Frutta al Paese il 5,4% della ricchezza prodotta, equivalente a quasi 75,5 miliardi di euro, e dà lavoro a un quasi milione e quattrocentomila persone, ovvero al 5,7% del totale degli occupati del Paese. Estendendo il calcolo dal sistema produttivo culturale privato anche a quello della pubblica amministrazione e del no-profit, il valore aggiunto della cultura arriva a 80,8 miliardi, pari al 5,8% dell’economia nazionale. Nel 2011 la quota era pari a 5,7%. Nonostante le difficoltà, quindi, il sistema produttivo culturale conferma una certa capacità di reazione anticiclica. E allargando lo sguardo dalle imprese che producono cultura in senso stretto – ovvero industrie culturali, industrie creative, patrimonio storico-artistico e architettonico, performing arts e arti visive – a tutta la ‘filiera della cultura’, ossia ai settori attivati dalla cultura, come il turismo legato alle città d’arte, il valore aggiunto prodotto dalla cultura schizza dal 5,4 al 15.3% del totale dell’economia nazionale. Il sistema produttivo culturale vanta infatti un moltiplicatore pari a 1,7: come dire che per ogni euro di valore aggiunto prodotto da una delle attività di questo segmento, se ne attivano, mediamente, sul resto dell’economia altri 1,7. In termini monetari, ci ò equivale a dire che gli 80,8 miliardi di euro prodotti nel 2012 dall’intero sistema produttivo culturale, riescono ad attivarne quasi 133 miliardi, arrivando così a costituire una filiera culturale intesa in senso lato di circa 214 miliardi di euro.
Nonostante i sacrifici imposti dall’austerity e dalla miopia di parte della classe dirigente del Paese, la cultura dimostra ancora una volta di essere uno dei motori primari della nostra crescita. Mentre la crisi imperversa e un pezzo consistente dell’economia nazionale fatica e arretra, infatti, il valore aggiunto prodotto dalla cultura tiene, guadagna terreno. Ecco la via italiana per combattere la crisi: è quanto emerge dal Rapporto 2013 “Io sono cultura – l’Italia della qualità e della bellezza sfida la crisi” elaborato da Fondazione Symbola e Unioncamere con la collaborazione e il sostegno dell’Assessorato alla cultura della Regione Marche presentato oggi in conferenza stampa a Roma. Uno studio che rappresenta la migliore risposta possibile a chi sostiene che la cultura non produce PIL e che verrà discusso il prossimo 4 luglio all’Università di Macerata nell’ambito degli appuntamenti del Festiva della Soft Economy.
Si tratta del primo rapporto in Italia a quantificare il peso della cultura nell’economia nazionale. Con risultati, spiegano Symbola e Unioncamere, che parlano chiaro: la cultura non si tocca. Non per un aristocratico riflesso condizionato che guarda al passato. Ma perché è la cultura – con nuove e impreviste contaminazioni: designer e piccoli artigiani, creativi e industrie, artisti e stilisti, smanettoni e contadini – a sostenere e far girare la parte più innovativa, dinamica e reattiva del nostro sistema produttivo.
“Nel mondo c’è una domanda di qualità che l’Italia sa intercettare – commenta Ermete Realacci, presidente di Symbola – Fondazione per le qualità italiane –. Non a caso quando l’Italia fa l’Italia e scommette su innovazione, ricerca e green economy e le incrocia con bellezza, qualità, legame con i territori, con la forza del made in Italy, è un Paese forte capace di competere sui mercati internazionali. Proprio l’intreccio tra cultura e bellezza è una delle radici più profonde e feconde della nostra identità e della competitività della nostra economia. Il rapporto presentato oggi sta qui a dimostrarlo: l’industria culturale rappresenta, già oggi, parte significativa della produzione di ricchezza e dell’occupazione in Italia. Per affrontare la crisi e guardare al futuro l’Italia deve fare l’Italia. La cultura è l’infrastruttura immateriale fondamentale di questa sfida”.
“Con questo rapporto, abbiamo voluto mettere sotto i riflettori ciò che di nuovo e di positivo si sta muovendo, pur nella crisi: le tante imprese che rinnovano il nostro made in Italy attraverso una sintesi unica fra cultura, creatività e tecnologia dove, non a caso, sono spesso protagonisti i giovani e le donne, anche nel Mezzogiorno” – sottolinea Claudio Gagliardi, segretario generale di Unioncamere. “Il sistema produttivo culturale rappresenta la vera ‘filiera territoriale’: quella che produce all’interno del territorio nazionale e moltiplica benessere per i territori, secondo una logica di rete che coinvolge tanti piccoli e medi imprenditori, anche del mondo del non-profit. La sua capacità anticiclica deve far capire dove occorre oggi concentrare gli sforzi di politica economica e dove – a livello nazionale e locale – è necessario incentivare investimenti che ottengano effetti moltiplicativi certi sull’occupazione, sui consumi, sul turismo e a vantaggio delle
esportazioni di beni e servizi“.
“La collaborazione della Regione Marche con Symbola e Unioncamere alla realizzazione di questo rapporto – commenta l’Assessore alla Cultura della Regione Marche Pietro Marcolini – fa parte di una strategia di sviluppo a base culturale. Il Rapporto è uno strumento conoscitivo estremamente utile per capire le innovazioni e le tendenze della nostra economia e come si posizionano le Marche rispetto ai trend emergenti. Anche quest’anno la nostra si conferma una delle regioni con la migliore performance culturale: dalle industrie di questo comparto arriva, infatti, oltre il 6% del valore aggiunto della nostra economia, incidenza per la quale siamo secondi soltanto al Lazio. Si tratta di un dato che corrobora l’investimento dell’istituzione regionale che punta a fare della cultura un vettore trasversale alle diverse politiche settoriali. Emblematico in questo senso è il progetto del Distretto culturale evoluto delle Marche, il cui primo avviso pubblico, chiusosi recentemente (21 giugno), ha registrato la presentazione di ben 20 progetti d’interesse regionale”.
Cultura, un comparto dalla reattività anticiclica
Sacrificata spesso sull’altare della riduzione del debito pubblico, la cultura dimostra una capacità di reazione anticiclica migliore rispetto a quella del totale della nostra economia: confrontando la performance ottenuta dal settore cultura nel 2012 con quella del 2011, infatti, la flessione di valore aggiunto a prezzi correnti è contenuta al -0,3% rispetto al -0,8% del resto dell’economia. Tenuta e reattività superiore alla media sono ancora più evidenti per la dinamica occupazionale delle imprese culturali: rispetto al 2011 gli occupati dal sistema cultura sono cresciuti nel 2012 dello 0,5% a fronte del -0,3% del totale dell’economia. Idem dicasi considerando la variazione del numero di imprese: nel 2012, il sistema produttivo culturale ha visto crescere del 3,3% le proprie unità, mentre il resto del tessuto produttivo del Paese rimaneva sostanzialmente immobile.
Ancora: il saldo della bilancia commerciale del sistema produttivo culturale nel 2012 ha registrato un attivo record di 22,7 miliardi di euro. Lo scorso anno, l’export di cultura ha sfondato i 39,4 miliardi di euro, equivalenti al 10,1% del dell’export complessivo nazionale, mentre l’import del comparto si è attestato sui 16,7 miliardi di euro e costituisce il 4,4% del totale.
La quasi totalit à delle esportazioni del sistema produttivo culturale proviene dalle industrie creative, settore che veicola la ricchezza dei nostri contenuti culturali attraverso l’artigianato e il made in Italy. Ad oggi, il solo settore incide per il 9,3% del totale esportazioni nazionali. In termini di dinamica, negli ultimi tre anni si è assistito a una crescita continua delle esportazioni culturali: +11,5% medio annuo nel triennio 2009-2011 e +3,4% nel 2012. Di segno opposto, invece, la dinamica delle importazioni.
Interessante anche la capacità attrattiva della cultura sul turismo: se nel 2012 la spesa turistica ha toccato i 72,2 miliardi di euro, ben 26,4 di essi sono stati attivati dalle industrie culturali. In pratica si deve alla cultura oltre un terzo della spesa turistica stimata sul territorio italiano nell’anno di riferimento.
Cosa si intende per cultura? Il cuore della ricerca sta nel non limitare il campo d’osservazione ai settori tradizionali della cultura e dei beni storico-artistici, ma nell’andare a guardare quanto contano cultura e creatività nel complesso delle attività economiche italiane, nei centri di ricerca delle grandi industrie come nelle botteghe artigiane, o negli studi professionali. Attraverso la classificazione in 4 macro settori: industrie culturali propriamente dette (film, video, mass-media, videogiochi e software, musica, libri e stampa), industrie creative (architettura, comunicazione e branding, artigianato, design e produzione di stile), patrimonio storico-artistico architettonico (musei, biblioteche, archivi, siti archeologici e monumenti storici), e performing art e arti visive (rappresentazioni artistiche, divertimento, convegni e fiere). Al corpo centrale della ricerca, come anticipato, è stata inoltre affiancata anche un’indagine su tutta la filiera delle industrie culturali italiane, ovvero quei settori che non svolgono di per sé attività culturali, ma che sono altresì attivati dalla cultura. Una filiera articolata e diversificata, della quale fanno parte: attività formative, produzioni agricole tipiche, attività del commercio al dettaglio collegate alle produzioni dell’industria culturale, turismo, trasporti, attività edilizie, attività quali la ricerca e lo sviluppo sperimentale nel campo delle scienze sociali e umanistiche.
Il rapporto è quindi un viaggio tra cultura, creatività, tradizione, innovazione, genio, ingegno e saper fare che passa per un milione e mezzo di realtà e va dall’ecodesign alle sartorie tradizionali di Ginosa di Puglia, dalla Brianza del mobile all’occhialeria di Belluno; dall’Emilia dei motori alle ceramiche di Deruta, dall’arredo casa del Friuli Venezia Giulia al cashmere dell’Umbria; dall’Abruzzo dell’alta sartoria e della pasta alle calzature marchigiane fino a Napoli, dove si concentrano le migliori sartorie di capospalla del mondo; dalla Toscana del vino e del marmo di Carrara, del tessile di Prato e della nautica di Lucca, alla nascente filiera dell’animazione fortemente votata all’export.
Geografia della cultura. Questo intreccio tra bellezza, creatività, innovazione, saperi artigiani e manifattura ha fatto di Arezzo la propria capitale. La provincia Aretina si conferma al primo posto sia per valore aggiunto, che per occupati legati alle industrie culturali (rispettivamente 8,4% e 9,9% del totale dell’economia). Nella classifica provinciale per incidenza del valore aggiunto del sistema produttivo culturale sul totale dell’economia, seguono Pordenone (8,2%), Pesaro e Urbino (8,1%) e Milano (7,9%). Quindi Vicenza con il 7,8%, Treviso al 7,5%, Roma a quota 7,4%, Macerata al 7%, Pisa e Verona entrambe al 6,8%.
Dal punto di vista dell’incidenza dell’occupazione del sistema produttivo culturale sul totale dell’economia, come anticipato, è sempre Arezzo la provincia con le migliori performance. Ma subito dopo troviamo Pesaro e Urbino (9,6%), Vicenza (9,0%), Pordenone (8,6%), Treviso (8,5%) e Macerata (7,9%). E poi ancora Pisa (7,9%), Milano (7,7%), Firenze (7,5%), e Como (7,4%).
Quanto alle macroaree geografiche, è il Centro a fare la parte del leone con il 6,1% del valore aggiunto. Seguono da vicino il Nord-Ovest, che dall’industria culturale crea il 5,9% della propria ricchezza, e il Nord-Est, che sempre dal settore delle produzioni culturali vede arrivare il 5,5% del valore aggiunto. Decisamente staccato il Mezzogiorno con appena il 3,9%. La stessa dinamica che si riflette, con lievi variazioni, anche per l’incidenza dell’occupazione creata dalla cultura sul totale dell’economia.
Passando alla Regioni, In testa alla classifica per incidenza del valore aggiunto della cultura sul totale dell’economia, ci sono quattro realtà in cui il valore del comparto supera il 6%: Lazio (prima in classifica con il 6,8%), Marche (6,4%), Lombardia e Veneto (entrambe a quota 6,3%). Seguono Piemonte e Friuli Venezia Giulia a quota 5,8%, quindi Toscana al 5,2%, il Trentino Alto Adige al 5%, l’Abruzzo al 4,7% e l’Emilia Romagna al 4,6%. Mentre per il Lazio e la Lombardia sono le industrie culturali a prevalere, nel caso di Marche e Veneto sono le attività più tipiche del made in Italy (industrie creative e manifatturiere) a fornire un contributo fondamentale. Considerando, invece, l’incidenza dell’occupazione delle industrie culturali sul totale dell’economia la classifica regionale subisce quale variazione: il Veneto è in testa a quota 7,1%, seguito da Marche (7%), Friuli Venezia Giulia (6,4%), Lombardia, Lazio e Toscana (tutte a 6,3%), Piemonte (6%), Valle d’Aosta (5,8%).
I settori, i trend Alla performance del comparto cultura, sia in termini di prodotto che di occupazione, contribuiscono soprattutto le industrie creative e le industrie culturali. Dalle industrie creative arriva infatti il 47,1% di valore aggiunto, un risultato raggiunto soprattutto grazie ai settori dell’architettura e dell’artigianato, e il 53,3% degli occupati grazie in particolare ad artigianato, architettura e design. Dalle industrie culturali arriva un altro consistente 46,4% di valore aggiunto e il 39% degli occupati (in questo caso i settori più pesanti sono libri e stampa e videogiochi e software). Decisamente più bassa la quota delle performing arts e arti visive per entrambi i valori (5,1% v.a. e 6,0% occupazione) e soprattutto per le attività private collegate al patrimonio storico-artistico (1,4% e 1,6%).