Il cambiamento di scenario posticipa all’autunno la discussione del X Rapporto “Io sono Cultura”. Un flusso settimanale di contributi va ad alimentare visioni

È online, su new.symbola.net, la rubrica #IoSonoCultura della Fondazione Symbola, Unioncamere, Regione Marche in collaborazione con l’Istituto per il Credito Sportivo, che da maggio a luglio, ogni settimana, racconta l’impatto della crisi sui settori culturali e creativi, le ricadute sul mercato del lavoro culturale, ma anche le tante storie di coloro che stanno cogliendo questo momento per cambiare passo, puntando sulle competenze, le comunità, i territori, le tecnologie. Un’iniziativa che affianca e anticipa la presentazione del X rapporto annuale “Io sono cultura”, che quest’anno per la prima volta si terrà dopo l’estate per raccogliere dati e prime stime sull’impatto della attuale crisi sul sistema culturale e creativo a confronto con i dati 2019. Come da tradizione, anche quest’anno Symbola ha invitato Barnaba Fornasetti, direttore e cuore artistico di Fornasetti, azienda e atelier creativo milanese, a scegliere l’immagine di copertina del Rapporto e della rubrica che raffigura una mongolfiera che attraversa un cielo nuvoloso, metafora del ruolo di guida che cultura e creatività avranno nel portarci fuori da questa crisi.

La rubrica parlerà di come i musei stanno affrontando la sfida della digitalizzazione, ma anche come il made in Italy sta pensando per i propri clienti piattaforme di scambio non solo economico, ma di intrattenimento e conversazione. Descriverà nuove forme di fruizione cinematografica collettiva, a prova di distanziamento sociale: dalle innovative sale virtuali, alle proiezioni sulle facciate delle abitazioni delle città, fino al ritorno di modalità di proiezione del passato come i drive-in. Mentre nel mondo musicale, la fruizione si reinventa con session sui social, in cui Instagram la fa da padrone. Parlerà anche dei nuovi format: dai film e docufilm collettivi, montati grazie al coinvolgimento di professionisti del cinema e di gente comune, usando set casalinghi e smartphone, allo sviluppo di format più brevi e vicini alla serialità anche ad opera di produzioni sperimentali di teatro, per andare incontro alle esigenze dei nuovi linguaggi e della fruizione online. Nell’adattare la propria offerta culturale alle esigenze dettate dal’emergenza, c’è anche la radio, che in territori particolarmente colpiti ha saputo svolgere tante funzioni: da informatore puntuale a sirena di allarme, da sostenitore del sistema sanitario a narratore di storie di salvezza ed eroismo.

In questo fermento vitale e fatto di sperimentazioni, crescono anche le contaminazioni tra i settori: da musei chiusi che aprono canali radiofonici per stare vicino ai loro pubblici, a teatri che aprono tv web per portare il teatro a casa delle persone. Fino ad arrivare al mondo della lirica, in cui alcuni teatri stanno sfruttando la collaborazione con canali mass media per raggiungere il grande pubblico televisivo e, in parallelo, puntano a modelli internazionali fatti di edifici cablati, spettacoli registrati e mandati in onda previo abbonamento. E per il post emergenza, c’è già chi pensa alla riorganizzazione degli spazi, con l’orchestra in platea e gli spettatori nei palchi, o all’utilizzo di spazi inediti come padiglioni industriali o altre infrastrutture inutilizzate. Infine, descriverà anche storie di rigenerazione urbana ed esperienze di welfare partecipativo all’insegna dell’imprenditorialità, dello sviluppo delle competenze e cura della persona. Per il mondo dell’architettura, chiamato a ripensare i nostri spazi di vita, di relazione e di lavoro quella della ricostruzione sarà anche l’occasione per ricreare un legame perso con la quotidianità e la società. Un percorso necessario al rilancio della professione e alla ridefinizione dell’architetto e del suo ruolo. Ma il post emergenza verrà visto anche sul versante della domanda, riflettendo sulla disponibilità degli spettatori, dei fruitori della cultura, a riprendere la frequentazione di concerti, spettacoli teatrali, musei, biblioteche. Come afferma Ermete Realacci, presidente della Fondazione Symbola “cultura, creatività e bellezza sono la chiave di volta di molti settori produttivi di un’Italia che fa l’Italia e consolidano la missione del nostro Paese orientata alla qualità e all’innovazione specialmente in un momento di crisi come quello che stiamo vivendo”.

Ecco i primi contributi pubblicati.

Patrimonio e gestione dei beni culturali
Negli ultimi anni assistiamo ad una graduale ed evidente crescita dei fruitori dei luoghi della cultura, solo nel 2019 sono stati 55 milioni i visitatori degli istituti statali, per un incasso di 265 milioni di euro, grazie a riforme istituzionali, azioni di sensibilizzazione, una maggior efficacia dell’azione gestionale e ad un rafforzamento di logiche di cooperazione anche intersettoriale. Il ruolo stesso del patrimonio culturale sta evolvendo, entrando sempre più in confidenza con la società e l’economia. Un fatto questo, aiutato anche da una costante attenzione alle novità tecnologiche. Una maggior efficacia nell’informazione, nella costruzione di reti di collaborazione e nella dotazione di strumenti digitali – sempre più presente in molte forme nei luoghi della cultura – caratterizzano l’ultimo anno. Tutti aspetti emersi anche nella risposta che musei e luoghi del patrimonio hanno dato al presentarsi dell’emergenza COVID, che li ha spinti a rivedere l’offerta in chiave virtuale e a promuovere uno straordinario lavoro di dialogo con i propri pubblici, ma anche a iniziare a ripensare alle loro strategie. L’emergenza sanitaria in corso pone di fronte all’esigenza di adottare approcci e strumenti nuovi: una cultura più aperta, meno prevedibile, gestita in modo meno burocratico, flessibile nel riconvertire i propri servizi, integrata con altri linguaggi e altri settori, finalmente capace di non avere come unico obiettivo quello di fare audience, ma di produrre contenuti. E capace, soprattutto, di uno  scatto di orgoglio, rinunciando definitivamente ad approcci assistenziali, elitari, ideologici, ma di giocare un ruolo nel rilancio del paese, a partire dalla sua immagine.

Comunicazione
Mai come oggi abbiamo la conferma che il digitale favorisce le relazioni, non le ostacola: lo abbiamo capito grazie alla pandemia, che ci ha confinati nelle nostre case aumentando gli spazi digitali di conversazione. Dieci anni fa non avremmo mai immaginato pratiche di smartworking “estreme” come quelle che hanno attivato molte imprese italiane durante il periodo della quarantena, mettendo a disposizione di collaboratori e clienti piattaforme di scambio non solo economico, ma anche di intrattenimento e conversazione, proprio come predetto dalla prima tesi del Cluetrain Manifesto. Il virtuale non ha più nulla di negativo, se è quello che ci permette di comunicare con gli affetti lontani ma anche mantenere un lavoro. Le aziende creativedriven e le imprese culturali, come moltissimi musei, hanno aperto le loro porte sfruttando la realtà virtuale, i bot e i contenuti erogati in streaming, diventati il prodotto di intrattenimento per eccellenza nella prima parte di quest’anno. In Italia nelle settimane di emergenza Covid19 il traffico internet è cresciuto del 40%, con un aumento di più del 70% per i siti di news. Internet si conferma un luogo di aggregazione e le realtà più ricche dal punto di vista delle competenze di comunicazione hanno saputo sfruttare questo patrimonio accumulato negli anni per affrontare questi tempi di crisi.

Case history Foqus: rigenerazione urbana dei quartieri spagnoli di Napoli
In una città come Napoli, con profonde contraddizioni ma ricca di esperienze di autogestione e innovazione sociali, FOQUS è un modello di nuovo welfare compartecipativo, che promuove pratiche di coproduzione tra soggetti diversi – per missione e identità, abilità, generazioni, appartenenze sociali – per produrre comunità. La sua forza sta nel riconnettere ambiti tradizionalmente separati: educazione, lavoro, economia, cura della persona. L’obbiettivo è quello di rigenerare i Quartieri Spagnoli, una periferia ad altissima fragilità sociale, nel cuore del centro storico di Napoli. Parti di città dove la pandemia si sta trasformando in catastrofe sociale. Per arginare questo pericolo, la Fondazione FOQUS sta provando a fornire qualche risposta immediata, dispiegando un sostegno diretto alle famiglie, con educazione a distanza, supporto alle disabilità, fornitura settimanale di beni di prima necessità a 150 famiglie per molte settimane, donazione di libri a bambini e adulti, acquistati nelle librerie indipendenti della città. Per il dopo, progetta un nuovo modello di organizzazione autosufficiente del quartiere.  I progetti di rigenerazione non devono rassicurare: qui non c’è un lieto fine, ma le ragioni e le premesse per avviare processi di trasformazione che devono riguardare l’intera città. Il dopo chiederà di riconsiderare le povertà vecchie e nuove in una luce diversa; i quartieri dovranno diventare nuove comunità attive, cui garantire primi presidi sanitari e nuovi modi di sostegno alimentare ed educativo, garanzie di connessione digitale a ogni cittadino, marcato orientamento green di ogni attività. Perché la storia della città intera possa ricominciare, in un’altra direzione, con nuovi protagonisti.

Audiovisivo 1
Nel 2019 il mercato mondiale dell’intrattenimento aveva superato per la prima volta i 100 miliardi di dollari. Nell’Unione europea, i cinema avevano registrato i migliori risultati degli ultimi 15 anni. Il buon inizio del 2020 era il coronamento di un 2019 particolarmente positivo per l’Italia, che aveva fatto registrare la crescita percentuale maggiore in Europa in termini di incassi e presenze. La situazione è improvvisamente precipitata a febbraio.
L’ultimo weekend di apertura dei cinema ha fatto registrare al box office un incasso complessivo di 439mila euro, uno sconfortante -95,41% sul 2019. Dall’inizio dell’emergenza si contano almeno 100 film la cui distribuzione fisica è bloccata. Questo ha aperto un dibattito, in Italia e all’estero, sulla possibilità di saltare l’uscita in sala e distribuire le opere direttamente in streaming. D’altro canto, la fame di intrattenimento non si è fermata: i consumi televisivi sono aumentati e si è registrata un’impennata del Video on Demand. L’epidemia si sta trasformando in un potente fattore di accelerazione di trasformazioni già in atto e che determinerà nuovi assetti nel rapporto tra cultura audiovisiva e innovazione digitale. Nel frattempo, almeno 40 produzioni sono state sospese, con un danno stimato in 100 milioni al mese. Cresce il rischio di sovrapposizioni tra le riprese già previste in autunno e quelle rinviate di mesi. Molti progetti saranno probabilmente scartati. Diverse le misure di sostegno economico al settore che provano a dare una prima risposta agli impatti dovuti all’emergenza sanitaria.

Audiovisivo 2
Il settore sta reagendo con prontezza alla grave crisi sanitaria, sociale ed economica che stiamo attraversando, adeguandosi a condizioni nuove e critiche e adottando modalità innovative per proporre la propria offerta culturale. D’altra parte, accanto alle importanti misure di natura emergenziale per evitare il collasso delle imprese e dare sostegno al reddito dei lavoratori, occorre iniziare a ragionare con un orizzonte temporale più ampio, includendo anche rappresentanti del settore audiovisivo nelle task force impegnate ad elaborare soluzioni di accompagnamento e uscita dalla crisi. Accanto al necessario coordinamento di iniziative a livello europeo, occorre ricorrere alla flessibilità che la legge di sistema prevede per adeguare alcuni strumenti di intervento alle nuove necessità del comparto: ad esempio, semplificare le procedure per l’assegnazione dei contributi, mostrare flessibilità nei criteri di valutazione per sostenere i costi fissi di imprese e associazioni, rendere “ordinari” interventi considerati attualmente come straordinari, spingere verso una maggiore digitalizzazione del nostro patrimonio culturale. È giunto insomma il momento di prepararci a un cambiamento organico, in cui potrebbe mutare in modo sostanziale il contesto, il peso dei vari comparti nella filiera, la narrazione stessa. Ma possiamo farlo e possiamo evitare che la struttura industriale dell’audiovisivo e le componenti artistiche e creative ne escano gravemente lesionate, a patto di mantenere l’unità di visione, accompagnando e non subendo le trasformazioni in atto.