l’Unione Europea che hanno comunicato il loro primo Contributo Nazionale Volontario alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici. Il quadro degli impegni non è inadeguato per raggiungere gli obiettivi di 1,5 o 2°C previsti dall’accordo di Parigi e pertanto i Paesi sono stati invitati ad aggiornare i contributi a livello nazionale o a comunicarne di nuovi entro il 2020, aumentando il loro livello di ambizione nell’azione per il clima.
Anche se le emissioni di gas serra dovrebbero diminuire del 6% nel 2020 (in Italia la riduzione è del 7.5% rispetto al 2019 secondo le stime Ispra) e la qualità dell’aria è migliorata a causa del divieto di viaggiare e del rallentamento economico dovuto alla pandemia, il miglioramento è solo temporaneo e la crisi può compromettere alcuni degli impegni ed investimenti previsti. Viceversa i governi dovrebbero utilizzare le lezioni apprese per accelerare le transizioni necessarie per raggiungere l’accordo di Parigi, ridefinire il rapporto con l’ambiente ed effettuare cambiamenti sistemici per ridurre le emissioni di gas serra. L’Europa è in prima linea in questa sfida.
Tra il 1990 e il 2018 l’UE ha ridotto del 23 % le emissioni di gas a effetto serra, mentre l’economia è cresciuta del 61 %. Tuttavia, mantenendo le attuali politiche, la riduzione delle emissioni di gas a effetto serra sarà limitata al 60% entro il 2050: per Bruxelles occorre fare di più.
Con il Regolamento europeo sul clima del 4 marzo 2020, propedeutico al preannunciato Patto per il Clima, la CE ha proposto un obiettivo giuridicamente vincolante di azzeramento delle emissioni nette di gas a effetto serra entro il 2050 (già indicato nella risoluzione del Parlamento Europeo del 14 marzo 2019), assumendo il compito di esaminare la legislazione dell’Unione e le politiche vigenti per valutarne la coerenza rispetto all’obiettivo della neutralità climatica e alla traiettoria stabilita. Ciò coinvolge i Piani nazionali per l’energia e il clima degli Stati membri (la cui valutazione è prevista all’art.6 del Regolamento), le relazioni periodiche dell’Agenzia europea dell’ambiente e i più recenti dati scientifici sui cambiamenti climatici e i relativi impatti.
Entro il 2020 [4] la Commissione dovrebbe presentare il Piano corredato di una valutazione d’impatto per aumentare l’obiettivo dell’UE di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra per il 2030, portandolo almeno al 50%-55% rispetto ai livelli del 1990 (oggi l’obiettivo è al 40%).
Tra le varie misure da mettere in campo vi è anche la revisione della direttiva sulla tassazione dell’energia, introducendo un meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere (border carbon tax). Ciò è necessario finchè l’impegno dei diversi Paesi rispetto all’accordo di Parigi non sarà più equilibrato.
Sull’adattamento, cruciale date le conseguenze già evidenti del cambiamento climatico, il regolamento prevede (art.4) che gli Stati membri elaborino e attuino strategie e piani di adattamento che includono quadri completi di gestione dei rischi, fondati su basi di riferimento rigorose in materia di clima e di vulnerabilità e sulle valutazioni dei progressi compiuti.
Anche in questo ambito l’UE vuole confermare il proprio ruolo di apripista, recuperando lo spirito della COP di Parigi, purtroppo un po’ perso nelle COP successive.
Anche nell’ultima, tenutasi a dicembre 2019, a Madrid non sono state prese decisioni particolarmente rilevanti o ambiziose, senza trovare un accordo su uno dei temi più delicati, cioè il meccanismo che in futuro dovrebbe permettere ai paesi che inquinano di meno di «cedere» la quota rimanente di gas serra a paesi che inquinano di più.
Nei documenti approvati alla fine della conferenza dalla plenaria vi è l’impegno (anche se non vincolante) a presentare piani per ridurre ulteriormente le proprie emissioni di gas serra per raggiungere gli obiettivi fissati dagli Accordi di Parigi sul clima. L’UE ha spinto in tale direzione, ma a frenare compromessi più ambiziosi sono intervenuti i delegati di paesi come il Brasile e soprattutto gli Stati Uniti, che hanno avviato le procedure per uscire formalmente dagli Accordi di Parigi.
Cruciale per l’impegno globale sul clima sarà pertanto la COP 26 che si terrà a Glasgow a fine 2021, dopo il rinvio di un anno causa Covid-19.
La tassonomia europea per la finanza sostenibile è una pietra miliare nell’agenda verde europea: il primo sistema di classificazione al mondo di attività economiche sostenibili dal punto di vista ambientale, che darà una spinta reale agli investimenti sostenibili.
L’economia circolare e Il nuovo Piano di azione
Per quanto riguarda l’Economia circolare (EC), l’ultimo anno ha visto l’emanazione di diversi provvedimenti comunitari, che sono culminati poi a marzo 2020 con il nuovo Piano di azione.
A marzo 2019, la Commissione europea ha adottato una relazione globale sull’attuazione del piano d’azione per l’economia circolare del 2015 [5].
La relazione indica, grazie alle attività di monitoraggio previste nel Piano, che l’EC sta fornendo un contributo significativo nella creazione di occupazione. Nel 2016 nei settori attinenti all’economia circolare erano impiegati oltre quattro milioni di lavoratori [6] (di cui 510.145 in Italia, saliti a 517.540 nel 2017), il 6% in più rispetto al 2012. Ulteriori posti di lavoro sono destinati a essere creati nei prossimi anni al fine di soddisfare la domanda prevista di materie prime secondarie generata da mercati pienamente funzionanti. La circolarità ha inoltre aperto nuove opportunità commerciali, dato origine a nuovi modelli di impresa e sviluppato nuovi mercati, sia all’interno sia all’esterno dell’UE. Nel 2017 attività circolari come la riparazione, il riutilizzo o il riciclaggio hanno generato quasi 155 miliardi di euro di valore aggiunto, registrando investimenti pari a circa 18,5 miliardi di euro [7]. In Europa il riciclaggio di rifiuti urbani nel periodo 2008-2016 è aumentato e il contributo dei materiali riciclati alla domanda globale di materiali registra un continuo incremento. In media, tuttavia, i materiali riciclati riescono soltanto a soddisfare meno del 12% della domanda di materiali dell’UE. Questo aspetto è ribadito da una recente relazione dei portatori di interessi secondo la quale la piena circolarità si applicherebbe solo al 9% [8] dell’economia mondiale, lasciando ampi margini di miglioramento.
La CE ha messo in campo nell’ultimo quinquennio una serie di azioni nell’ambito della EC, tra cui la prima strategia settoriale ha riguardato la plastica: prevedendo che entro il 2030 tutti gli imballaggi di plastica immessi sul mercato dell’UE siano riutilizzabili o riciclabili; e che, entro il 2025, 10 milioni di tonnellate di plastica riciclata vengano utilizzati per la realizzazione di nuovi prodotti. Sono già state raggiunte alcune tappe verso un riciclaggio della plastica di maggiore qualità. Tra queste rientrano il nuovo obiettivo di riciclaggio per gli imballaggi di plastica, fissato al 55% per il 2030, gli obblighi di raccolta differenziata e i miglioramenti riguardanti i regimi di responsabilità estesa del produttore. Si prevede che questi ultimi agevoleranno la progettazione che mira alla riciclabilità grazie all’eco-modulazione dei contributi dei produttori. Ulteriori passi in avanti sono stati definiti con la direttiva 2019/904/UE sulla riduzione dell’incidenza di determinati prodotti di plastica sull’ambiente (come le plastiche monouso).
La strategia si è poi proposta di allargare a scala globale l’azione della UE. In base alle iniziative messe in campo, in particolare sulla plastica monouso, la leadership dell’UE nelle sedi multilaterali ha giocato un ruolo fondamentale nell’attivare l’interesse internazionale nei confronti dell’agenda sulla plastica, come dimostrato da iniziative quali la piattaforma Global Plastics in collaborazione con l’UNEP e il partenariato internazionale sui rifiuti di plastica nel quadro della convenzione di Basilea.
Nel 2020 La Commissione europea ha, infine, adottato un nuovo piano d’azione per l’economia circolare [10], uno degli elementi cardine del Green Deal europeo.
Il nuovo Piano di azione dell’Unione Europea per l’economia circolare esprime la chiara convinzione che l’estensione dell’economia circolare dai first movers agli operatori economici tradizionali contribuirà in modo significativo al conseguimento della neutralità climatica entro il 2050 e alla dissociazione della crescita economica dall’uso delle risorse, garantendo nel contempo la competitività a lungo termine dell’UE e una ripresa dalla crisi pandemica orientata alla sostenibilità. Il modello di crescita circolare viene chiaramente descritto come rigenerativo e capace di contribuire agli obiettivi di riduzione dell’impronta dei consumi, grazie alla diffusione di prodotti circolari. Esso intende rappresentare un programma orientato al futuro per costruire un’Europa più pulita e competitiva in co- creazione con gli operatori economici, i consumatori, i cittadini e le organizzazioni della società civile, capace di accelerare il profondo cambiamento richiesto dal Green Deal europeo. Il piano d’azione pone un quadro strategico solido e coerente in cui i prodotti, i servizi e i modelli di business sostenibili costituiranno la norma, ciò:
- al fine di trasformare i modelli di consumo in modo da evitare innanzitutto la produzione di rifiuti;
- focalizzandosi sulle catene di valore dei prodotti chiave (il Piano ne individua sette: elettronica e TIC; batterie e veicoli; imballaggi; plastica; prodotti tessili; costruzioni e edilizia; prodotti alimentari;
- riducendo i rifiuti e garantire il buon funzionamento del mercato interno dell’UE per le materie prime secondarie di alta qualità;
- consentendo all’Unione si assumerà sempre di più la responsabilità dei rifiuti che produce (riducendo le spedizioni transfrontaliere).
Secondo la CE nell’economia circolare esiste un chiaro vantaggio competitivo anche per le singole aziende, in quanto la spesa delle imprese manifatturiere per l’acquisto di materiali (circa il 40% della spesa complessiva) potrebbe sensibilmente ridursi grazie a modelli a ciclo chiuso, incrementando la loro redditività e proteggendole dalle fluttuazioni dei prezzi delle risorse.
La transizione verso un modello circolare intende rafforzare la base industriale e favorire la creazione di imprese e l’imprenditorialità tra le Pmi. Grazie alla spinta innestata dalla circolarità le imprese adotteranno modelli innovativi basati su una relazione più stretta con i clienti, favorendo la personalizzazione di massa e l’economia collaborativa e partecipata. Le tecnologie digitali forniranno una ulteriore impulso alla circolarità e alla dematerializzazione, consentendo all’Europa di ridurre la dipendenza dalle materie prime. Al proposito è chiara la sinergia con la Strategia Industriale della UE presentata nel marzo 2020, in cui si individuano tre fattori chiave per l’Europa: essere più green, più circolare e più digitale.
Per quanto riguarda i cittadini, l’economia circolare fornirà prodotti di elevata qualità, funzionali, sicuri, efficienti e economicamente accessibili, che durano più a lungo e sono concepiti per essere riutilizzati, riparati o sottoposti a procedimenti di riciclaggio di elevata qualità. Un’intera gamma di nuovi servizi sostenibili, modelli di “prodotto come servizio” (product-as-service) e soluzioni digitali consentiranno di migliorare la qualità della vita, creare posti di lavoro innovativi e incrementare le conoscenze e le competenze. Il piano mira inoltre a garantire che l’economia circolare vada a beneficio delle persone, delle regioni e delle città, contribuisca pienamente alla neutralità climatica e sfrutti appieno il potenziale della ricerca, dell’innovazione e della digitalizzazione. Il Piano prevede, infine, l’ulteriore messa a punto di un quadro di monitoraggio adeguato che contribuisca a misurare il benessere al di là del PIL.
Particolare attenzione meritano, nell’ambito del Piano, due azioni trasversali, che dimostrano quale sia il livello di interconnessione tra le diverse politiche europee.
La prima attiene alla neutralità climatica. Al fine di conseguire questo obiettivo la Commissione intende rafforzare le sinergie tra circolarità e riduzione dei gas a effetto serra. Per fare ciò:
- saranno analizzati i metodi di misura dell’impatto della circolarità
- sulla mitigazione dei cambiamenti climatici e sull’adattamento ai medesimi;
- verranno migliorati gli strumenti di modellizzazione per cogliere le ricadute positive dell’economia circolare sulla riduzione delle emissioni di gas
- a effetto serra a livello nazionale e di UE;
- sarà promosso il rafforzamento del ruolo della circolarità nelle future revisioni dei piani nazionali per l’energia e il clima e, se del caso, in altre politiche in materia di clima.
Oltre alla riduzione delle emissioni di gas a effetto serra, il conseguimento della neutralità climatica richiederà che il carbonio presente nell’atmosfera sia assorbito, utilizzato nella nostra economia senza essere rilasciato e, quindi, rimanendo stoccato per periodi di tempo più lunghi. Per incentivare l’assorbimento e una maggiore circolarità del carbonio, nel pieno rispetto degli obiettivi in materia di biodiversità, la Commissione intende lavorare a un quadro normativo per la certificazione degli assorbimenti di carbonio basato su una contabilizzazione del carbonio solida e trasparente al fine di monitorare e verificare l’autenticità degli assorbimenti.
La seconda azione trasversale attiene alle politiche economiche. In tale ambito, la Commissione intende:
- migliorare la divulgazione dei dati ambientali da parte delle imprese grazie al riesame della direttiva sulla comunicazione di informazioni di carattere non finanziario;
- sostenere un’iniziativa promossa dalle imprese per sviluppare principi di contabilità ambientale che integrino i dati finanziari con i dati sulle prestazioni dell’economia circolare;
- promuovere l’integrazione di criteri di sostenibilità nelle strategie aziendali, migliorando il quadro in materia di governo societario;
- far sì che gli obiettivi connessi all’economia circolare siano rispecchiati nel quadro del riorientamento del processo del semestre europeo e nel contesto della prossima revisione della disciplina in materia di aiuti di Stato a favore dell’ambiente e dell’energia;
- continuare a incoraggiare l’applicazione più ampia di strumenti economici ben progettati, come la tassazione ambientale che include imposte per il conferimento in discarica e l’incenerimento, e a mettere gli Stati membri in condizione di utilizzare le aliquote dell’imposta sul valore aggiunto (IVA) per promuovere le attività di economia circolare destinate ai consumatori finali come i servizi di riparazione.
Sono molte le novità nel Piano Europeo per l’economia circolare, ci concentriamo qui su due tra le più significative.
Un approccio efficace alla circolarità prende il via dalla progettazione dei prodotti. Al proposito nel Piano per rendere i prodotti idonei a un’economia neutra dal punto di vista climatico, efficiente sotto il profilo delle risorse e circolare, ridurre i rifiuti e garantire che le prestazioni dei precursori della sostenibilità diventino progressivamente la norma, la Commissione proporrà un’iniziativa legislativa relativa ad una strategia in materia di prodotti sostenibili. L’obiettivo centrale di questa iniziativa legislativa sarà l’estensione della direttiva concernente la progettazione ecocompatibile oltre ai prodotti connessi all’energia, in modo che il quadro della progettazione ecocompatibile possa applicarsi alla più ampia gamma possibile di prodotti e rispetti i principi della circolarità.
Dal punto di vista delle misure, la Commissione valuterà la possibilità di stabilire dei principi di sostenibilità e altre modalità adeguate a disciplinare i seguenti aspetti:
- miglioramento della durabilità, della riutilizzabilità, della possibilità di upgrading e della riparabilità dei prodotti, la questione della presenza di sostanze chimiche pericolose nei prodotti e l’aumento della loro efficienza sotto il profilo energetico e delle risorse;
- aumento del contenuto riciclato nei prodotti, garantendone al tempo stesso le prestazioni e la sicurezza;
- la possibilità di rifabbricazione e di riciclaggio di elevata qualità;
- la riduzione delle impronte carbonio e ambientale;
- la limitazione dei prodotti monouso e la lotta contro l’obsolescenza prematura;
- l’introduzione del divieto di distruggere i beni durevoli non venduti;
- la promozione del modello “prodotto come servizio” o di altri modelli in cui i produttori mantengono la proprietà del prodotto o la responsabilità delle sue prestazioni per l’intero ciclo di vita;
- la mobilitazione del potenziale di digitalizzazione delle informazioni relative ai prodotti, ivi comprese soluzioni come i passaporti, le etichettature e le filigrane digitali;
- un sistema di ricompense destinate ai prodotti in base alle loro diverse prestazioni in termini di sostenibilità, anche associando i livelli elevati di prestazione all’ottenimento di incentivi;
Sarà data priorità ai gruppi di prodotti individuati nel contesto delle catene di valore che figurano nel piano d’azione, come l’elettronica, le TIC e i tessili, ma anche i mobili e i prodotti intermedi ad elevato impatto, come l’acciaio, il cemento e le sostanze chimiche. Altri gruppi di prodotti saranno individuati in base all’impatto ambientale e al loro potenziale di circolarità.
Progettare un sistema alimentare giusto, sano e rispettoso dell’ambiente
Lo slogan utilizzato nella Strategia presentata il 20 maggio 2020 con la COM(2020) 381 final è “Dal produttore al consumatore” (from farm to fork). La UE si pone l’obiettivo di divenire riferimento mondiale per la sostenibilità, attraverso una strategia specifica nel settore alimentare coerente con l’economia circolare.
La strategia “Dal produttore al consumatore”, al centro del Green Deal e del perseguimento dell’Agenda 2030 da parte della UE (in particolare per quanto riguarda l’SDG 2), affronta in modo globale le sfide poste dal conseguimento di sistemi alimentari sostenibili, riconoscendo i legami inscindibili tra persone, società e pianeta sani. Il passaggio a un sistema alimentare sostenibile può apportare benefici ambientali, sanitari e sociali, offrire vantaggi economici e assicurare che la ripresa dalla crisi pandemica conduca l’UE su un percorso sostenibile. Un sistema alimentare sostenibile deve garantire ai consumatori un approvvigionamento sufficiente e diversificato di alimenti sicuri, nutrienti, economicamente accessibili e sostenibili in qualsiasi momento, anche in tempi di crisi.
Come è noto noi viviamo una profonda contraddizione tra l’obesità e lo spreco alimentare da un lato e la carenza di cibo per una parte della popolazione europea dall’altro. Il 20% circa degli alimenti prodotti va sprecato [11] e l’obesità è in aumento, con oltre la metà della popolazione adulta europea attualmente in sovrappeso [12]. Al tempo stesso 33 milioni di cittadini europei non possono permettersi un pasto di qualità ogni due giorni. Se i regimi alimentari europei fossero conformi alle raccomandazioni nutrizionali e più equilibrati (con una dieta maggiormente basata sui vegetali), l’impronta ambientale e l’equità sociale dei sistemi alimentari sarebbe notevolmente migliorata. Si stima che nel 2017 nell’UE oltre 950 000 decessi (uno su cinque) e la perdita di oltre 16 milioni di anni di vita in buona salute fossero attribuibili a cattive abitudini alimentari e alle malattie connesse.
Eppure in generale i prodotti alimentari europei costituiscono già uno standard a livello globale, sinonimo di sicurezza, abbondanza, nutrimento e qualità elevata. Inoltre il settore agricolo dell’UE è l’unico grande sistema al mondo ad aver ridotto le emissioni di gas a effetto serra (del 20 % dal 1990).
Questo è il risultato di anni di politiche dell’UE volte a proteggere la salute umana, degli animali e delle piante ed è frutto degli sforzi di agricoltori, pescatori e produttori. I prodotti alimentari europei dovrebbero ora diventare lo standard globale anche in materia di sostenibilità.
Sono numerose le azioni che devono essere messe in campo a questo fine, la strategia le delinea, rimandando poi a fasi successive per una effettiva implementazione, accompagnata da una ampia consultazione con tutti gli stakeholder.
Per garantire la sostenibilità della produzione alimentare occorre il contributo di tutti gli attori della filiera alimentare. Ciò al fine di accelerare la trasformazione dei metodi di produzione sfruttando al meglio le Nature based solutions, le tecnologie digitali e satellitari per aumentare la resilienza ai cambiamenti climatici e ridurre e ottimizzare l’uso di fattori di produzione (acqua, pesticidi e fertilizzanti). Queste soluzioni richiedono investimenti dal punto di vista umano e finanziario, ma promettono anche rendimenti più elevati creando valore aggiunto e riducendo i costi.
La CE mira a ricompensare gli agricoltori, i pescatori e gli altri operatori della filiera alimentare che hanno già compiuto la transizione verso pratiche sostenibili, a consentire la transizione di tutti gli altri e a creare ulteriori opportunità per le loro attività.
Per estendere l’approccio già sviluppato in molti contesti della UE vi è l’impellente necessità di ridurre la dipendenza da pesticidi e antimicrobici (l’obiettivo è di ridurli di un ulteriore 50% entro il 2030, dopo che già sono stati ridotti del 20% negli ultimi 5 anni), contenere il ricorso ai fertilizzanti, potenziare l’agricoltura biologica, migliorare il benessere degli animali e invertire la perdita di biodiversità. Nella strategia vengono citati alcune aree di innovazione particolarmente significative, come:
a) il sequestro del carbonio da parte di agricoltori e silvicoltori (carbon farming), con associati sistemi di certificazione e di pagamento;
b) la bioeconomia circolare, di cui un esempio citato riguarda le bioraffinerie di cui l’italiana Novamont è un pioniere, che si raccorda strettamente con il Piano per l’economia circolare;
c) un ambito particolarmente rilevante riguarda le emissioni di gas serra, che provengono in larga parte (in Europa il 70% delle emissioni provenienti dall’agricoltura, pari al 10,3% del totale) dall’allevamento, che occupa peraltro il 68% della superficie agricola. In questo contesto la CE intende agire sui mangimi, attraverso ad esempio l’immissione sul mercato di additivi per mangimi sostenibili e innovativi, promuovendo le proteine vegetali coltivate nell’UE e materie prime per mangimi alternative quali gli insetti, le alghe e i sottoprodotti della bioeconomia (come gli scarti del pesce).
d) L’agricoltura biologica deve essere promossa ulteriormente: ha effetti positivi sulla biodiversità, crea posti di lavoro e attrae giovani agricoltori, e i consumatori ne riconoscono il valore. La Commissione presenterà un piano d’azione sull’agricoltura biologica, con l’obiettivo di raggiungere almeno il 25% della superficie agricola dell’UE investita ad agricoltura biologica entro il 2030 e un aumento significativo dell’acquacoltura biologica.
La transizione verso un’agricoltura sostenibile dovrà essere sostenuta da una PAC incentrata sul Green Deal. La nuova PAC, che la Commissione ha proposto nel giugno 2018, mira ad aiutare gli agricoltori a migliorare le loro prestazioni ambientali e climatiche attraverso un modello maggiormente orientato ai risultati, un uso più sistematico dei dati e delle analisi, un miglioramento delle norme ambientali obbligatorie, nuove misure volontarie e una maggiore attenzione agli investimenti nelle tecnologie e nelle pratiche verdi e digitali. Intende inoltre garantire un reddito dignitoso che consenta agli agricoltori di provvedere alle proprie famiglie, di resistere a crisi di ogni tipo e di continuare a svolgere il loro ruolo di custodi del territorio. In questa prospettiva la nuova PAC si propone di migliorare l’efficienza e l’efficacia dei pagamenti diretti con il sostegno al reddito agli agricoltori che ne hanno bisogno e contribuiscono al conseguimento degli obiettivi ambientali, anziché a soggetti e imprese che semplicemente possiedono terreni agricoli.
Occorre al proposito tenere conto che nel 2017 le sovvenzioni della PAC, ad eccezione del sostegno agli investimenti, hanno rappresentato il 57% del reddito agricolo netto nell’UE.
La capacità degli Stati membri di garantire questa impostazione sarà attentamente valutata nei piani strategici e monitorata durante tutto il processo di attuazione.
Inoltre la CE richiederà, anche attraverso uno specifico codice di condotta, alle imprese e alle organizzazioni del settore alimentare di impegnarsi in azioni concrete in materia di salute e sostenibilità, mirate in particolare a: riformulare i prodotti alimentari conformemente a linee guida per regimi alimentari sani e sostenibili, ridurre la propria impronta ambientale e il proprio consumo energetico, adottare opportune strategie di marketing e pubblicitarie, ridurre gli imballaggi in linea con il nuovo Piano di azione sull’Economia Circolare.
Tra le azioni di policy previste vi sono:
a) Il riesame della normativa sui materiali a contatto con gli alimenti al fine di migliorare la sicurezza degli alimenti e la salute pubblica, sostenendo l’impiego di soluzioni di imballaggio innovative e sostenibili che utilizzino materiali ecologici, riutilizzabili e riciclabili;
b) Il sostegno, allo scopo di creare filiere più corte la CE, della riduzione della dipendenza dai trasporti a lunga distanza (nel 2017 circa 1,3 miliardi di tonnellate di prodotti stati trasportati su strada);
c) l’introduzione, al fine di consentire ai consumatori di fare scelte alimentari consapevoli, sane e sostenibili, di un’etichettatura nutrizionale obbligatoria e armonizzata sulla parte anteriore dell’imballaggio, nonché la possibilità di estendere le indicazioni di origine o di provenienza;
d) l’arricchimento delle EPD contemplando congiuntamente gli aspetti nutrizionali, climatici, ambientali e sociali dei prodottialimentari.
e) Il sollecito agli Stati membri di utilizzare le aliquote IVA in modo mirato, ad esempio per sostenere i prodotti ortofrutticoli biologici.
Preservare e ripristinare gli ecosistemi e la biodiversità
La CE ha definito nel maggio 2020 una nuova strategia per la biodiversità per assicurare che l’UE svolga un ruolo fondamentale per l’arresto della perdita di biodiversità a livello internazionale nelle prossime negoziazioni 2020 della Convenzione per la diversità biologica, perseguendo il principio che tutte le politiche dell’UE contribuiscano a preservare e ripristinare il capitale naturale europeo.
Nella strategia si evidenzia come la pandemia di Covid-19 abbia dimostrato una volta di più quanto sia urgente intervenire per proteggere e ripristinare la natura, facendo prendere coscienza dei legami che esistono tra la nostra salute e la salute degli ecosistemi, oltre a dimostrare la necessità di adottare catene di approvvigionamento e modi di consumo sostenibili che rispettino i limiti del pianeta.
Da un lato il rischio di insorgenza e diffusione delle malattie infettive aumenta con la distruzione della natura, dall’altro investire nella protezione e nel ripristino della natura sarà di cruciale importanza per la ripresa economica dell’Europa dalla crisi Covid-19. La protezione della biodiversità ha giustificazioni economiche ineludibili, come è stato anche evidenziato all’ultimo World Economic Forum [13]. I geni, le specie e i servizi ecosistemici sono fattori di produzione indispensabili per l’industria e le imprese, soprattutto per la produzione di medicinali. Oltre la metà del PIL mondiale dipende dalla natura e dai servizi che fornisce: in particolare tre dei settori economici più importanti — edilizia, agricoltura, settore alimentare e delle bevande — ne sono fortemente dipendenti [14].
Si è stimato che dal 1997 al 2011 i cambiamenti nella copertura del suolo abbiano causato perdite tra 3.500 e 18.500 miliardi di euro l’anno in servizi ecosistemici a livello mondiale e che il degrado del suolo sia costato 5.500-10.500 miliardi di euro l’anno.
La conservazione della biodiversità può apportare benefici economici diretti a molti settori dell’economia. Il rapporto benefici/costi complessivi di un programma mondiale efficace per la conservazione della natura è valutato essere superiore a 7 a 1. Gli investimenti nel capitale naturale sono così considerati tra le cinque politiche più importanti di risanamento del bilancio della UE in quanto offrono moltiplicatori economici elevati e un impatto positivo sul clima [15].
L’impegno della UE per il capitale naturale riguarda:
a) L’Estensione della rete di protezione dell’ambiente: la CE si propone di proteggere almeno il 30% della superficie terrestre (4% in più di oggi) e il 30 % del mare (19% in più di oggi), con importanti ricadute non solo ambientali, ma anche economiche. I benefici di Natura 2000 sono stati valutati tra i 200 e i 300 miliardi di EUR all’anno e i nuovi investimenti per la protezione genererebbero fino a 500.000 nuovi posti di lavoro [16]; così come nelle zone marine protette per ogni euro investito se ne genererebbero almeno tre [17].
b) La creazione di corridoi ecologici che, nell’ambito di una rete naturalistica transeuropea davvero resiliente, impediscano l’isolamento genetico, consentano la migrazione delle specie e preservino e rafforzino l’integrità degli ecosistemi. In tale contesto la CE intende sostenere gli investimenti nelle infrastrutture verdi e blu [18].
c) La predisposizione di un Piano di ripristino della natura, di cui l’UE vuole fare da apripista a livello globale. Tale Piano ridurrà le pressioni sugli habitat e le specie, assicurando che gli ecosistemi siano sempre usati in modo sostenibile, sostenendo il risanamento della natura, limitando l’impermeabilizzazione del suolo e l’espansione urbana, contrastando l’inquinamento e le specie esotiche invasive. In tale ambito la Commissione proporrà nel 2021 obiettivi di ripristino della natura giuridicamente vincolanti al fine di ripristinare gli ecosistemi degradati. Gli Stati membri dovranno assicurare che almeno il 30 % delle specie e degli habitat il cui attuale stato di conservazione non è soddisfacente lo diventi o mostri una netta tendenza positiva. A questo scopo nel 2020 la Commissione e l’Agenzia europea dell’ambiente forniranno orientamenti agli Stati membri su come selezionare le specie e gli habitat e stabilirne l’ordine di priorità.
d) L’intensificazione degli sforzi per proteggere il suolo (una risorsa rinnovabile cruciale), ridurne l’erosione e aumentarne la fertilità, attraverso una revisione nel 2021 della strategia tematica dell’UE per il suolo.
e) La predisposizione nel 2021 di una specifica Strategia forestale coerente con le ambizioni in materia di biodiversità e neutralità climatica. La proposta includerà una tabella di marcia per la piantumazione di almeno 3 miliardi di alberi supplementari nell’UE entro il 2030, nel pieno rispetto dei principi ecologici. La piantumazione di alberi sarà supportata, attingendo dal programma LIFE, anche dalla nuova piattaforma europea per l’inverdimento urbano.
f) La proposta di un nuovo Piano d’azione per conservare le risorse della pesca e proteggere gli ecosistemi marini, favorendo, tra l’altro, la transizione verso tecniche di pesca più selettive e meno dannose con il sostegno del Fondo europeo per gli affari marittimi.
g) Un impegno ad adoperarsi maggiormente per ristabilire gli ecosistemi di acqua dolce e le funzioni naturali dei fiumi, al fine di conseguire gli obiettivi (la cui attuazione è in ritardo) della direttiva quadro sulle acque. Uno dei modi per farlo consiste nell’eliminare o adeguare le barriere che impediscono il passaggio dei pesci migratori e nel migliorare il flusso libero dei sedimenti: s’intende così ristabilire lo scorrimento libero di almeno 25.000 km di fiumi entro il 2030, eliminando le barriere obsolete e ripristinando le pianure alluvionali.
h) La volontà di riportare la natura nelle città e ricompensare l’azione delle comunità, per cui la CE invita le città europee di almeno 20.000 abitanti a elaborare entro la fine del 2021 piani ambiziosi di inverdimento urbano, che verranno supportati e valorizzati attraverso una piattaforma UE per il verde urbano che verrà creata nel 2021.
Inquinamento zero per un ambiente privo di sostanze tossiche
La CE si propone di essere più efficace nel monitorare, segnalare, prevenire e porre rimedio all’inquinamento atmosferico, idrico, del suolo e dei prodotti di consumo.
A tal fine esaminerà insieme agli Stati membri tutte le politiche e i regolamenti in modo più sistematico, definendo nel 2021 un piano d’azione per l’inquinamento zero di aria, acqua e suolo. Nel caso delle norme sulla qualità dell’aria saranno riviste per allinearle maggiormente alle raccomandazioni dell’Organizzazione mondiale della sanità. Sarà perseguito l’Inquinamento zero degl’impianti industriali, aggiornando gli strumenti normativi in coerenza con gli obiettivi di sostenibilità [19] e decarbonizzazione.
Il 10 luglio 2020 il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione sulla Strategia in materia di sostanze chimiche per la sostenibilità in cui, anticipando alcuni degli indirizzi per il piano inquinamento zero, evidenzia le interconnessioni tra diversi piani e strategie del Green Deal, quali la strategia per la biodiversità, dal produttore al consumatore, economia circolare, nonché il piano europeo per la lotta contro il cancro.
Il 2019 è stato il secondo anno più caldo in assoluto e la fine del decennio più caldo, dal 2010 al 2019. Con una temperatura media globale di 1,1°C al di sopra dei livelli preindustriali la sfida globale del clima si presenta particolarmente urgente.
Le infrastrutture: energia, mobilità e digitale
Disporre di infrastrutture di elevata efficienza nei settori dell’energia, dei trasporti e del digitale è essenziale per un’UE integrata e competitiva, in cui i cittadini e le imprese possano trarre pienamente vantaggio dalla libera circolazione, dal mercato unico e da infrastrutture sociali adeguate. Le reti transeuropee mirano in questa prospettiva a soddisfare il fabbisogno di infrastrutture resilienti, sostenibili, innovative e senza soluzioni di continuità.
Due delle azioni specifiche previste nel Green Deal, energia e mobilità, possono in questa sede essere semplicemente richiamate, in quanto verranno riprese successivamente. In ogni caso qui troviamo le strategie presentate l’8 luglio 2020 per un sistema energetico integrato [COM(2020) 299 final] e per l’idrogeno pulito [COM(2020) 301 final]. L’interconnessione tra le diverse strategie è particolarmente richiesta dalla decarbonizzazione che richiede una visione di sistema, investimenti e processi che integrino i diversi vettori energetici e gli usi dell’energia. La strategia per l’idrogeno pulito viene ad integrarsi efficacemente quale chiusura del sistema.
La CE considera queste strategie come centrali nel piano di risanamento economico, poiché propongono un percorso a costi contenuti, promuovendo investimenti mirati nelle infrastrutture, che riducano i costi dell’energia per aziende e clienti.
Ciò vale anche nell’ambito della mobilità. Per conseguire la neutralità climatica è necessario ridurre le emissioni prodotte dai trasporti del 90 % entro il 2050 e occorrerà il contributo del trasporto stradale, ferroviario, aereo e per vie navigabili. Una strada importante è quella della mobilità elettrica, dove a livello globale siamo arrivati a più di 7 milioni di veicoli elettrici per passeggeri o merci (erano 1,5 milioni nel 2016). Se in questo ambito è la Cina a prevalere (con più di 3 milioni), l’Europa arriva a quasi 2 milioni e nei primi tre mesi dell’anno, in una fase di forte contrazione del mercato, le immatricolazioni sono cresciute dell’81,7% sul primo trimestre del 2019.
Nel 2020 la Commissione adotterà una strategia per una mobilità intelligente e sostenibile per mettere gli utenti al primo posto e fornire loro alternative più economiche, accessibili e pulite rispetto alle loro attuali abitudini.
In ultimo, come abbiamo già evidenziato, la trasformazione verde e la trasformazione digitale sono due sfide indissociabili. Secondo il Green Deal europeo, queste sfide richiedono un immediato riorientamento verso soluzioni più sostenibili che siano circolari, efficienti nell’impiego delle risorse e a impatto climatico zero. È necessario che ogni cittadino, ogni lavoratore, ogni operatore economico, ovunque viva, abbia un’equa possibilità di cogliere i vantaggi di questa società sempre più digitalizzata.
La Comunicazione “Plasmare il futuro digitale dell’Europa” del febbraio 2020 [20] indica un pacchetto di azioni che il Parlamento europeo a giugno ha fatto proprie, evidenziandone l’importanza nella trasformazione dell’economia e della società europee, soprattutto quale mezzo per raggiungere la neutralità climatica dell’UE entro il 2050 e per creare posti di lavoro, concordando che l’accelerazione della trasformazione digitale rappresenterà una componente essenziale della risposta dell’UE alla crisi economica generata dalla pandemia di Covid-19.
Green Economy e ripartenza
Il Consiglio europeo del 23 aprile 2020 accogliendo con favore la “Tabella di marcia per la ripresa. Verso un’Europa più resiliente, sostenibile ed equa” ha sostenuto che l’Unione europea ha bisogno di uno sforzo di investimento simile al piano Marshall per sostenere la ripresa e modernizzare l’economia. Ciò significa investire massicciamente nella transizione verde e nella trasformazione digitale nonché nell’economia circolare parallelamente ad altre politiche quali la politica di coesione e la politica agricola comune.
Una scelta la cui bontà è confermata da uno studio dell’Università di Oxford firmato da un team di esperti di fama internazionale, tra cui il Nobel Joseph Stiglitz e l’economista del clima Lord Nicholas Stern della London School of Economics, che hanno valutato circa 700 pacchetti di stimolo attuati contro la crisi del 2008 (utile bussola quindi anche contro la crisi della pandemia): per risollevare le economie, la strategia migliore, anche dal punto di vista economico e dell’occupazione è stata puntare su politiche “green” riducendo le emissioni di gas serra. Una grande opportunità per il nostro Paese, che parte avvantaggiato: un’altra recente ricerca dell’Università di Oxford e della Smith School of Enterprise and the Environment, partendo dal primo e più grande database al mondo di prodotti green, colloca l’Italia al secondo posto fra i paesi in grado di esportare “i prodotti più verdi e complessi avendo una capacità di produzione green altamente avanzata”; e addirittura al primo posto per il potenziale per diventare competitiva a livello globale in prodotti ancora più green e tecnologicamente sofisticati. In questo contesto il Green Deal europeo avrà una funzione essenziale in quanto strategia di crescita inclusiva e sostenibile.
Le risorse messe in campo come è noto sono molto significative. Al quadro finanziario pluriennale rinforzato per il periodo 2021-2027 di 1100 miliardi di euro si vanno a sommare i 750 miliardi di euro dello strumento europeo di emergenza per la ripresa (“Next Generation EU”), nonché i 540 miliardi delle misure eccezionali approvate dal Consiglio europeo del 23 aprile 2020.
Occorre ricordare come questi stanziamenti eccezionali stiano caratterizzando i principali Paesi a livello internazionale, con modalità che però risultano poco coordinate a livello globale.
L’ONU a marzo con il rapporto “Shared responsibility, global solidarity: Responding to the socio-economic impacts of COVID-19” [21], ha posto in evidenza come il mondo stia affrontando una crisi globale non solo sanitaria, ma umana, diversa da qualsiasi altra nei 75 anni di storia delle Nazioni Unite proprio per la sua estensione e profondità. Questa crisi richiede una risposta collettiva all’interno dei Paesi e soprattutto tra Paesi: “da sole, le azioni a livello nazionale non possono corrispondere alla scala globale e alla complessità della crisi”.
L’ONU sottolinea quindi come tale momento richieda un’azione politica coordinata, decisa e innovativa da parte delle principali economie mondiali e il massimo sostegno finanziario e tecnico per le persone e i paesi più poveri e vulnerabili, che saranno i più colpiti. Questa call to action ha avuto difficoltà ad essere colta in un contesto internazionale sempre meno orientato al multilateralismo.
In questo contesto possiamo considerare l’Unione Europea, dopo le prime settimane in cui ha stentato a trovare una visione comune, come un esempio di politiche coordinate, in cui l’orientamento strategico green trova uno spazio centrale. D’altronde la sfida per l’Europa, chiara anche prima dell’emergenza sanitaria e incarnata nella nuova presidenza, è quella di riuscire a esercitare un maggior ruolo internazionale all’egida della transizione alla green, circular e decarbonised economy, ricostruendo il senso della coesione degli Stati membri, dopo gli effetti della Brexit e dei neonazionalismi.
Nel frattempo cosa stanno facendo i due Paesi leader dell’economia globale?
Alla fine del mese di marzo il governo americano ha realizzato un maxi intervento senza precedenti per stimolare l’economia USA; è stato stanziato un pacchetto di aiuti pari a 2.000 miliardi di dollari, circa il 13% del PIL degli Stati Uniti. Il pacchetto è di tipo emergenziale, prevedendo sostegno economico a imprese e ospedali, oltre che assegni diretti a milioni di americani colpiti dalla recessione.
Parallelamente la Cina, che ha innestato la pandemia, ma che è anche riuscita a contenerla sta cercando di reperire i finanziamenti necessari per una più rapida transizione green che consenta di superare i problemi ambientali del Paese, insieme alla sua ripartenza post-Covid.
Il settore manifatturiero cinese ha recuperato rapidamente, con le aziende che hanno avviato il ritorno graduale al lavoro nei siti produttivi per i loro dipendenti, con il supporto dei governi locali. La rapida ripresa è testimoniata dal valore del China Manufacturing Purchasing Managers Index (PMI), passato da 35,7 a febbraio a 52 a marzo [22].
Al fine di mitigare l’impatto del Covid-19, il governo ha messo in campo piani di stimolo volti a rilanciare il sistema economico, con una particolare attenzione alle “nuove infrastrutture”: come i ripetitori di segnale 5G, l’intelligenza artificiale, la creazione di grandi database, treni ad alta velocità, griglie ad altissimo voltaggio e colonnine per veicoli elettrici. Una delle politiche più significative messe in campo dalla Cina nell’ultimo periodo riguarda infatti quella che vedrà diventare elettrici entro il 2020 il 30% dei veicoli pubblici.
Secondo Morgan Stanley, gli investimenti della Cina in questo genere di infrastrutture per i prossimi 10 anni ammonteranno a circa 180 miliardi di dollari. Inoltre, per contrastare eventuali rallentamenti economici di breve periodo, queste nuove infrastrutture possono aumentare la produttività a lungo termine sfruttando le tecnologie di nuova generazione.
Questi investimenti in innovazione sono sempre più spesso correlati alla green economy oggi corrispondono ad una quota dell’8% del PIL cinese (ovvero circa 740 miliardi di euro). Il fabbisogno finanziario rispetto alla sostenibilità in Cina è dell’ordine dei 2 mila miliardi, di cui il governo può supportare solo il 15%. Per questo sono favoriti gli investimenti dall’estero di operatori che conoscano le tecnologie adatte a raggiungere obiettivi utili, come trattamento dell’aria, epurazione dell’acqua o smaltimento dei rifiuti solidi urbani.
In questo quadro internazionale cosa ci possiamo attendere per il nostro Paese?
Dalla Commissione Europea potrebbero arrivare a breve in Italia 110 miliardi: 21 di fondi riassegnati, 5 dalla BEI, i 36 del MES, 15 dal SURE, più altri 30 di trasferimenti disponibili. Ad essi si potrebbero sommare, per comprendere appieno l’impegno della CE e l’importanza per noi che l’Unione assume, i 180 miliardi di acquisti dei titoli di stato grazie all’estensione del quantitative easing e i 350 miliardi di rifinanziamenti alle banche italiane per prestiti alle imprese da parte della BCE.
I finanziamenti che arriveranno dall’Europa saranno però vincolati alle Country Specific Recommendations elaborate all’interno del processo del Semestre europeo [23], che riguardano in particolare, oltre alle consuete raccomandazioni sul bilancio pubblico e sul debito (questa volta però molto attenuate): il Green new deal e la digitalizzazione; l’innovazione, la formazione e lotta alle disuguaglianze; la riforma della Pubblica amministrazione e della giustizia civile; oltre che il miglioramento del sistema sanitario, tramite il MES.
Tra questi, gli investimenti a favore della transizione verde saranno particolarmente rilevanti per sostenere la ripresa e aumentare la resilienza futura. L’Italia è molto vulnerabile ai fenomeni meteorologici estremi e alle catastrofi idrogeologiche, compresi la siccità e gli incendi boschivi. Nella percezione della CE la trasformazione dell’Italia in un’economia climaticamente neutra necessiterà di consistenti investimenti pubblici e privati per un lungo periodo di tempo.
Il coinvolgimento degli attori finanziari e la tassonomia europea
Se il contributo europeo sarà nei prossimi anni consistente è necessario anche un pari apporto da parte degli attori finanziari privati. In questo ambito sono proseguiti i passi in avanti già manifestati negli scorsi anni.
A livello europeo, nel marzo del 2018 era uscito il Piano di azione per la finanza sostenibile, con l’obiettivo di incrementare gli investimenti in progetti sostenibili e di promuovere l’integrazione dei criteri ambientali, sociali e di governance (ESG) nella gestione dei rischi e nell’orizzonte temporale degli operatori finanziari, in coerenza con l’Agenda 2030 e con l’accordo di Parigi.
Il primo passo previsto dal Piano era la predisposizione di una tassonomia europea per la finanza sostenibile, ovvero un sistema condiviso di definizione e classificazione delle attività economiche sostenibili. ll Parlamento europeo con la risoluzione del 17 giugno 2020 riguardante “l’Istituzione di un quadro che favorisce gli investimenti sostenibili” ha chiuso l’iter d’approvazione del regolamento UE per la Tassonomia, adottato dal Consiglio europeo il 15 aprile 2020.
“Una pietra miliare nella nostra agenda verde”, ha commentato il vicepresidente della Commissione europea Valdis Dombrovskis, illustrando come si tratti del “primo sistema di classificazione al mondo di attività economiche sostenibili dal punto di vista ambientale, che darà una spinta reale agli investimenti sostenibili”. Inoltre, è prevista anche l’istituzione formale di una piattaforma sulla finanza sostenibile che “svolgerà un ruolo cruciale nello sviluppo della tassonomia dell’Unione europea e della nostra strategia di finanziamento sostenibile nei prossimi anni”.
Il mercato degli investimenti sostenibili (SRI) sta crescendo in modo rapido (+27% dal 2016 al 2018) e ha ampiamente superato i 30.000 miliardi di dollari. L’Europa fa la parte del leone con Asset under Management superiori a 14.000 miliardi di dollari, che rappresentano già la metà del totale degli asset investiti nella regione.
Anche i dati di adesione a UN PRI testimoniano l’attenzione crescente degli investitori verso questi temi: nel 2019 i Principles for Responsible Investment hanno superato i 2.500 firmatari con una crescita del 20% rispetto al 2018.
Le emissioni di green bond dell’area euro hanno segnato un nuovo record nel 2019: l’ammontare emesso ha raggiunto 170 miliardi di euro +50% rispetto all’anno precedente. Inoltre lo stock in circolazione di titoli green a livello globale è stato pari a 566 miliardi di euro a fine gennaio 2020. Il mercato appare in ulteriore forte crescita: nel solo mese di gennaio di quest’anno sono stati collocati sul mercato titoli per 20 miliardi di euro pari al 75% di quanto emesso nel primo trimestre 2019 [24].
Negli ultimi anni i green bond hanno conosciuto non solo una crescita delle emissioni ma anche dei rendimenti.
NN Investment Partners ha analizzato l’andamento degli indici dei green bond rispetto agli indici tradizionali, nei comparti euro green bond ed euro corporate green bond negli ultimi quattro anni.
Nel 2019 i green bond hanno generato rendimenti del 7,4% rispetto al 6% delle obbligazioni ordinarie [25].
Tuttavia i dati positivi degli ultimi anni potrebbero nascondere alcune criticità; uno studio di Insight, la più grande società di asset management del gruppo BNY Mellon, ha analizzato 83 green bond e 96 social impact bond presenti sul mercato mondiale nel 2019; il 15% dei green bond e il 16% degli impact bond del campione risultano in qualche modo sospetti, poiché generano dubbi sulla reale sostenibilità dell’emissione, soprattutto per una mancanza di trasparenza sul modo in cui i capitali raccolti verranno utilizzati per finanziare progetti dichiarati come “verdi”.
Al fine di orientare gli investitori, gli emittenti e di contrastare problemi come il greenwashing, occorre quindi uno standard, riconosciuto a livello internazionale e capace di disciplinare le componenti fondamentali dei green bond. Il 18 giugno 2019 il TEG [26] ha pubblicato un report con cui ha illustrato la sua proposta per uno standard europeo dei green bond (EU-GBS), il secondo degli obiettivi prioritari del Piano di azione sulla finanza sostenibile.
Affinché un progetto sia finanziabile con il nuovo Green Bond Standard deve essere allineato alla tassonomia europea; questo significa che il progetto deve contribuire in modo sostanziale ad almeno uno dei 6 obiettivi ambientali identificati dalla tassonomia europea (mitigazione del cambiamento climatico, adattamento ai cambiamenti climatici, utilizzo sostenibile e protezione delle risorse idriche e marine, transizione verso l’economia circolare, prevenzione e riciclo dei rifiuti, prevenzione e controllo dell’inquinamento e protezione degli ecosistemi) senza compromettere il raggiungimento degli altri (è il concetto del “do not significant harm”) e deve presentare una serie di garanzie sociali minime.
Al fine di valutare la capacità di un’attività, di un progetto di contribuire al raggiungimento di uno degli obiettivi della tassonomia è essenziale l’utilizzo dei technical screening criteria; ad oggi il TEG ha sviluppato dei criteri tecnici di selezione per valutare la capacità di un’attività di contribuire agli obiettivi di climate change mitigation e adaptation, l’ambito identificato come prioritario dalla CE; in questo caso sono state individuate 3 classi:
- attività a basse emissioni di carbonio e che già contribuiscono all’obiettivo della neutralità climatica; si pensi alla produzione di energia solare.
- Attività in fase di transizione; possono contribuire al raggiungimento dell’obiettivo zero emissioni entro il 2050 ma, attualmente non operano ancora su questo livello; si pensi alla ristrutturazione di un edificio per assicurare una maggiore efficienza energetica.
- Attività abilitanti; hanno un impatto sulle categorie precedenti. Per esempio un produttore di pannelli solari o di pale eoliche consente la produzione di energia rinnovabile che rientra nella prima classe.
É interessante osservare un’evoluzione all’interno dei green bond, alla ricerca di un posizionamento sempre più strategico rispetto alle sfide della sostenibilità. Così settembre 2019 Enel ha lanciato il suo primo SDG linked Bond, collocando con successo sul mercato americano un’emissione obbligazionaria da 1,5 miliardi di dollari; gli ordini, per circa 4 miliardi di dollari USA, hanno superato l’emissione di quasi 3 volte; a fronte di questo successo, ad ottobre 2019 Enel ha deciso di intervenire anche sul mercato europeo con il nuovo strumento obbligazionario e, ancora una volta, la domanda ha superato l’offerta.
L’utilizzo dei proventi non è vincolato ad una serie di progetti green eleggibili, ma agli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030; questo garantisce maggiore flessibilità all’emittente e l’ambito di intervento dei potenziali investimenti risulta più esteso; in particolare Enel si è orientata alla creazione di valore mediante scelte di business che supportano il perseguimento dei seguenti SDGs: “Energia accessibile e pulita” SDG 7, “Imprese, innovazione e infrastrutture” SDG 9, “Città e comunità sostenibili” SDG 11, “Lotta contro il cambiamento climatico” SDG 13.
Le risorse raccolte sul mercato dei capitali soddisfano l’ordinario fabbisogno finanziario dell’emittente; quest’ultimo non utilizza le risorse per un progetto specifico ma per il raggiungimento di un determinato target al quale corrisponde un KPI. Per esempio, con l’emissione di settembre 2019, Enel si è impegnata a raggiungere una percentuale di capacità installata da fonti rinnovabili pari o superiore al 55% della capacità installata totale consolidata entro il 31 dicembre 2021.
Il processo di monitoraggio, basato sui KPI, consente di intervenire sul tasso di interesse in base ai risultati conseguiti dall’azienda; nel caso in cui Enel non rispettasse la condizione di capacità di energia rinnovabile installata nei tempi dichiarati, il tasso di interesse legato al prestito obbligazionario sarà automaticamente rettificato con un meccanismo di step up (incremento di 25 bps). Come detto il monitoraggio che consente di intervenire sul costo del denaro risulta molto attraente per gli investitori ed è anche un efficace incentivo per l’emittente al fine di migliorare la propria performance di sostenibilità nel tempo.
2. https://unstats.un.org/sdgs/report/2019/The-Sustainable-Development-Goals-Report-2019.pdf
3. http://sdg.iisd.org/news/un-secretary-generalreleases-2020-sdg-progressreport/
4. Alla chiusura volume il Piano non è ancora stato presentato.
5. Relazione della Commissione al Parlamento Europeo, al Consiglio, al Comitato Economico e Sociale Europeo e al Comitato delle Regioni sull’attuazione del Piano d’azione per l’economia circolare {SWD(2019) 90 final}
7. Si veda sempre il Rapporto Eurostat riportato nella nota precedente.
8. Circle Economy, The Circularity Gap Report, gennaio 2018.
9. Direttiva (UE) 2019/904 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 5 giugno 2019 sulla riduzione dell’incidenza di determinati prodotti di plastica sull’ambiente.
10. Commissione Europea (2020), Un nuovo piano d’azione per l’economia circolare. Per un’Europa più pulita e più competitiva, Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo, al Consiglio, al Comitato Economico e Sociale Europeo e al Comitato delle Regioni, COM (2020) 98 final, Bruxelles.
11. EU FUSIONS (2016), Estimates of European food waste levels.
12. Eurostat, Obesity rate by body mass index (Tasso di obesità per indice di massa corporea), https://ec.europa.eu/eurostat/databrowser/view/sdg_02_10/default/table?lang=en.
13. WEF, Nature Risk Rising: Why the Crisis Engulfing Nature Matters for Business and the Economy, 2020.
14. IPBES, Summary for policymakers, 2019, pag. 4, A4.
15. Hepburn et al., “Will COVID-19 fiscal recovery packages accelerate or retard progress on climate change?”, Smith School Working Paper, 2020, 20-02.
16. Fitness Check of the EU Nature Legislation, SWD(2016) 472.
17. Brander et al., The benefits to people of expanding Marine Protected Areas, 2015.
18. Guidance on a strategic framework for further supporting the deployment of EU-level green and blue infrastructure, SWD(2019) 193.
19. https://www.europarl.europa.eu/doceo/document/TA-9-2020-0130_IT.pdf
20. https://ec.europa.eu/transparency/regdoc/rep/1/2020/IT/COM-2020-67-F1-IT-MAIN-PART-1.PDF
21. https://unsdg.un.org/sites/default/files/2020-03/SG-Report-Socio-Economic-Impact-of-Covid19.pdf
22. Il Purchasing Managers Index è un indicatore che elabora i dati raccolti dai sondaggi rivolti ai responsabili degli acquisti delle aziende, cioè a chi si occupa dell’approvvigionamento di materiali destinati alla produzione. L’obiettivo è quello di verificare le condizioni economiche dell’industria, in particolare, quando l’indice PMI è inferiore a 50,0 indica che l’economia manifatturiera è in declino, mentre un valore superiore a 50,0 indica un’espansione dell’economia manifatturiera.
23. Commissione europea 20 maggio 2020 – COM(2020) 512 final e Consiglio europeo del 20 luglio 2020]
24. https://group.intesasanpaolo.com/, Governativi green ed emissioni per il 2020: le previsioni della Direzione Studi, febbraio 2020.
25 . https://www.finanzaonline.com/, I green bond battono per rendimenti le obbligazioni societarie tradizionali.
26. Il Technical Expert Group on Sustainable Finance (TEG) è un gruppo di 35 esperti in materia di finanza sostenibile, costituito dalla Commissione Europea; la sua funzione è quella di supportare la Commissione ad attuare il Piano di azione sulla finanza sostenibile, approvato nel giugno del 2018. Gli ambiti di lavoro del TEG sono: un sistema di classificazione per individuare le attività economiche ecosostenibili (la cosiddetta tassonomia europea- EU Taxonomy), uno standard per i green bond, una metodologia comune a livello comunitario sui benchmark climatici (parametri di confronto per misurare l’impatto degli investimenti sul cambiamento climatico) ed una serie di linee guida al fine di migliorare la comunicazione aziendale sulle informazioni relative al clima.