L’avventura di Alps Blockchain, fondata da due ventenni a Trento, ha chiuso il 2021 come una favola a lieto fine. Al punto che Francesca Failoni, 23 anni, e Francesco Buffa, 24, fanno ancora fatica a credere a tutto quel che è successo in appena tre anni. La loro idea, installare reti di computer dentro le centrali idroelettriche per vendere potenza di calcolo, sembrava una follia ai più e nessuno voleva dargli retta. Oggi invece la compagnia di centrali ne gestisce 18, che diventeranno 32 entro fine 2022, e a dicembre contava 17,5 milioni di euro di fatturato. Quella potenza di elaborazione le centrali la vendono come vendono l’energia, aggiungendo un’entrata importante. Permette a molte strutture di investire in ampliamenti e ad altre di tornare in vita, come accaduto con la piccola centrale di Borgo d’Anaunia in Val di Non.
“All’inizio è stato molto, molto difficile”, racconta Francesco Buffa. “Perfino in famiglia erano scettici. I miei genitori si chiedevano cosa stessi facendo, mentre consulenti e amici di famiglia venivano a spiegarmi che il mondo della blockchain è pieno di truffe. Due anni fa, all’esordio, contattammo più di 400 centrali che non avevano più accesso agli incentivi statali e nessuno ci ha risposto. Siamo giovani, proponiamo una tecnologia nuova e chiediamo di investire a coloro che sono già in difficoltà dal punto di vista economico.
Ecco perché non è stato affatto facile”. Alps Blockchain ha rischiato di fallire tre volte e i due fondatori sono stati avvicinati da speculatori il cui unico obiettivo era fare soldi con i Bitcoin. Perché alla fine la potenza di calcolo viene usata soprattutto per le criptovalute, anche se in questi ultimi mesi l’azienda di Trento è stata contattata da varie università che la adoperano per la ricerca. Ma quello che fanno per ora è fornire l’infrastruttura necessaria per estrarre Bitcoin. L’azienda guadagna dalla fornitura dei computer alle centrali, la loro istallazione, la manutenzione e si occupa anche di vendere la potenza di calcolo a coloro che producono criptovaluta, trattenendo una percentuale.
I data center di Alps sono poi dei nodi della blockchain stessa alla base della rete Bitcoin, quelli che registrano e validano ogni transazione così come la nascita delle singole monete. La compagnia trentina, quindi, non produce criptovaluta ma offre tutto quel che serve per farlo. Facendo un paragone con la corsa all’oro dell’Ottocento, visto che anche in questo caso ‘Ohi edrae il Bitcoin viene chiamato “minatore”, sono l’equivalente di quelle imprese che fornivano l’equipaggiamento e che fecero fortuna, a differenza della maggior parte dei cercatori. Il Bitcoin viene estratto risolvendo equazioni molto complesse all’interno di un sistema pensato per regolarne il numero che può esser prodotto. E dato che esiste una quantità massima di Bitcoin prodotti, 21 milioni, con il tempo la complessità dell’equazione per estrarli aumenta e diventa necessaria sempre più potenza di calcolo. Attualmente ne sono stati creati 18,9 milioni. Per Alps Blockchain la svolta è avvenuta dall’incontro con Tecnoenergia Srl, compagnia sempre trentina che da remoto fa funzionare 72 centrali e che ha creduto nel progetto. E così, dopo il primo test nel 2019, è arrivato l’accordo commerciale: Alps Blockchain installa le reti di computer, le fa funzionare e si occupa della vendita della potenza di calcolo; Tecnoenergia invece lavora sull’adeguamento delle strutture che non sono mai predisposte né all’autoconsumo di energia né hanno locali attrezzati per ospitare decine se non centinaia di pc. E così Francesco Buffa e Francesca Failoni a fine 2020 hanno festeggiato i primi 100mila euro guadagnati, proprio grazie alla struttura di Valstagna, in Veneto, dove li abbiamo ritratti nelle foto che vedete in queste pagine. Erano convinti fosse un risultato arduo da replicare. Avevano come sogno quello di fatturare un milione l’anno.
Oggi quella soglia l’hanno superata di diciassette volte. “Si presentarono da me nel 2018 con il loro progetto”, ricorda Gabriele Degol, 43 anni, amministratore delegato di Tecnoenergia. “C’erano molte cose da affinare, dall’impianto di raffreddamento per i pc al sistema di isolamento acustico, ma le potenzialità mi sembravano evidenti. Si tratta però di investimenti importanti”. Se una centrale costa 10 milioni di euro, la quota per il centro di calcolo è mediamente di due milioni e mezzo. Eppure senza quest’ultimo si rientrerebbe dell’investimento in 20 anni, mentre aggiungendolo si scende a 12. Ma a giocare a favore sono stati soprattutto i tagli per decreto ai profitti dell’idroelettrico imposti dal primo febbraio per evitare che i prezzi salissero alle stelle.
La potenza di calcolo si vende sempre meglio dell’energia anche quando era ai massimi storici. “La nostra centrale era ferma dagli anni Sessanta”, spiega Daniele Graziadei, sindaco trentottenne del comune sparso di Borgo d’Anaunia, al suo secondo mandato, che alla blockchain ha sempre guardato con interesse. “E prima di allora a un tratto avevano installato turbine diesel. Il comune ha acquistato di nuovo la licenza e l’ha riattivata. Ma nel 2018 sono finiti gli incentivi e tenerla in funzione diventava oneroso. Se si tiene conto della manutenzione, tenere aperta una piccola struttura del genere è economicamente svantaggioso, specie quando il fiume è in secca. Ecco perché abbiamo deciso di inserire un centro dati. Come giunta volevamo prima di tutto assicurare un’entrata per il comune, in secondo luogo salvare la concessione per la centrale che è in scadenza nel 2028 e per la quale diventa fondamentale la quota di autoconsumo dell’energia. Infine crediamo molto nella tecnologia blockchain e quindi anche in una rete trasparente, pubblica, diffusa. Utilizzeremo per la potenza di calcolo soltanto una parte dell’elettricità prodotta, la metà al massimo”.
Le polemiche sul consumo eccessivo per creare e gestire le criptovalute sono ben note da queste parti (v. riquadro). Guardando però ai singoli casi, viene il dubbio che a volte si tratti di una presa di posizione comprensibile ma ideologica. Stando al Bitcoin Electricity Consumption Index messo in piedi dall’Università di Cambridge, la struttura legata al Bitcoin consumerebbe circa 150 terawattora (TWh) di elettricità ogni anno in tutto il mondo. Poco meno della metà di quanto consuma un Paese come l’Italia o, se preferite, il 75% del fabbisogno dell’Olanda. Tanto, da qualsiasi punto di vista la si voglia guardare. Eppure nel caso delle 18 centrali ci si imbatte in strutture che altrimenti funzionerebbero solo per alcuni mesi o semplicemente non sarebbero state riattivate. Dalla loro i due fondatori di Alps hanno un approccio etico, considerando quel che potrebbero fare se non avessero scrupoli: “Operiamo solo nel campo delle rinnovabili e, per questioni legate alla discontinuità nella fornitura di energia con il solare e l’eolico, unicamente sull’idroelettrico”, conclude Francesca Failoni.
“Sono arrivate diverse proposte da centrali di altro tipo, anche a carbone, ma abbiamo rifutato e i nostri centri dati non prelevano mai energia dalla rete. La blockchain ha un problema ambientale. Per fare in modo che si diffonda in maniera sostenibile secondo noi è questa la via da seguire”. C’è poi la questione legata agli incentivi statali, che per ora sono una fonte importante per tutti gli impianti di energia pulita. Soldi che arrivano dai contribuenti e che invece potrebbero esser forniti da modelli economici differenti come questo. Non a caso altre realtà, e non solo in Italia, stanno percorrendo la medesima strada. Nel frattempo l’azienda trentina ha cominciato a collaborare con centrali sparse per il mondo, dal Perù al Paraguay fino alla Costarica, dove l’energia vale pochissimo, le centrali idroelettriche rischiano la chiusura. E le idee nuove sono molto richieste.
Realacci: i Bitcoin sono un nemico li tema delle criptovalute è estremamente controverso in campo ambientalísta. Molti ne contestano l’elevata impronta energetica e il legame con attività criminali. Ermete Realacci, presidente onorarío di Legambiente e fondatore e presidente di Symbola, nel suo intervento all’Open Summit di Green&Blue dello scorso dicembre non ha usato mezzi termini: “I Bitcoin sono un nemico, una misura speculativa opaca, al di fuori di ogni controllo. Inoltre pochi sanno che per tenerli in piedi si consuma tantissima energia. Solo per estrarre i Bitcoin, senza quindi contare tutte le altre criptovalute, si valuta che si consumi tanta energia quanta ne consumano l’Argentina o il 75% dell’Olanda. Questo mondo va controllato molto di più, perché è una finanza cattiva”.
Nel mondo ambientalista il dibattito tra sostenitori e detrattori è quindi acceso; nei prossimi numeri di Green&Blue ospiteremo vari interventi sul tema. La parete di computer nella centrale idroelettrica in Valstagna, in Veneto. 0-0 I fondatori Francesco Buffa e Francesca Failoni, hanno creato Alps Blockchain. O L’idroelettrico Una immagine dall’alto della centrale di Valstagna. L’idroelettrico è l’unica fra le rinnovabili che si presta a poter ospitare dei data center AIIiiìiiio nessuno ci dzna retta. Perfino in famiglia hanno cercato di persuaderci a lasciar perdereDue ventenni di Trento installano data center in strutture idroelettriche a rischio chiusura e vendono potenza di calcolo per criptovalute e ricerca. Sembrava un’impresa impossibile.