In Italia circa 40 mila persone completano una maratona. Trattandosi di 42 km e 195 metri è comunque un’impresa, ma il problema è che a quel numero di partecipanti all’estero ci arrivano con una sola delle maratone più importanti (le cinque top, nessuna italiana tra queste, generano un business di un miliardo di dollari di ricavi). È davvero un problema o, in un mondo, non solo lo sport, in cui è la domanda a suggerire quale debba essere l’offerta, è invece importante concentrarsi più che sulla parte, i maratoneti appunto, sul tutto, ovvero l’esercito di dieci milioni circa di italiani che corrono? La Fidal, la Federazione Atletica Leggera, con questi dati ci convive da anni: non vincendo più tante medaglie negli eventi sportivi più importanti ha perso il titolo di disciplina regina dello sport italiano, però c’è l’evidenza di una crescita da record di persone che corrono persino difficile da fronteggiare perché oggi la gente normalmente rifugge da un’offerta compassata e rigida, come è tradizione per la federazioni abituate a ragionare solo con i tesserati, e preferisce il faidate. C’è una soluzione soltanto, o ci sono tante soluzioni ? In Fidal pensano, a ragione, che è sempre meglio allargare la base dei praticanti per migliorare, anche qualitativamente, la selezione degli atleti da mandare poi a Olimpiadi e Mondiali. Intanto però aprono e presidiano un fronte nuovo: quello di chi ha accettato che la equazione sport=salute è una salvezza persino per i bilanci pubblici, che da una popolazione più e meglio in salute, proprio perché avviata alla pratica sportiva, possono ricavare oltre 2 miliardi di risparmio ogni anno.

Dunque si parte dallo sport e si arriva a parlare di smart city.

Parliamo pure di turismo sportivo: oggi quello codificato, che nasce dall’abbinamento dell’interesse con i grandi eventi con il dichiarato interesse primario per la pratica sportiva, vale il 10% dei viaggi. È comunque una stima che bisogna prendere buona per difetto. In realtà, almeno in Italia, l’affermazione dell’alta velocità ferroviaria consiglia di considerare un aspetto: i manager non restano più fuori sede per trasferte di lavoro, sono persone che condensano in una sola giornata lavoro e passione, dunque non rinunciano alla corsa la mattina o la sera, o durante la pausa pranzo, e in albergo comunque ci vanno, quando possibile, o ci andrebbero, ci fosse l’offerta giusta, non più per dormire la notte ma per farsi una doccia e continuare gli appuntamenti ( come del resto è già possibile in alcune aziende in cui la spinta dei dipendenti ha portato alla realizzazione di spogliatoi anche dove non previsti: è il mondo in cui comandano gli uffici del personale e non più il marketing, verrebbe da dire). Le running rooms negli hotel sono insomma l’evoluzione tutt’altro che pruriginosa delle camere a ore di un tempo, a dire quanti e quali confini superi agilmente la run economy. Soprattutto a dire quanti business si possano sviluppare.

Chi sono questi corridori? La Fidal ha affidato la fotografia all’Istituto Piepoli e ne è uscito un ritratto tutt’altro che banale: il 78 per cento di loro ritiene molto e abbastanza importante la presenza di un percorso attrezzato per la corsa quando deve scegliere una destinazione, e di nuovo parlando di turismo, tradizionale e di affari, questo è un messaggio diretto alle città che si devono attrezzare. Hanno fatto fatica ad aprire piste ciclabili, per non perdere contatto con questa tribù di innovatori, il carattere più e meglio distintivo, devono attrezzarsi con percorsi anche pedonali e per i runner. Che dimostrano di essere innovatori per come reagiscono di fronte a tante sollecitazioni: si dedicano al volontariato più dei non runner, 60 contro 42; vanno più spesso al cinema, 82 contro 61; si abbonano più volentieri a Netflix perché, è davvero il caso di dirlo, corrono dietro alle novità.

E in questa rincorsa, lo sport scopre persino di essere avvantaggiato rispetto ad altri: essendo social da più tempo e meglio di altri, fatica meno a diventare sociale. Su questa base la Fidal sta costruendo gli ultimi due suoi progetti di una dirigenza, il presidente Giomi e il segretario generale Pagliara, che viaggia dichiaratamente nel futuro: per scelta, non per prendere le distanze dal passato.

Il primo progetto si chiama Bandiere Azzurre, titolo che andrà a quelle città che si attrezzeranno meglio per garantire la corsa ai loro cittadini, e ai turisti. Una volta di più corsa come pratica sportiva e di salute, e infatti uno dei misuratori dell’efficacia di questa imposizione riguarda il calo di diabete, patologia classicamente cittadina. Bisogna attrezzare percorsi, renderli sicuri, così come è proprio la corsa, l’occupazione dello spazio, a rendere sicuri quei parchi dove il permesso di praticare sport sfratta altro genere di visitatori. Bisogna anche educare tanti pubblici diversi: i ragazzi delle scuole, dunque le famiglie; i lavoratori. Per tutti, basta magari prendere a esempio gli stranieri che già hanno capito come funziona la ricerca della felicità. In un convegno nei giorni scorsi è stato invitato il vicesindaco di Alborg, città danese, che ha vinto letteralmente di…corsa il titolo di paese più felice del mondo proprio facendo leva sullo sport.

Il secondo progetto è un Osservatorio. Si chiama Crea, a dire che la creatività e regina, e che ci sono tanti esempi diversi da seguire per collegare running e atletica (la sigla sta per Connecting Run Economy with Athletics). I primi casi di cui si può parlare riguardano la Chiesa. Possibile? Sì, perché anche quest’anno ci sarà la Via Pacis, la mezza maratona che parte e arriva in San Pietro, passando accanto ai luoghi di culto anche delle altre principali religioni, la Sinagoga e la Moschea della Capitale. Appuntamento il 23 settembre.

Ma adesso siamo a maggio e giorni fa a Bologna si è corsa la Mary Run, la processione mariana più originale della storia, organizzata evidentemente per unire due schiere di fedeli diverse, entrambe però pronte a correre. Correte, gente, correte: non è una predica, è il miglior consiglio possibile.

Luca Corsolini – Symbola