Non più fossile ma rinnovabile, non più lineare ma circolare, non più spazzatura da destinare alla discarica ma materiali da riutilizzare e riciclare. È una rivoluzione anche lessicale quella che sta guidando nel nostro paese il passaggio verso un’economia non più basata sullo spreco e sulla produzione di rifiuti, ma sull’idea che, una volta giunto a fine vita un prodotto, la materia prima che vi è contenuta debba tornare a vivere per altri usi. Nella consapevolezza che occorre affrontare con urgenza temi non più rimandabili. Dalla lotta ai cambiamenti climatici alla scarsità di materie prime, che sta mettendo a rischio molti settori industriali, fino alla necessità di garantire al nostro Paese una crescita sostenibile nel tempo, anche dal punto di vista economico.
Tra i consumatori a guidare il cambiamento sono soprattutto i giovani, sempre più propensi a comprare nei negozi di seconda mano, a riparare piuttosto che a gettare e ad acquistare prodotti durevoli o che possono essere riciclati a fine vita.
E le stesse imprese stanno rispondendo puntando ad adottare modelli circolari e a ridurre l’impatto ambientale delle proprie attività. Qualche esempio? Dalla creazione di nuovi capi partendo da filati ottenuti da vestiti vecchi rigenerati al recupero di scarti organici per la realizzazione di carta da impiegare per il packaging. A questo si affianca la tendenza crescente verso l’eco-design, che consiste nella realizzazione a monte di prodotti già pensati per essere facilmente riciclabili a fine vita, e verso la circolarità dei processi produttivi, ad esempio, con il riutilizzo degli scarti o dell’acqua impiegata. I dati del XIII Rapporto GreenItaly 2022, realizzato da Fondazione Symbola e Unioncamere, confermano questa tendenza. In base all’indagine, negli ultimi cinque anni un quinto delle aziende italiane (oltre 531 mila imprese) ha fatto investimenti che hanno a che fare con l’ambiente: risparmio energetico, fonti rinnovabili, recupero di materiali, innovazione di processo e di prodotto. Secondo la ricerca, investire in economia circolare e sostenibilità paga: le imprese green mostrano infatti performance migliori. Sono più resilienti, esportano di più, crescono maggiormente in termini di fatturato e producono più posti di lavoro.
Una spinta a livello nazionale dovrebbe poi arrivare dal Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza) che per lo sviluppo di questa tematica ha messo a disposizione 2,1 miliardi di euro, dei quali 1,5 miliardi per la “realizzazione di nuovi impianti di gestione rifiuti e ammodernamento di impianti esistenti” e 600 milioni per “progetti ‘faro’ di economia circolare”. Nell’ambito del piano è stata elaborata anche la Strategia nazionale per l’economia circolare, documento programmatico, di cui è stato pubblicato di recente il cronoprogramma, che prevede una serie di azioni. Tra queste, la creazione di un nuovo sistema di tracciabilità dei rifiuti; incentivi fiscali a sostegno delle attività di riciclo e utilizzo di materie prime secondarie; la revisione del sistema di tassazione ambientale dei rifiuti, per rendere più conveniente il riciclo rispetto al conferimento in discarica; il finanziamento per la realizzazione di centri per il riuso e la riparazione dei beni; la riforma dei sistemi di Epr (responsabilità estesa del produttore) e dei consorzi con la creazione di uno specifico organo di vigilanza sotto la presidenza del ministero; misure specifiche per l’uso del suolo e delle risorse idriche in ottica di economia circolare. A questo si affiancano altre iniziative promosse a livello nazionale. Un esempio arriva dal ministero dello Sviluppo Economico che ha emanato un decreto per favorire la transizione verso l’economia circolare e la sostenibilità energetica delle micro, piccole e medie imprese. Il decreto prevede in particolare lo stanziamento di 678 milioni di euro che verranno erogati sotto forma di contributi a copertura dei costi di investimento, con una quota variabile dal 25% al 60%, a seconda delle dimensioni dell’impresa e dell’area geografica di appartenenza.
Buone performance, ma poca informazione
Quanto gli italiani conoscono l’economia circolare? E cosa ne pensano? Quale ritengono che sia il posizionamento del nostro paese su questo fronte? Domande alle quali ha provato a rispondere il sondaggio “L’Italia e l’economia circolare” condotto dalla società di consulenza e di ricerche di mercato Ipsos. I risultati evidenziano forti possibilità di miglioramento. Sei italiani su dieci non conoscono infatti l’economia circolare e solo il 41% degli intervistati afferma di conoscerne i principi. Anche sul posizionamento del nostro Paese in Europa sui temi dell’economia circolare, e in particolare del riciclo, la maggioranza si conferma scarsamente informata. Il 51% del campione ritiene infatti che l’Italia sia sotto la media europea, nonostante il nostro Paese registri in Europa il tasso più elevato di riciclo.
Alla richiesta di quali iniziative andrebbero implementate, le riposte includono la rigenerazione degli impianti industriali esistenti; la riduzione delle tasse alle aziende impegnate nella circolarità; la creazione di premi per sviluppare il senso civico dei cittadini.